GLI ALBANESI IN ITALIA
La venuta degli albanesi in Italia avvenne in varie fasi e quasi sempre per motivi di guerra.
Pare che il primo esodo sia avvenuto nel 1396. Dieci famiglie, circa sessanta persone, guidate da Miko Bragowik, si rifugiarono nel villaggio di Peroi, nel Veneto scappando dall'Albania per paura di rappresaglie turche.
Nel 1448 un certo Demetrio Reres accorse in aiuto di Alfonso I d'Aragona che intendeva acquisire al suo regno la Calabria Inferiore. Gli albanesi ebbero ben presto ragione delle popolazioni locali. Per i servigi resi il Reres venne nominato governatore della provincia di Reggio. Una buona parte dei suoi soldati si stabilì in provincia di Catanzaro.
Il Tajani in IstorieAlbanesi (1866): "Per opera di costoro collo scorrere del tempo vi sorsero nuovi paesi, altri disabitati ripopolaronsi, Dapprima se ne contarono sette denominati Andalo, Amato, Arietta, Carafa, Casalnuovo, Vena, e Zangarone; indi gli altri Palagoria, San Nicola dell'Alto, Carfizzi e Gizzeria."
Qualche anno dopo, intorno al 1450, alcuni albanesi al servizio di Giorgio Reres, a difesa della Sicilia da eventuali invasioni, formarono gli insediamenti di Contessa Entellina, Mezzojuso, Piana degli Albanesi, S.Angelo Muxaro, Bronte, Biancavilla e S.Michele di Ganzaria.
Poi fu la volta di Giorgio Kastriota Skanderbeg che venne in Italia, nel 1461, in aiuto di Ferrante d'Aragona contro il duca di Angiò. La venuta di Skanderbeg era conseguenza del trattato di alleanza siglato con Alfonso d'Aragona il 26 marzo del 1451. L'intervento di Skanderbeg risultò decisivo per il successo degli aragonesi. Venne ricompensato con la concessione dei feudi di Trani e S.Giovanni Rotondo. Alcuni albanesi si stabilirono a Campomarino, Portocannone, Montecilfone, Ururi, S. Giacomo degli Schiavoni, Carosino, Montemesola, Monteiasi, Roccaforzata, Fragagnano.
Dopo la morte di Skanderbeg, avvenuta il il 17 gennaio 1468, si determinò un forte esodo delle popolazioni albanesi dalle loro terre per sfuggire alle feroci persecuzioni effettuate dai turchi invasori.
Tra il 1468 ed il 1471 gli albanesi si stabilirono a S.Demetrio Corone, Macchia, San Cosmo, Vaccarizzo, San Giorgio e Spezzano in provincia di Cosenza.
Tra il 1473 ed il 1474 fu la volta di Faggiano, Martignano, Monteparano, Roccaforzata, San Giorgio, San Martino, San Marzano, Sternazia Zollino nelle Puglie e di Casalvecchio, Casalnuovo, Panni, Greci, San Paolo in Basilicata.
Tra il 1476 ed il 1478 Lungro,Firmo, Acquaformosa, Castroreggio, Cavallerizza, Cerzeto, Civita, Falconara, Frassineto, Percile, San Basilio, San Benedetto, Santa Caterina, San Giacomo. San Lorenzo, San Martino, Santa Sofia, Serra di Leo, Marri, Cervicati, Farneta, Mongrassano, Plataci, Rota.
Nel 1481 sempre il Tajani:" ...la famiglia Adriano edificò nella Provincia di Palermo un palazzo, mano mano intorno ad esso un aggregato, e quindi un paese col nome di Palazzo Adriano."
Nel 1488 sorsero i paesi di Piana dei Greci, Bronto, Mezzoiuso, Sant'Angelo e San Michele in Sicilia.
Nel 1534 si ebbe un esodo massiccio dalla città di Corone che porto alla fondazione dei paesi di Barile. Maschito, S.Costantino in Basilicata.
Nel 1680 alcuni profughi, guidati da Giorgio e Macario Sevastò fondarono Chieuti (Foggia) e nel 1744 Farnese e Villa Badessa in Abruzzo.
I profughi albanesi, anche se trovarono rifugio e protezione da parte dei Signorotti locali, non sempre vennero trattati bene. Alcuni li obbligarono a parlare la lingua locale ed abbandonare il rito bizantino-greco in favore di quello latino. A seguito di ciò molti paesi, ( in provincia di Cosenza: Mongrassano, San Lorenzo del Vallo e Cervicati) hanno perso completamente costumi, lingua e rito.
Il De Grazia in Canti popolari Albanesi(1889): "Non avendo potuto gli Albanesi ottenere l'indipendenza della Chiesa dai Vescovi latini, già ottenuta dal clero greco di Venezia nel 1521, molti latinizzarono il culto. I Prelati, accarezzando sempre più il passaggio dei preti dal rito greco al latino ed avversando le ordinazioni del clero greco, fecero sì che al principiare del secolo 18° i due terzi dei paesi apostatarono ed ora ufficiano in latino. Pochi di essi però smisero la propria lingua, e quei medesimi che non la parlano, hanno qualche cosa nella loro enfasi che li distingue dai paesi vicini".
Nel 1560 un'ordinanza del sindaco di Castrovillari proibiva agli albanesi di andare a cavallo con sella, briglie e speroni e di non entrare in città con il cappello in testa in segno di servitù.
Il De Grazia: "Nelle Calabrie gli Albanesi occuparono alcuni casali rovinati e spopolati dal terremoto del 1456. in sulle prime tutti si diedero all'agricoltura, alla pastorizia o alla guerra, rimanendo i più ad arbitrio dei loro Capi o dei Baroni, nei cui feudi entravano a servire. Sotto gli Spagnuoli furono oppressi come gl'indigeni, anzi peggio: essendo più agresti e più alteri, furono angariati orribilmente dai Baroni e dalla Chiesa. Mentre la vita loro era tutta belligera e a somiglianza degli Ebrei non si scoprivano la testa neanche innanzi al superiore... Non fa quindi meraviglia se talora si davano alla violenza e alla rapina."
Queste continue angherie fecero si che l'inserimento fu lento e faticoso.
Ancora il De Grazia: "Migliorato il suolo coi disboscamenti e le dissodazioni, si videro migliorare i loro nascenti paesi e le relazioni coi vicini diventarono più corrette...."