Salvatore CORTESE

 

L�ANARCHISMO E LA VIOLENZA

 

 

(Dalla rivista      del 25 aprile 1932)

 

La violenza in tutti i tempi serv� per l'offesa e per la difesa: la prima gener�  la seconda, e quindi diede origine ai pi� grandi mali che abbiano afflitto ed affliggano il genere umano.

Qui non c'interessa di risalire alle origini dell'uso della violenza e dello sviluppo degli istinti aggressivi, comuni il tutte le razze umane ed a tutte le specie animali. Ci basta di costatare il fenomeno della violenza come una manifestazione della lotta per l�esistenza fra specie diverse di esseri animati ed anche all'interno d'una stessa specie, specialmente fra individui e gruppi della specie umana.

E' stata fatta l'osservazione che, mentre sono pi� frequenti la lotta e la violenza fra individui e gruppi di specie animali diverse, fra individui e gruppi d'una stessa specie e pi� frequente il mutuo aiuto; la violenza vi � piuttosto l'eccezione. "Entre bueyes - dice un proverbio spagnuolo -no hay cornadas". Le specie animali pi� diffuse e numerose, pi� lontane dall'estinguersi, pi� vitali, sono proprio quelle in cui l'uso della violenza � minore e meno sviluppati vi sono gl'istinti aggressivi, anche se sono specie  fisicamente deboli; mentre il contrario avviene per le specie animali pi� violente e feroci, bench� dotate di forza fisica superiore. A questa regola generale fa eccezione soltanto la specie umana, la pi� violenta di tutte, bench� non la pi� forte fisicamente, sia contro tutte le altre specie animali, sia internamente contro se stessa,

Lasciando da parte la questione ancora controversa se l'uomo trova un interesse reale nella violenze contro le altre specie animali, certo � che lo stato di lotta fra gli uomini � la causa principale del malessere sociale dell'umanit�, e costituisce l'ostacolo maggiore a che l'umanit� raggiunga un soddisfacente stato di benessere e si sviluppi in lei una moralit� veramente, superiore. Da un punto di vista naturale la violenza fra uomini ed uomini � una aberrazione ed una degenerazione, come dal punto di vista sociale la lotta per l'esistenza fra individui della stessa specie � di natura inferiore, meno giustificabile e destinata ad essere sostituita dalla cooperazione ed aiuto reciproci.

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L'autorit�, nel senso di coercizione e sottomissione forzata della volont� altrui, � violenza, ne risulta, quindi, che ogni atto di violenza � pi� o meno un atto di autorit�, una imposizione con la forza di una volont� a detrimento d�una volont� contraria.

L�origine dell'autorit�, per quanto si perda nella notte dei tempi, noi la vediamo generata dalla violenza. Essa non fu, fin dal principio che violenza esercitata dall'uomo sull'uomo; ed il pi� debole dovette sopportare da allora in poi il giogo del pi� forte. Da allora, attraverso i secoli, ogni autorit� si appoggi� sulla violenza; e cosi tutta la storia n'� risultata un tessuto di violenze organizzate e non organizzate. Anche basandosi unicamente sui testi ufficiali, si ha l'impressione che il genere umano sia vissuto fin qui unicamente per la sua autodistruzione: mari di sangue e montagne di cadaveri segnano il cammino percorso dall�umanit� attraverso la storia.

Pure, .bench� questa impressione scaturisca da una verit� materiale schiacciante, al fianco dei prepotenti e dei guerrieri di professione, di cui la storia ufficiale ci ha trasmesso le gesta, al lato di costoro che non vivevano che per distruggere, altri uomini curvi sul lavoro, non solo rifacevano pazientemente nell'oscurit� ci� che i primi distruggevano, ma sempre qualche cosa di pi�. Per ci�, malgrado le guerre, gli stermini e le distruzioni, il progresso avanz� lentamente. Pure, finch� la violenza dell'autorit� pende come spada di Damocle sul capo degli uomini, il progresso � sempre in pericolo. Quante volte, infatti, per colpa di lei il progresso s'e arrestato od � stato in parte annullato e distrutto!

L�organizzazione della violenza, con cui l'autorit� degli uni si impone per forza a tutti gli altri, � costituita sopratutto dallo Stato. Da secoli lo Stato, per mezzo dei suoi organi di coercizione e di repressione, impone i suoi voleri e quelli delle caste privilegiate da cui emana agli innumeri individui che compongono la grande massa soggetta. Ed agli individui non rimane altra scappatoia: o ribellarsi o rassegnarsi ad ubbidire, piegando la schiena per ricevere le scudisciate.

Per� non sempre i popoli si sono assoggettati al volere dei governanti; e la storia registra una serie di rivoluzioni, alcune delle quali cambiarono completamente la faccia del mondo. Di queste ultime, due specialmente sono da ricordare: la rivoluzione cristiana e la rivoluzione borghese iniziatasi nel 1789.

Pel momento lascio da parte la rivoluzione russa, per vari motivi che in seguito dir� ed anche perch� per ora un giudizio reciso sarebbe prematuro. Orbene, le due rivoluzioni suddette (e si potrebbe dire lo stesso di quella russa), per quanto benefiche siano state cos� come furono, vennero per� diminuite della maggior parte dei pi� grandi risultati che avrebbero potuto avere per l'umanit� dal fatto di essersi cristallizzate in dominio di casta e di classe, di aver ricorso alla violenza per imporre per forza a tutti la propria autorit� spirituale e materiale. Dal giorno in cui conquistarono il potere, quelle due rivoluzioni si mutarono a poco a poco in reazione, e - pur senza riuscirvi del tutto - cominciarono a distruggere quanto dl buono avevano fatto prima, rinnegando col fatti quei principi che i primi loro apostoli e combattenti avevano fatto trionfare col martirio o con l'insurrezione.

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Il fattore pi� importante del trionfo del cristianesimo non fu la violenza, bens� il martirio. Qualsiasi violenza corporale, anzi, - attenendoci a quello che ne sappiamo -veniva bandita dal primi cristiani come peccaminosa. E fu per merito delle persecuzioni e martirii sopportati eroicamente per tre secoli che alfine il cristianesimo vinse, conquistando il diritto ad essere apertamente e liberamente professato. Ma il guaio per lui fu che non si content� di questa conquista di libert�. Volle diventare religione di Stato, con Costantino  si alle� ai governanti, conquist� cio� non pi� soltanto le anime ma anche il potere materiale, il potere della violenza, e poco a poco da perseguitato divent� persecutore. Di li ebbe principio la degenerazione che caratterizzo per tutto il medioevo  e dopo il cattolicesimo, trasformandolo in cultore della violenza corporale e spirituale. Durante circa sedici secoli di dominio incontrastato non solo non diede vita a nessuno dei postulati del Vangelo, ma and� contro tutti i dettami di questo: fiumi di sangue e mucchi di rovine segnarono il cammino dell'autorit� della Chiesa attraverso il suo imporsi nel mondo. Lo spirito d'umilt� che caratterizzava il cristiano primitivo, la semplicit�, lo sprezzo delle ricchezze, l'amore del prossimo, cedettero il campo alla vanit�, all�orgoglio, al fanatismo, alla fame dell'oro, alla prepotenza. L'autorit� muto i cristiani, non appena furono i pi� forti, in torturatori e carnefici dei loro fratelli in Dio.

Con tutto ci� non vogliamo negare che il cristianesimo abbia operato una profonda rivoluzione spirituale giovevole all'umanit�,  il merito ne spetta alla parte morale che si afferm� e trionf� durante i primi secoli, e poi fece la sua strada indipendentemente dal preti e tiranni della Chiesa diventata governo o complice dei governi, ed anzi contro di questi. Il suo spirito divent� sempre pi� estraneo ai poteri coronati, mitrati e porporati, e si rifugi� sempre pi� fra gli eretici e fra i ribelli. Lo stesso vanto che la religione cristiana e cattolica ostenta dell�abolizione della schiavit� � giusto so1o in parte. Essa vi ha certo contribuito con la predicazione egualitaria dei primi secoli; ma, mentre bisogna ricordare che gi� gli stoici pagani avevano minata la schiavit� e che a scuoterla contribu� grandemente il mutare dei fattori economici generali, � anche vero che la chiesa non di rado utilizz� essa stessa la schiavit� e favor� pi� la sua trasformazione in servaggio  che la sua abolizione. La religione, divenuta chiesa ufficiale, potenza terrena e forza violenta, si trasform� in organo di oscurantismo spirituale, di oppressione materiale e di sfruttamento senza pudore ne ritegno.

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La Grande Rivoluzione (1789-1794) distrusse il potere della monarchia assoluta, il predominio e il privilegio del clero e dell'aristocrazia. La patte pi� importante della rivoluzione quasi si oper� senza troppo uso della violenza, poich� questa non si scaten� furiosa che negli ultimi due anni, cio� quando la rivoluzione incominciava a declinare ad esclusivo vantaggio della borghesia. Robespierre, che predomin� in quei due anni, uccise la rivoluzione per mezzo della violenza sistematica, la quale, dopo aver divorato i nemici de1la rivoluzione, divor� anche i rivoluzionari migliori e pi� ardenti, e alfine lo stesso Robespierre.

Non � da pensare che Robespierre, come i suoi amici e collaboratori Saint Just, Carnot, ecc. abbiano operato con malignit�. Al contrarlo, essi operarono sinceramente, credendo di salvare la rivoluzione col mandare alla ghigliottina prima i nemici di quella o supposti tali, e poi i suoi pi� fedeli ed entusiasti difensori: Hebert e gli hebertisti perch� secondo Robespierre troppo estremisti ("anarchici" e "arrabbiati", come furon chiamati allora), Danton e i dantonisti a causa della loro moderazione. Il dittatore Robespierre e il suo Comitato di Salute pubblica, senza volerlo, furono trascinati e accecati, come sempre succede a chi si lascia attrarre sul terreno del terrore e del sangue, dall�ingranaggio stesso che avevano montato e messo in movimento. A un certo punto quest'ingranaggio divent� pi� forte di loro. Commisero il grave errore di elevare a principio sistematico la violenza, che non era che un incidente puramente passeggero della lotta, e di credere l'autorit� e l'accentramento pi� utili mezzi rivoluzionari della libert� e dell'iniziativa popolare; e il dispotico ingranaggio alla fine li stritol�.

Fu cosi che trionf� la reazione di Termidoro, e Robespierre, Saint-Just e gli altri  salirono la ghigliottina su cui essi avevano mandato tanti altri; la rivoluzione fu soffocata, affogata nel sangue, e la Francia diventa facile preda dell'avventuriero Bonaparte, il quale a sua volta distrusse con la prepotenza e violenza armata quanto rimaneva ancora della rivoluzione, ci� che non era passato per la ghigliottina durante l'anteriore mutuo sgozzamento.

Molto di simile si potrebbe dire della Rivoluzione Russa, per quanto dopo quasi 14 anni ancora non si possa dire chiuso quel grande avvenimento storico. La rivoluzione russa, che nel 1917 e per un paio d'anni appresso fu il faro luminoso o la stella polare del proletariato internazionale nelle agitazioni e lotte del post-guerra per la sua emancipazione economica e politica, una volta caduta nelle mani del partito bolscevico venne costretta nel letto di Procuste del programma del partito, degli interessi del partito, della politica del partito; ed il partito, e per esso i suoi capi ne divennero i padroni assoluti, l'autorit� suprema.

Che gli apriorismi cui il partito bolscevico ha assoggettata la rivoluzione siano o non siano marxismo, o piuttosto leninismo; che il partito sia o no restato fedele a quest'ultimo, ecc. sono questioni che non c'interessano. Fatto sta che si � creato ed imposto alla rivoluzione un dogmatismo che la soffoca, come il credo d'una chiesa soffoc� il cristianesimo. L'autorit� del partito, piccola minoranza, per reggersi non poteva non ricorrere alla violenza sempre pi� sistematica, accentratrice e intollerante di qualsiasi libert� e ci� tanto pi� inevitabilmente che il partito bolscevico era gi�, anche da prima dell'andata al potere, il pi� autoritario dei partiti socialisti. E cosi avvenne che la Rivoluzione Russa, nelle mani di un partito ultra- autoritario e assoggettata a forza ai fini politici di questo, non pot� dare tutto quello di buono che da essa era possibile aspettarsi.

Con tutto ci� non vogliamo punto affermare che la Rivoluzione russa non abbia avuto benefici effetti, come non si potrebbe dire ci� per la Rivoluzione del '89 e per la rivoluzione cristiana: la rivoluzione, quando emana dal popolo ed abbatte i vecchi regimi, segna sempre un progresso. Ma il progresso determinato dalla rivoluzione russa non sar� visibile, sar� al contrarlo oscurato e sempre in pericolo, finche il popolo russo non riprender� l'iniziativa dell'azione e non abbatter� la nuova tirannide dl sfruttamento e di violenza rappresentata dall'autorit� statale bolscevica, la quale, come un nuovo czarismo, con la sua enorme burocrazia civile e militare succhia con avidit� d'affamato il sangue vivo di quel grande paese. La Rivoluzione Russa non � morta, � soltanto imbavagliata. Essa per� non risorger�, pel bene del proletariato russo e insieme per tutto il proletariato Internazionale, finch� non si sar� liberata della dittatura, la quale si � imposta al popolo russo con la violenza, affogando nel sangue ogni protesta, ogni ribellione ed ogni libert�.

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E' sorprendente osservare l'atteggiamento che assumono alcuni anarchici di fronte a Tolstoi ed alle sue idee, quando parlando o scrivendo  si accorgono che le loro idee hanno qualche analogia con quelle di Tolstoi. Essi hanno una singolare ed immancabile cura di avvertire subito che non sono tolstoiani; e lo dicono con una forma tale, come se condividendo la fede dl Tolstoi si commettesse un delitto o qualcosa di simile.

Cos� pure, alcune volte si sente qualche anarchico accusare il compagno di cristianesimo, e questi si sente offeso e si difende come d�un vero e proprio reato di leso anarchismo. Oggi � di moda il gandhismo, e v'e chi si preoccupa degli argomenti di Gandhi contro l'impiego della violenza come di un pericolo per la rivoluzione e l'anarchia. Vi sono alcuni che non vogliono neppur sentire parlare di Cristo, o di Tolstoi, o di Gandhi, per il semplice motivo che essi condannarono l'uso della violenza, come se sul serio la salvezza del mondo riposasse unicamente sul principio sistematico della violenza.

A mio modo di vedere, non v'e niente di condannevole nel professare certi principi  cristiani in rapporto alla questione sociale, applicando alla risoluzione del vari problemi materiali di questa le grandi massime del cristianesimo, la paternit� di molte delle quali del resto non appartiene a Ges�. Come anarchici non possiamo solidarizzare con Nietzsche n� ripeter con lui che il cristianesimo, avendo ucciso lo spirito dionisiaco, inaugur� la morale degli schiavi e dei falliti. Se fossimo davvero dei super uomini la cosa cambierebbe; ma, dato che non lo siamo, dobbiamo preferire la morale cristiana, tolta dagli Evangeli, alla morale decadente della civilt� greco- romana al suo tramonto.

La morale anarchica non appare all�improvviso come un fungo dopo una pioggia bens� � la sintesi delle aspirazioni umane, la parte pi� buona di esse; come si sono sviluppate attraverso secoli di lotta e di evoluzione, sia nella vita materiale che in quella del pensiero e del sentimento. Se ne ritrovano le tracce  precorritrici in tutte le rivoluzioni precedenti politiche, sociali e spirituali, e cos� pure in tutte le pi� varie correnti filosofiche, religiose e morali, compreso il cristianesimo. Se quindi un anarchico fa sue certe massime di quest'ultimo, come "ama il prossimo tuo come te stesso" oppure "non fare ad altri ci� che non vuoi che sia fatto a te stesso", non so per qual motivo lo si dovrebbe condannare n� quali obiezioni gli si potrebbero fare dal punto di vista Anarchico, poich� quelle massime mi pare riflettano appunto uno dei lati della morale anarchica. Secondo me l'anarchismo fa suoi i principi buoni ed umani, dovunque li trova, senza badare o interessarsi da dove vengono e chi per primo li profess�.

Per tornare al concetto della violenza, - concetto che d'altronde scaturisce da tutto ci� che ho detto fin qui, - credo necessaria una distinzione tra due specie di violenza: la violenza che viene dall'alto, quasi sempre organizzata e inquadrata nelle leggi,  e quindi violenza legale e la violenza che parte dal basso, cio� esercitata dal popolo oppresso, per difendersi e liberarsi dal suoi oppressori.

La prima, la violenza esercitata dallo Stato e dalle classi possidenti organizzate intorno a questo per sfruttare ed opprimere il popolo, abbraccia tutte le manifestazioni della vita, e l'individuo non fa un passo senza sentirne il peso. Incomincia nella scuola, violentando la mentalit� del fanciullo con una falsa educazione, vero imbottimento dei cervelli con falsi principii  e di relazioni d�ordine politico e religioso, che gl'insegnano ad ubbidire, ubbidire sempre, e a confidare soltanto in coloro che comandano e che possiedono. Dopo la scuola, viene la caserma che s'incarica di distruggere nel giovane ci� che v�era rimasto d'indipendente nella sua personalit�. Nelle relazioni sociali viene sfruttato, sia come produttore che come consumatore; e come se ci� non bastasse il fisco governativo gli ruba quel che non gli fu tolto dal capitalismo. Dunque lo stato non esercita la violenza solo quando scioglie un corteo o qualche dimostrazione di protesta, o quando difende con le armi gli interessi del capitalisti e dei governanti a danno del lavoro. Non solo mantiene in piedi l�ingiustizia con la sua violenza organizzata, bens� violenta gli individui fin dalla loro infanzia con lo scopo di consolidare la propria esistenza e quella della classe da lui difesa.

Che se poi alla casta statale e alla casta possidente la violenza legale � ufficiale non basta ad assicurar loro il pacifico e tranquillo sfruttamento delle masse, a difendere il proprio privilegio del potere e della ricchezza ed il diritto all�ozio, allora quelle non hanno ritegno alcuno di violare le proprie leggi medesime, di ricorrere alla violenza illegale, sia ipocritamente cos� come spesso avviene anche sotto i regimi sedicenti democratici, sia apertamente e cinicamente col gettare a mare ogni legalit� e calpestare ogni diritto individuale e collettivo come sotto i regimi dittatoriali. E' noto che in quest'ultima forma � sorto il fascismo internazionale.

Contro tanta e cos� inumana violenza dall'alto era naturale ed inevitabile che scaturisse dal basso una violenza opposta, sia come reazione incosciente provocata dalla disperazione della misera carne umana calpestata e martoriata, sia come legittima difesa e tentativo cosciente di liberazione di individui e gruppi resisi conto dell'ingiustizia enorme della propria situazione di oppressi e di sfruttati. Questa violenza della rivolta � antica come la violenza dell'oppressione, e si � manifestata sempre attraverso i secoli, ora sconfitta da repressioni sanguinose, ora vittoriosa con le rivoluzioni cui abbiamo accennato pi� sopra.

Questa violenza dal basso, esercitata dagli oppressi contro gli oppressori, qualunque sia la forma con cui si esplica, e umanamente e logicamente comprensibile, spiegabile e quasi sempre giustificabile. Per�, se consideriamo la violenza non solo come un fatto compiuto del passato da studiare, ma come un prodotto della volont� nostra da attuare o consigliare in vista di uno scopo preciso da raggiungere (nel caso nostro, lo scopo liberatore e ricostruttore dell'anarchismo), allora bisogna ricordare che una cosa spiegabile e sotto diversi aspetti giustificabile, non sempre � di per se stessa buona ed utile e quindi consigliabile e  raccomandabile. Tanto meno poi pu� essa essere elevata a principio o a sistema, senza pericolo di trasformarsi in elemento dannoso, malgrado la violenza sia esercitata in nome di un ideale superiore. Appunto perch� ideale superiore,  questo per rimanere tale deve ispirare una linea di condotta ed un sistema di lotta in concordanza coi suoi principii e postulati.

L�anarchismo, essendo un ideale umano, non pu� e non deve far scempio della vita altrui, e tanto meno deve far uso della violenza in modo stordito, pretendendo riparare una ingiustizia col commetterne un�altra equivalente o superiore. Quando le sante ire del popolo scoppiano come una tempesta, non saranno certo gli anarchici a far da pompieri; bens� cercheranno di aiutare il popolo a profittare dello sforzo realizzato per distruggere tutto ci� che si considera pernicioso ed inumano, creando qualcosa di nuovo in concordanza con le loro aspirazioni ed in armonia coi pi� immediati bisogni di tutti. Ma, come iniziativa propria, essi porteranno nella rivoluzione il proprio spirito umano e libertario, soprattutto rivolto all�avvenire. In coerenza con l�ideale superiore del anarchismo forzosamente nemico della violenza, senza di che non potrebbero arrogarsi il diritto di dirsi patrocinatori di una sempre maggiore felicita, fatta di liberta e di benessere, per gli uomini tutti.

Nemico della violenza, l�anarchismo deve evitarla  pi� che possibile, non ricorrere ad essa se non nei casi estremi di necessita superiore, come legittima difesa e abbattimento di una violenza opposta ben determinata; che sia rivolta cio� contro di questa ben direttamente e non ciecamente, quasi a caso, col pericolo o magari con le maggiori probabilit� di seminare il dolore e la morte in pura perdita proprio dove e fra chi non si dovrebbe. La smania di fare non deve trascinare a far male; bisogna fare per fare il bene, e quando il bene non fosse possibile a causa di circostanze avverse pi� forti, occorre aver la forza di padroneggiare la propria ira e i propri impulsi,  ed aver la pazienza di creare prima le condizioni necessarie ad agire utilmente nel senso pi� rivoluzionario ed umano nel medesimo tempo. Bisogna ricordarsi sempre che in fin dei conti, anche se si pu� essere costretti dalla necessita creataci dagli oppressori ad usare la violenza, grave errore � quello di lasciarsi spingere da essa fino ad elevarla ad idolo e bruciare incensi ai suoi piedi, come a volte suol farsi a discapito dell'anarchismo ed a suo esclusivo danno.