PROGETTO DI LEGGE UNIFICATO

Norme per la tutela e la valorizzazione della lingua e del patrimonio culturale delle minoranze linguistiche e storiche della Calabria

Intervento del consigliere Damiano GUAGLIARDI

Signor presidente, colleghi consiglieri,

il rispetto nei Vostri confronti e il non volere utilizzare forme istrionesche della comunicazione mi inducono a parlare in questa aula con la lingua di sempre: l�italiano.

Confesso, per�, che in occasione di questo provvedimento, che colma una storica lacuna legislativa verso le minoranze linguistiche di Calabria, forte � la tentazione di tenere un  intervento nella mia prima lingua: quella che da bambino ho appreso dalla bocca dei miei genitori; quella con cui ho giocato nelle mie gjitonie, quella che mi ha procurato grandi difficolt� negli studi, quella che parlo oggi nelle mie comunit�, quella che cerco di far apprendere alle mie figlie.

E� la lingua di quei profughi che, in forme molto simili a quelle odierne, dall�Albania sono arrivati nelle regioni meridionali della nostra penisola tra il XV e il XVIII secolo, e che in cinquecento anni si � mantenuta viva nelle regioni dell�Italia meridionale costruendo nel tempo la sua diversit� nella letteratura, nella storia, nell�antropologia, nelle arti e nella musica.

1.       Oggi, finalmente, ci apprestiamo ad approvare una legge di tutela delle minoranze linguistiche di Calabria, a distanza di poco meno di tre anni dal progetto di legge presentato da me e dal collega Tripodi, grazie alla legge n. 482 approvata il 15 dicembre 1999, con la quale il Parlamento italiano, dopo mezzo secolo di attese, finalmente attua l�articolo 6 della Costituzione nel quale � sancita la tutela di tutte le minoranze linguistiche presenti nel territorio dello Stato italiano. Una legge che solo alla fine del secolo ventesimo colma una lunga assenza legislativa del Parlamento italiano e pone fine ad una storica disattenzione della classe politica italiana la quale per oltre mezzo secolo � stata colpevolmente silente ed inerte verso le minoranze linguistiche interne, o come oggi si afferma storiche.

Minoranze che si formarono nei secoli a causa di fenomeni migratori di popolazione straniera, o, anche, per lo svilupparsi in aree culturali e sociali, come quelle sarda e slovena, di processi endogeni che nel tempo hanno innescato processi linguistici, etnici e antropologici tali da far loro assumere caratteristiche di entit� nazionali, ma che si sono sempre sentite appartenenti alla nazione e allo Stato italiano.

2.       Ma perch� il Costituente italiano, promotore di quella che sul terreno dei principi e dei valori, � la pi� moderna Costituzione del mondo occidentale, ha tardato tanto nel realizzare compiutamente la tutela delle tante minoranze linguistiche interne disattendendo per lungo tempo l�attuazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini italiani sancito con l'articolo 3 della Costituzione? E perch� ha operato con una legislazione di qualit� e di grande modernit� solo a favore di quelle regioni che, essendo confinanti con paesi stranieri, avevano gi� ottenuto per obblighi internazionali l'attribuzione di regioni autonome a statuto speciale?

La risposta la troviamo in quello che fu l�orientamento statuale che si ipotizzava alla fine del fascismo, l�approccio culturale e il forte condizionamento politico che i nostri legislatori, compreso quelli costituenti dovettero subire. Infatti, il nostro legislatore, diversamente da quello spagnolo che alla caduta del franchismo scrive che la Spagna � composta da nazionalit� e da regioni le quali possono essere costituite in comunit� autonome qualora possiedano una lingua propria, � stato fortemente condizionato dai processi culturali e storici che avevano consentito la nascita dello Stato unitario italiano, dalla presa di Porta Pia, alla Prima guerra mondiale e alla caduta del regime fascista. Fu , dunque, l�evoluzione storica del nostro Stato a suggerire al costituente l�eliminazione sistematica dal testo della nuova Costituzione di tutte le espressioni etniche e/o nazionali che potevano determina­re l'affermazione di un principio di riconoscimento giuridico  dei gruppi nazionali, comunque esistenti in territorio italiano, determinando  una tutela delle minoranze italiane differen­ziata, non paritaria sul territorio nazionale. Le motivazione di questo atteggiamento dicotomico nei confronti di due segmenti della societ� italiana repubblicana � sicuramente individuabile nella storia unitaria del risorgimento italiano, ma, soprattutto, al condizionamento politico sulla evoluzione storica dello status giuridico delle minoranze linguistiche che ebbe il legislatore in fase costituente.

3.       Storicamente, l'idea di una tutela delle minoranze nacque, per la prima volta, nel XVIII� secolo all'interno del movimento intellettuale che tendeva a controbilanciare le varie forme di intolleranza rivolte soprattutto verso i gruppi religiosi che si manifestarono in modo rilevante con l'affermazione del pensiero illuminista. Anche nel XIX� secolo il tema delle minoranze rimase confinato esclusivamente ai gruppi religiosi, con una particolare attenzione per gli ebrei, che cominciavano a subire discriminazioni e attacchi non solo per fattori religiosi, ma anche per il loro essere di comunit� nazionale ed economica. Con  la formazione della Societ� delle nazioni all'indomani del primo conflitto mondiale, per effetto delle nuove dimensioni territoriali  che  si erano determinate tra i confini degli stati europei, si tese a  generalizzare la tutela delle minoranze di lingua e di razza oltre che di religione. L'Europa, che  aveva vissuto nel primo ventennio del Novecento la caduta e lo stravolgimento territoriale di grandi potenze imperiali, come  quello zarista e quello austro-ungarico, con la ridefinizione dei nuovi stati nazionali cominci� ad avvertire le difficolt� e i conflitti che scaturivano da grandi gruppi sociali differenti per lingua, cultura e  razza  dalla popolazione maggioritaria del nuovo stato i quali, anche involontariamente,  esercitavano una spinta egemonica e dominante. Nacquero in quel periodo i grandi movimenti culturali protesi a difendere all'interno di uno stato nazionale le grosse aggregazioni sociali che si differenziavano per  lingua,  espressioni culturali, tradizioni e anche per razza dalla maggioranza della popolazione.

L'idea di nazionalit� oppresse come momento di contraddizione dello stato-nazione, dai cui potevano scaturire elementi di conflittualit� sociali diver­si da quelli puramente economici, inizi� il suo percorso di conquista giuridi­ca  dentro le democrazie liberali  europee con l'affermazione degli stati vincitori e la penetrazione diffusa del sistema economico occidentale, che, gi�  da allora, cominciava ad essere sensibilmente condizionato dall'economia americana. D�altra parte, in Italia i principi nazionalistici di tradizione risorgimentale condi­zionarono non poco l'affermazione della tutela dei gruppi linguistici ed etnici; anzi sulla tradizione della politica sabauda, di annessione pi�  che di integrazione del  territorio nazionale, si tese a soffocare qualsiasi voce favorevole ai diritti delle minoranze che erano stati espressi nei trattati di pace della prima guerra mondiale e nella costituzione delle nuove province italiane. Successivamente, la politica del regime fascista appesant� gli orientamenti nazionalistici imponendo alla burocrazia statale forme di italianizzazione anacronistiche che sfociarono in paradossali e ridicole  soluzioni come la modifica  forzata  dei cognomi stranieri o il divieto, soprattutto nelle province  di confine, di usare la lingua materna anche nelle  attivit� strettamente private e personali.

Alla fine della seconda guerra mondiale, gli obblighi internazionali determinati dalla sconfitta militare imposero la questione  della tutela delle minoranze nazionali ed etniche, sicch� il legislatore della Costituente fu indotto a introdurre tra i principi fondamentali della Carta costituzionale l'urgenza della tutela delle minoranze linguistiche di confine, soprattutto per il rispetto degli obblighi derivanti da accordi, trattati e da convenzioni internazionali che intervennero e condizionarono la ricostruzione dello Stato italiano. Ma, i lavori dei costituenti furono condizionati in forma particolare dalla  tradizione liberale del risorgimento italiano che, soprattutto  durante il ventennio  fascista, aveva assunto una marcata definizione  dell'idea  di nazione, nella quale, di fatto, si era negato alle diversit� regionali ogni forma di integrazione nel processo di unificazione nazionale. Questa tradizione di fronte alla drammaticit� della situazione economica e sociale italiana all'indomani della vittoria del fronte repubblicano che, dal Sud al Nord, vedeva minacciata la stessa integrit� nazionale, indusse  il legislatore  costituente ad assumere risolutamente ad immagine della nazione italiana uno Stato territorialmente integro, immune da frazionamenti e diversit� etniche, onde evitare ogni potenziale rischio di rottura dello stato nazionale, che, seppure sostenuto da notevoli sforzi unitari da parte dei parti­ti, delle forze partigiane e antifasciste, rischiava costantemente la rottura ideologica, economica e sociale. Per cui, nonostante in quel tempo una minoranza linguistica non fosse considerata altro che l'espressione di una minoranza etnica, se non nazionale, i lavori della Costituente cercarono di eliminare ogni formula, concetto  o terminologia quale razza, etnia, popoli e  nazioni che mettesse in discussione l'idea che lo Stato italiano potesse assume­re un assetto giuridico di stato plurinazionale, cos� come andavano formandosi nell'Europa orientale. Soprattutto per bloccare fermenti irredentisti che potessero mettere in discussione gli equilibri internazionali sottoscritti nei trattati di pace.

La volont�  di garantire, al di sopra  di tutto, l�integrit� del territorio nazionale, dunque, condizion� fortemente il dibattito dei Costituenti anche durante la definizione dei principi generali di uguaglianza previsti nell'attuale articolo 3, quello sulla attribuzione dell�autonomia speciale alle regioni con presenza di popolazione plurilingue e la discussione sulla formulazione dell'articolo 6 sulla tutela delle minoranze linguistiche.

Tuttavia, il lungo ritardo nell�approvazione di una legge che applicasse �le apposite norme� annunciate nell'articolo 6, non � stato dovuto esclusivamente alla riduzione concettuale del termine minoranza, inteso come gruppo sociale confinato in una dimensione esclusivamente linguistica, pi� vicina  alle  tendenze dialettali della variegata articolazione delle culture regionali o sub-regio­nali dello Stato italiano; e neppure alle capacit� della lingua delle minoran­ze di esprimere una storia di emigrazione, di patrimonio culturale e spiritua­le, di formazione e comunicazione sociale diversa da quella maggioritaria nel territorio.

E� stata l'angustia politica culturale dei partiti della destra storica, sorretta dai partiti laico liberali di emanazione risorgimentale e dai filoni statalisti dell'Italia repubblicana, a porre forti ostacoli per molte  legislature  alla approvazione  di  una legge costituzionale sulle minoranze. E,  nonostante  la diversa sensibilizzazione della classe politica verso i gruppi linguistici espressione di minoranze etniche e storiche del territorio nazionale, lo Stato italiano, pur producendo una legislazione molto avanzata, anche se circoscritta solo a quelle minoranze di confine protette dai trattati di pace e dagli accordi internazionali, si � dimostrato impotente verso le cosiddette minoranze interne tacitando ogni iniziativa di tutela soprattutto attraverso una rigida imposizione della lingua italiana, come unica  lingua ufficiale nel rapporto burocratico e nella politica dell'istruzione di base, anche dopo l'emanazione degli stessi Decreti Delegati sulla scuola i quali prevedevano altri orientamenti sull'uso della lingua materna dei cittadini italiani.

4.       Sul piano dell�innovazione giuridica una conquista importante, che sblocca finalmente la stagnazione della paura politica di frantumazione dello Stato da parte delle minoranze, si ottiene nel novembre del 1992 quando il Consiglio  d'Europa conferisce al progetto di Carta europea delle lingue regionali e minoritarie la veste giuridica di Convenzione europea, e che, purtroppo, l'Italia ratificher� solo nel 2001. Nel preambolo della Convezione si  afferma che �lo scopo del Consiglio d'Europa � di realizzare un'unione  pi� stretta tra i suoi membri, al  fine di salvaguardare  e di promuovere gli ideali  e i principi che  sono il loro patrimonio comune� e, sulla base  dei principi assunti nel tempo dalle varie istituzioni sovranazionali, ribadisce che parlare una lingua regio­nale o minoritaria nella vita privata e pubblica costi­tuisce un diritto imprescindibile. Si afferma, dunque, l�impegno che �la protezione e la promozione delle lingue regionali o minoritarie  nei differenti  paesi  e regioni d'Europa rappresentano un contributo alla costruzione di un'Europa fondata  sui principi della democrazia e della diversit�  cultura­le, nel quadro della sovranit� nazionale e  dell'inte­grit� territoriale� ed inoltre che la protezione �delle lingue regionali minoritarie storiche dell'Europa, di cui alcune rischiano sempre pi� di sparire, contribuisce a mantenere  e a sviluppare le tradizioni e la ricchezza culturale dell'Europa�.

Con questa risoluzione, superato finalmente il dibattito, quasi secolare, sul concetto di minoranza come segmento di nazionalit� interna ad uno  stato nazionale, si definiscono �lingue regionali o minoritarie le lingue usate tradizionalmente su un territorio di uno Stato da appartenenti di questo Stato che  costitui­scono  un gruppo numericamente inferiore al resto della popolazione  dello Stato, e diversi  dalla  lingua ufficiale di questo Stato�. In questo modo le antiche minoranze interne assumono una dimensione e una collocazione pi� universale, non necessariamente legata alla dimensione specificatamente territoriale.

Superato l�ostacolo storico-politico  che associava le minoranze linguistiche a segmenti di popolo in conflitto con la popolazione maggioritaria di uno stesso Stato nazionale che parla un�altra lingua ufficiale e il rischio di un possibile conflitto per nuove definizioni territoriali dello Stato medesimo, la Carta va oltre, sostenendo l�impegno del riconoscimento delle lingue  regionali  o minoritarie in � quanto espressione della ricchezza culturale� dell� Europa; per cui c�� �la necessit� di un'azione risoluta di promozione delle lingue regionali o minoritarie al fine di salvaguardarle facilitando l'incoraggiamento dell'uso orale e scritto delle lingue regionali o minoritarie nella vita pubblica�.

Gli organismi europei pervenendo al concetto di lingua quale veicolo dinamico della storia sociale, politica e intellettuale dell'uomo nella societ� accantonano definitivamente la concezione classica che associa la lingua alla condizione di identificazione nazionale. E� del tutto evidente che i legislatori europei abbiano avuto come ispiratori di tale affermazione i passaggi giuridici che sono stati avviati dai primi trattati internazionali stipulati alla fine della prima guerra mondiale, sulla tutela della minoranze di razza, di lingua e religione; sono poi passati per le varie costituzioni europee, in particolare  quelle nate dopo la seconda guerra, e seguendo i problemi giuridici conseguenti alla complessit� del processo dell'unione politica dell'Europa, sono, infine, pervenuti alla definizione �di lingua minoritaria quale bene culturale di un popolo�, soprattutto per sancire alcune sintesi del diritto europeo, teso a tutelare all'interno del libero mercato e della liberalizzazione delle frontiere, l'individuo quale membro di un gruppo nazionale, pi� o meno grande. Tale risultato consente di allargare la prospettiva della tutela linguistica liberandola quasi  integral­mente dai condizionamenti nazionalistici che avevano caratterizzato la storia dell�Europa nel Novecento e reso difficoltosa l'azione del legislatore per la presenza di una opinione pubblica ancora permeata in molti settori  da sentimenti nazionalistici.

Se ci� risponde al vero, sul piano strettamente giuridico, il ricono­scimento di una minoranza come bene culturale rappresenta lo strumento adatto per risolvere i conflitti che nascono nell'intreccio tra la tutela degli interessi collettivi e la tutela degli interessi dei singoli. Qualsiasi principio giuridico che pu� essere adottato quale principio ispiratore di disciplina dell'uso della lingua, trova un fattore di unificazione, da una parte, nella difesa del libero sviluppo della personalit�  umana e, dall'altra,  nella diffusione dello spirito di solidariet� fra soggetti comunicanti. Ci� comporta la libert� di usare la lingua  che si  ritiene propria, e questo atto non pu� essere assolutamente limitato se non quando esso � lesivo per la libert� altrui. Per cui il libero uso di una lingua presuppone l'attuazione del principio di uguaglianza sostanziale e non quello formale come in parte avviene nell'ordinamento italiano, per effetto della non attuazione dell'articolo 6 della Costituzione, nonostante la recente approvazione della legge 482 in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche.

Il  riconoscimento  di lingua come bene culturale, al pari di ogni  altro bene culturale, merita l�attenzione del legislatore e, per come gi� dispone la Costituzione spagnola, diventa una pi� ampia cornice di attuazione del principio pluralista, capace di procedere sulla strada della valorizzazione di qualsiasi particolarit� linguisti­ca-culturale.

Considerato che le differenze etnico e linguistiche non possono essere n� motivi di discriminazione dei cittadini, n� causa principale della contrapposizione politica dei gruppi sociali organizzati � evidente  che l'ampiezza del concetto di bene culturale, in cui rientra il provvedimento di tutela di una lingua, impedisce il nascere di conflitti di interessi particolari degli individui appartenenti al gruppo con quelli collettivi del gruppo stesso. Conflittualit� che, ovvia­mente, non pu� risolversi privilegiando una delle componenti, ma ricercando una soluzione equilibrata che assicuri al massimo la tutela degli interessi conflittuali. Questa  impostazione, che nella Carta europea non � estensiva alle espressioni  linguistiche minori, quali possono essere i dialetti, permette il rafforzamento dello spirito di compren­sione  e di solidariet� tra i popoli, proprio nella  affermazione che nessuna delle lingue, piccole o grandi, antiche o meno antiche, pu� essere migliore o peggiore delle altre, rimovendo, in questo, atteggiamenti di disprezzo e di ostilit� verso coloro che usano lingue diverse dalla nostra. In questo senso il binomio individualismo-nazionalismo viene sostituito da un  possibile altro binomio gruppo-unione, o forse ancor meglio comunione, necessario  al processo unitario europeo. Esiste tuttavia il rischio di una concezione passiva della tutela che porterebbe alla rappresentazione di una lingua come bene museale e documentario. La costituzione di musei, centri studi e culturali, scuole specializzate, archivi di documentazione non avrebbe alcun effetto positivo se la lingua oggetto di tutela non dovesse essere protagonista nella comunicazione sociale e nella produzione di nuova cultura. Solo consen­tendo alle lingue un uso continuo e un protagonismo quotidiano, si riafferma la convinzione della evoluzione dei codici di comunicazione e lingui­stici, rigettando la tesi di volere fermare il corso della storia mediante la conservazione forzata di una lingua. In conclusione, dall'acquisizione concettuale di minoranze linguistiche come espressione della cultura di un popolo, la politica di tutela di queste realt�, al di l� dell'enunciazione di principio dell'articolo  6,  in Italia deve essere riconducile all'altro principio espresso nell'articolo 9 della Costituzione che impone alla Repubblica di promuovere lo sviluppo della cultu­ra  e la difesa del patrimonio storico e artistico. In questo modo, partendo dal presupposto che una lingua � un bene culturale, la tutela delle minoranze linguistiche in Italia dovrebbe trovare una sede naturale nella legislazio­ne scolastica e in quella dei beni culturali.

5.       Con l�approvazione della Legge 482 recependo i valori della Carta europea delle lingue  regionali o minoritarie e delle precedenti Deliberazioni del Parlamento europeo, il Parlamento italiano ha, cos�, superato il sofferto dibattito che vedeva nella tutela delle minoranze linguistiche non di confine un rischio per l�integrit� dello Stato post-unitario, contribuendo attivamente alla costruzione di una Europa dei popoli che mette a  fondamento della sua democrazia il riconoscimento delle diversit� linguistiche, culturali, razziali e religiose. Con questa legge, anche in Italia si riconosce che le culture regionali minori e le minoranze linguistiche sono bene generale da tutelare e si legittima il principio che le lingue minoritarie sono un veicolo di unit� tra popoli e nazioni il cui patrimonio linguistico e culturale rappresenta una notevole risorsa economica.

Grazie a questo provvedimento le Regioni non a Statuto speciale possono finalmente tutelare le proprie minoranze regionali e anche la Calabria,  finalmente, si pu� rendere attuale la lettera r dell�articolo 56, del vecchio Statuto regionale che, pur nella dimenticanza della minoranza di lingua occitanica presente nel Comune di Guardia Piemontese (CS) e del variegato arcipelago linguistico dei nomadi di Calabria afferma che nel rispetto delle proprie tradizioni, promuove la valorizzazione del patrimonio storico, culturale ed artistico delle popolazioni di origine albanese e greca; favorisce l�insegnamento delle due lingue nei luoghi ove esse sono parlate�.

Una affermazione solenne, culturalmente avanzata per quegli anni, che sul piano dei grandi principi sfidava l�egemonia culturale delle destre che qualche anno prima avevano dato vita alla RIVOLTA DI REGGIO, ma, purtroppo, non � stata sufficiente nel corso della sua seconda legislatura ad evitare la forbice dell�allora Commissario di Governo che bocci� una legge di questo Consiglio a favore delle minoranze linguistiche. Nel tempo la politica si � dimenticata delle minoranze linguistiche e, nonostante le incessanti sollecitazioni delle comunit� linguistiche, non � stata in grado di intervenire adeguatamente n� sul terreno legislativo n� su quello della programmazione economica. La redazione dell�Asse 2 del POR Calabria � un segnale emblematico della sottovalutazione di questi beni verso una nuova politica dello sviluppo altro di gran parte della classe dirigente, non  solo politica, calabrese.

Con questa giornata si avvia una processo favorevole per le minoranze che il testo del  nuovo Statuto regionale ha gi� voluto colmare. Mi riferisco al riconoscimento del popolo Rom come appartenente all�arcipelago delle minoranze storiche, oggetto di tutela; mi riferisco al riconoscimento di una rappresentanza dei Comuni di lingua minoritaria nell�ambito del Consiglio delle Autonomie locali.

In un momento cos� qualificante della nostra azione legislativa mi sembra necessario anche puntualizzare con quale spirito e dentro quale dibattito abbiamo affrontato la discussione di merito della legge che stiamo per approvare.

Da appartenente alla comunit� linguistica albanese e, dentro una angolazione del tutto diversa da quella di voi tutti, nelle tante e anche vivaci discussioni nella Commissione e nelle comunit� interessate alla legge, ho intravisto due modalit� di approccio al problema: uno esterno alle minoranze e l�altro interno.

Due idee diverse di affrontare il problema che, conseguentemente, portano a due diverse modalit� di intendere la prospettiva della tutela della lingua e della valorizzazione del patrimonio etnico-linguistico.

E� del tutto evidente che l�approccio esterno ha un carattere statico e passivo: pensa di gestire gli spazi che gli offre la legge nazionale, aggiunge qualcosa di suo a livello regionale, punta esclusivamente alla difesa della lingua, dentro una gestione del tutto istituzionale delle poche risorse disponibili. Ci� comporta una sorta di imbrigliamento delle aspettative che in molti avevano riposto sulla 482. Non solo: favorisce i pi� forti sul piano politico perch� restringe in ambito centrale la distribuzione delle risorse, perch� si regge sulla discrezionalit� e sulla mediazione, non sui diritti e sulle opportunit�. Ovviamente fanno parte di questa schiera coloro che sono pi� realisti del re e non vedono nelle due leggi di tutela (nazionale e regionale) alcuna prospettiva di sviluppo futuro. Molti sono anche vecchie volpi alle quali l�arrivo di risorse finanziarie serve per rafforzare l�immagine di buoni sindaci.

Sicch�  non appena la Terza Commissione del Consiglio Regionale ha licenziato a larga maggioranza il testo unificato dei tre progetti di legge in materia di tutela delle minoranze linguistiche di Calabria, siamo stati assaliti da roventi polemiche e  contestazioni  provenienti, soprattutto, da ambienti universitari, da qualche uomo politico arb�resh e da qualche associazione interessata. A loro dire la legge � un pateracchio perch� di fatto non affida l�intervento di tutela alla scienza, soprattutto quella linguistica,  agli istituti e alle fondazioni.

E questi signori, titolari dei saperi e direttori di tanti cosiddetti istituti scientifici, quando hanno visto non raggiunto un loro piccolo interesse immediato hanno starnazzato a destra e a manca �e lo faranno per tanti mesi ancora- contro la classe politica di questo Consiglio accusata di approvare una la legge non  rappresentativa della omnia scienza albanologica o grecofona.

A loro dire, dopo due anni di inutili e ritardatarie polemiche, i consiglieri regionali avrebbero partorito un topolino rachitico e ammalato di consociativismo. Ma, quel che stupisce delle critiche  di questi censori � il venire a sapere che, mentre nella passata legislatura le convergenze unanimi in sede  Commissione erano sintesi unitarie dei suoi componenti, in questa legislatura ci� non vale e le stesse convergenze sono ritenute uno scandaloso consociativismo trasversale.

Sed sicut tempora currunt, diremmo in latino maccheronico se noi, poveri eletti consiglieri regionali, fossimo insigniti di titoli accademici e dottorati di ricerca. Non lo siamo, e, pertanto, siamo costretti a ragionare con le volgari categorie politiche dei miseri mortali che siedono in Consiglio regionale.

A fronte di queste astiose e interessate polemiche penso che due sono gli aspetti prioritari da cui partire.

La legge regionale non si pu� sovrapporre alle norme previste da quella nazionale, che, fra l�altro, � legge costituzionale, per cui i principi e i soggetti attuatori in essa contenuti non possono essere messi in discussione da nessuna legge regionale. Mi pare giusto, dunque, rasserenare quanti sentono a rischio qualche titolo acquisito; mi sembra altrettanto giusto non riproporre ci� che si � gi� conquistato con la legge nazionale.

In seconda battuta � del tutto evidente che questa legge, che � possibile grazie alla 482 del 99, � impostata sullo spirito della Carta europea dei diritti delle minoranze regionali, la quale, superando la visione angusta dell�unit� linguistica dell�italiano come elemento fondamentale dell�integrit� dello Stato, ha esteso alle minoranze linguistiche il concetto di bene culturale sul quale costruire l�Europa dei popoli e non quella dei mercati.

La lettura critica della legge regionale non pu� trascurare ci� e non a caso il secondo articolo procede alla definizione del concetto di bene culturale di una minoranza linguistica che, va detto, � un�interessante innovazione nel sistema legislativo calabrese.  Non mi sembra poco il fatto che nell�art. 2, oltre alla lingua e al patrimonio letterario,  costituiscono bene culturale delle comunit� di minoranza il  patrimonio storico e archivistico, il canto, la musica e la danza popolare, il teatro, le arti figurative e l�arte sacra, le peculiarit� urbanistiche, architettoniche e monumentali, gli insediamenti abitativi antichi, le istituzioni educative, formative e religiose storiche, le tradizioni popolari, la cultura materiale, il costume popolare, l�artigianato tipico e artistico, la tipizzazione dei prodotti agro-alimentari, la gastronomia tipica, e qualsiasi altro aspetto della cultura materiale e sociale.

Si pu� anche fare sarcasmo dozzinale su questo articolo, ma ritengo al contrario che � questo passaggio lo strumento di rottura di un isolamento storico, in cui i cultori della letteratura, della lingua e della storia, avevano isolato per un�intera fase gli interessi di tutela.

Questa definizione, tra l�altro, � frutto non solo dei principi della Carta europea, ma del percorso faticoso e autonomo che il mondo arb�resh ha attraversato negli ultimi trent�anni nella ricerca faticosa di riempire di contenuti pi� estesi la lotta per la difesa della propria identit�. Forse siamo immemori dei tanti incontri nei quali noi tutti constatavamo che il bilinguismo cosiddetto zoppo aveva rotto, nel processo della socializzazione infantile, gli argini della difesa monolinguistica che si limitava solo alle azioni della comunicazione orale: parola e ascolto. Ci siamo dimenticati della impotenza verso l�estensione delle nuove comunicazioni sociali della fine del secondo millennio che, nel processo di socializzazione primaria italo-albanese, era passato da soggetto monolingue a soggetto bilingue, da soggetto che comunicava in albanese senza poter  leggere e scrivere nella sua lingua madre a soggetto che era costretto ad usare il codice italiano perch� dotato delle quattro facolt� della comunicazione: lettura e scrittura, ascolto e parola. E ci siamo ancora dimenticati che questo stato della socializzazione infantile, mentre era un grande privilegio per le altre fasi di socializzazione dell�arb�resh, purtroppo, indeboliva ineluttabilmente, nello stesso soggetto, la difesa emotiva e comunicativa della lingua della comunit�.

Dunque, in epoca di globalizzazione, di comunicazione a rete e in tempo reale per via satellitare, bisogna avere coscienza che difendere una lingua, appresa nei secoli dentro l�ambito familiare e della comunit� di villaggio, presenta compiti ardui e di non facile soluzione. L�insegnamento della lingua diventa quindi il compito pi� gravoso, ma indispensabile e necessario. Bisogna convincere i bambini e le famiglie a far studiare la lingua materna, bisogna assistere e sollecitare questa esigenza, bisogna ricostruire una lingua che nel tempo ha perso la sua compattezza originaria. C��, dunque, necessit� di formare insegnanti e docenti, di estendere con corsi di alfabetizzazione e aggiornamento gli operatori linguistici; c�� da ricostruire un codice linguistico sul piano lessicale, da portarlo dalla parlata locale all�albanese ufficiale. In questo senso c�� bisogno dell�universit�, dei suoi laboratori scientifici e dei suoi ricercatori. Nessuno, quindi, nega o vuole negare il ruolo determinante della ricerca e dell�universit� in questo campo.

Tutto questo aspetto va affidato alle universit�. Lo prevede la 482 e mi auguro che ci� avvenga.

Ma isolandoci alla sola questione linguistica, le culture minoritarie verrebbero comunque tutelate? Due sono le possibili risposte: no qualora l�intervento si limitasse semplicemente all�insegnamento e apprendimento della lingua; si se l�intervento si estendesse a tutti gli aspetti della vita associativa e culturale della comunit�. In questo caso, per�, avremmo un�estensione sovradimensionata dei compiti dell�universit� che andrebbe ad occupare spazi che competono ad altre istituzioni. Questo ragionamento, fatto con la logica del buon senso, del rispetto delle istituzioni locali e dei diritti di tutti i componenti delle minoranze linguistiche, ovviamente va esteso anche a tutti coloro che ritengono che la tutela e la salvaguardia delle minoranze di Calabria passi unicamente dai saperi scientifici di universit�, dalle fondazioni o dagli istituti vari; rispettabilissimi soprattutto perch� sono scientifici. Ma il mondo scientifico nella storia delle nazioni ha mai scavalcato i compiti affidati alla politica? Pu� un istituto scientifico decidere per il risanamento di una gjitonia, per la valorizzazione del patrimonio religioso, per il dimensionamento scolastico, per un piano di intervento di uno o pi� comuni?

Nella vita tutto � possibile; nella democrazia calabrese mi pare di no!

E, allora, se le minoranze di Calabria devono essere tutelate come bene culturale, in questa direzione bisogna tutelare la cultura materiale, quella architettonica e monumentale, il rito religioso, il patrimonio etnico e culturale, ovviamente con obiettivo  centrale la salvaguardia della lingua.

Questa legge, cos� oltraggiata da qualche settore del mondo accademico e da alcuni fautori della scientificit�, sempre e ovunque, che si voglia o no, guarda a tutti i cittadini delle comunit� linguistiche e va letta attentamente se non si vuole correre il rischio di sembrare partigiani stizziti.

Ma, se critica deve esserci, essa lo sia nel merito della legge partendo dai bisogni della salvaguardia per entrare nel contesto delle inadempienze. Questo � il campo del confronto vero su cui nessuno vuole sottrarsi. I sarcasmi, i giudizi -anzi i pregiudizi- sommari, le bocciature pretestuose, le critiche sussurrate lasciano il tempo che trovano e non costruiscono nulla di buono. Anzi fanno pensare che in fondo si tratta sempre e soltanto di gestione pi� o meno riconosciuta.

6.       Con grande serenit� penso che sia stata elaborata una legge che non � n� pura gestione n� solo affermazione di principi.

Due anni di ritardo e di aspro confronto sono stati determinati da questa dicotomia tra legge di gestione o legge di indirizzo e di principio.

Personalmente ho sempre pensato che per le minoranze di Calabria, oltre alla gestione di risorse che possono essere individuate, c�� bisogno di uno strumento legislativo che possa permettere alle loro amministrazioni comunali di utilizzarle in relazione con l�intera attivit� di governo del territorio calabrese, soprattutto sul terreno dell�economia e delle possibili risorse di sviluppo della regione. Non ho mai amato i ghetti, figuriamoci se posso permetterlo per quella che � la mia cultura madre e ho lottato perch� ci� non avvenisse e, forse, qualche risultato � stato ottenuto senza perdere neanche le risorse economiche.

Ma ci� lo vuole, soprattutto, quel secondo gruppo arb�resh, diciamo quello dell�approccio interno, che da almeno vent�anni ha visto negli strumenti legislativi le strade per salvare il patrimonio linguistico, per uscire dall�isolamento territoriale, per arginare la crisi demografica, e quindi linguistica, delle comunit�, per sperare nel rilancio economico, per il recupero del patrimonio urbanistico ed architettonico, per il consolidamento del territorio e il potenziamento delle vie di comunicazione, per l�uso del turismo culturale come opportunit� economica.

E� del tutto evidente che chi sostiene questa  legge non pensa, esclusivamente a  comunit�  che usano un codice linguistico diverso da quello standard. Guarda alla Calabria e all�opportunit� che viene offerta per ricordare all�Italia e all�Europa che in questa regione vivono segmenti di popolo che esprimono storia, cultura, relazioni sociali che fanno parte del patrimonio che ha costruito la democrazia italiana e rivendicano il diritto di essere particelle del grande popolo dell�Europa unita. Costoro non pensano solo alla lingua come codice di comunicazione, ma alla sua salvaguardia anche come uso economico della risorsa �bene culturale�.

Le due cose non si escludono, anzi si rafforzano.

Non ci vuole molto per capire che il dispositivo di tutela della lingua previsto dalla 482 � del tutto insufficiente al mantenimento del codice linguistico minoritario dentro un ambito cos� vasto qual�� oggi la globalizzazione delle comunicazioni. E che la legge nazionale abbia subito qualche intoppo non � ravvisabile solo nella forma di gestione scandalosa che attua il comitato ministeriale, ma anche nella esperienza diretta nelle scuole  dell�obbligo come ha dimostrato un recente �anche se clandestino- convegno a Spezzano Terme nel quale sono stati aspramente criticati i dirigenti scolastici. Mi pare  del tutto evidente che oggi si salva la lingua se all�infante si offre un sistema di comunicazioni che renda appetibile e fruibile il codice linguistico materno. Si ha, perci�, bisogno assoluto del ricorso alle nuove tecnologie digitali, che rendono semplice la conoscenza storica della comunit�, il suo patrimonio di tradizioni popolari e letterario, e nel contempo traducano nel codice linguistico materno tutto il prodotto comunicativo che essi consumano.  Senza sognare, ma calandosi nello spirito della Carta europea, la new economy, ma direi tutto il lavoro pulito che nasce dalla nuova era tecnologica, pu� diventare una grande opportunit� sia se viene finalizzata alla raccolta, catalogazione, studio della diversit� culturale, sia che venga destinata come servizio per la fruizione della ricchezza cultura in proiezione di  un progetto di sviluppo basato sul turismo culturale in relazione col turismo tradizionale.

Per arrivare a ci� necessita una legge che sia un grimaldello, una leva, che consenta l�accesso alle altre leggi  regionali di sviluppo economico e di tutela dell�ambiente. I soldi servono ed � anche bene che i Comuni abbiano  un proprio finanziamento da gestire autonomamente. Ma serve soprattutto un autentico spirito di salvaguardia e di promozione che  attraverso una corsia preferenziale metta cittadini, operatori economici, istituzioni nelle condizioni di investire su questa risorsa.

Per concludere, se facciamo il bilancio su quanto ad oggi � stato percepito della legge 482 o quanti sanno che esiste una legge di tutela delle minoranze linguistiche, constatiamo, e lo dicevo poco sopra quando parlavo di clandestinit�, che sono in pochi ad avere consapevolezza che una legge � stata approvata alla fine del 1999 e questi sono esclusivamente gli addetti al lavoro. Ci� � spiegabile per la natura della 482, che si ferma a pochi soggetti e non coinvolge altri cittadini. Questa legge regionale cerca di andare oltre i limiti della 482 nella ricerca di renderla pi� diffusa, pi� fruibile, pi� gestibile, pi� partecipata, altrimenti, � del tutto facile contribuire al fallimento delle finalit� istitutive della stessa legge costituzionale.

Uno strumento legislativo, quindi, che recupera ritardi e incomprensioni gettando le basi per un futuro da costruire insieme. Una sfida per tutti noi, Deputazione regionale, Universit�, Amministrazioni locali, Associazioni culturali e del volontariato, cittadini, per disegnare un vero progetto di salvaguardia delle culture minoritarie di Calabria.