DOMENICO DE MARCHIS

 

Parte 2^

 

 

CAPITOLO II

 

Riprendendo il filo delle mie idee, espongo che una tradizione costante, e non mai smentita sostiene, che solo 17 famiglie componevano l'intera Colonia Albanese ricoverata nel Casale di Lungro, i di cui cognomi sono i seguenti. Straticò, Mattanò, Jerojanni, Cagliola “Belluscio”  Prevatà, oggi Loprete, “Vaccaro;  Musacchio estinta “ Brescia “Damisi”  Gramisci “ Manisi “ Marco Cortese Tripoli “  Cucco, oggi Cucci “ Bavasso “ Matranga, oggi Matrangolo. Esse si dessumono ben'anche dal libro Parrocchiale dei nati, e morti del 1669 “ che il solo Curato D. Pietro Cortese ebbe talento di redigere, mentre pria di tal epoca, i suoi antecessori vi trassandarono un lavoro di tanta importanza.

Gli altri cognomi di famiglie esistenti oggi nel Comune, parte sono di Albanesi posteriormente ivi traslocate, tratti forse dalla speranza di un vivere più agiato, e parte da considerarsi di origine italiana, le quali coll'uso ebbero Albanese desinenza.

Ma quel che comprime l'animo di una sentita ammirazione si è l'osservare come 17 famiglie se si vuoi aggiustar fede alla tradizione, ed al Parrocchiale registro, oppure sessanta tuguri esistenti in tempo di Geronimo Sanseverino, abbiano tanto prevaluto su gl'indigeni del Casale, da far sparire la loro lingua natia, e render dominante il greco rito, ed il proprio idioma. Nè anche la possanza di un feroce Conquistatore avrebbe raggiunto questo scopo completo verso un popolo schiacciato, ed invilito dalla forza; poichè la forza istessa non ha potere di spegnere il breve tratto gli usi della propria nazionalità, per rivestire quelli della gente ospitata! Conviene supporre, che gli antichi abitanti di Lungro costituissero un assembramento troppo ristretto di Cittadini, i quali vivendo sotto le moltiplici angarie del Barone di Altomonte, pria di passare alla mite giurisdizione dei Basiliani, rinvennero in questa causa un insormontabile ostacolo al loro progressivo aumento: Oppure che il Napolitano intento a serbare l'unità di famiglia, prediligge nel domestico regime il sistema di una quasi prima genitura, e vago di non veder distratto con spesse divisioni il proprio retaggio, si consiglia dare situazione ad uno dei figli, raffermare la sua fortuna, ed astringere gli altri a dover cospirare al Comun vantaggio - Gli Albanesi d'altronde pervennero nel Casale, quando i Monaci Baroni, con religiosa carità dominavano su i propri vassalli. Dippiù, essi non tanto facilmente si piegano al Celibato, ed una costante esperienza addimostra, che se in famiglia vi sono più maschi, tutti abbracciano lo stato Conjugale, onde aprire separata economia. Vi si arroge ben'anche la libertà del Matrimonio dei Preti, esclusivo privilegio dei greci, di cui tuttavia se ne avvalgono; è presumibile che han potuto tali Cause complessivamente influire alla decrescenza degli indigeni, ed all'incremento degli Ospiti stranieri in quel Sito stanziati.

Comunque sia, egli è fuor di dubbio, che gli Albanesi prosperando in straordinario modo, vi erigevano nel 1517 “una Chiesa Parrocchiale, onde esercitare nel proprio rito le sacre funzioni, e la dedicavano al Protettore S. Nicolò di Mira, forse in rimembranza della Cattedrale di Alessio, ove furon deposte le ossa del loro principe Scanderbek, ed il Cittadino Sacerdote D. Antonio Cortese, il quale viveva nell' anno 1608”, a sue spese fondava un piccol Monastero poco distante dall'Abitato, e lo apriva ai PP. Carmelitani, assegnandoli in dotazione molti beni, ora devoluti ai Domenicani di Altomonte, come lo attestava una iscrizione esistente in quella Chiesa, non che il Rodotà nel libr. 3 pag. 88 della lodata sua Opera- E’ finalmente nel 1678 gli Albanesi di Lungro eran pervenuti a tale stadio di sociale fermezza, da imprendere arditi, e tenaci la difesa del proprio rito contro il Pescara Duca della Saracena, fino a riportare completo trionfo dalla Santa Sede, come il ridetto Scrittore espone nel citato libro - E noi proveremo fra poco perché questo Duca spiegava la sua Baronale giurisdizione sul Casale di Lungro.

Il territorio Badiale diviso dal fiume Tiro da quello della Saracena ora troppo angusto ad offrire tutti i mezzi da sussistere alla popolazione, la quale da anno in anno progrediva nel suo incremento, quindi fuvvi astretta ad impetrare da quel Barone del le terre a dissodare, onde renderle proficue all'agricoltura - Ottenne infatti delle concessioni sotto svariati titoli riconosciuti dalla legge, e mentre il Feudatario da un canto ritraeva il suo utile nell'aumento della rendita, gli Albanesi dall'altro laboriosi, e robusti per natura fertilizzarono una vasta Contrada , quasi tutta irrigabile, da cui proventarono col tempo immensi vantaggi - Nel successivo poi, essi addivennero assoluti padroni tanto in forza di definitivi acquisti, e di enfìteutiche Censuazioni, quanto per dritti conseguiti dalla Divisione Demaniale.

Per la Conservazione, e buona guardia di tai beni, gli abitanti di Lungro con Istrumento redatto nell'anno 1622, munito di Regio Assenso, per Notar Marco di Rago del Comune di Altomonte, acquistarono dall'Università di Saracena la buona-tenenza , che fedelmente corrisposero fino alla abolizione della feudalità - Ma vero il fatto, perchè non dubbia l'esistenza del titolo, non comprendo come al cospetto della Commissione siasi ommesso il reclamo della liquidazione della stessa ond'esssere obbligato il Barone a rivalere il Comune -del corrispondente indennizzo. Si sarebbe almeno conseguita una compensazione con le decime Coloniche, a cui furon tassati i Lungresi a prò del feudatario. Ma al fatto compiuto, non vi rimane altro rimedio da sperimentare.

Onde fissare poi con ogni precisione, chi spiegava sul Comuno la Civile, e mista giurisdizione, emmi d'uopo esporre alcune storiche conoscenze, che come tante prenozioni, si rannodano nell'unità del presente racconto.

Estinta forse la stirpe del Conte Ogerio, oppure per effetto di altri avvenimenti; che non ci fu dato poter dischiudere dalla tenlebria dei Secoli, il feudo di Altomonte passò a Filippo Sanguineto e nel 1340 ottenne il Diploma d'investitura da chi imperava allora i destini del Regno – “Fit fìdes per subscriptum rev. D. Josephum Antonium Sicola regelltem archivarium Magnae Curiae Regiae Siclae a sua Catholica, et Caesarea Majestate cunstitutum, qualiter perquisito registru Serenisimi Regis Roberti, sigillato de anno 1340, legitur Concessio facta inl beneficium Fhilippi de Sancineto Terrae Brahallae cum homnibus Vassallis etc. etc. reservatis tamen in belleficium Regiae Curiae in terra ipsa Causis Criminalibus, pro quibus corporalis paena mortis videlicet, vel abscissionis  membrorum, aut exilii debebit inferri etc. etc.

Da questo novello Barone cui passar del tempo ne rimase erede una sola donnadli nome Margherita, la quale impalmava a Consorte Vincislao Sanseverino Principe di Bisignano - Pietrantonio, discendente da si nobile stirpe vendeva nel 1531, con istrumento per Notar Andrea Parascandolo di Napoli nel 22 dic. e ratificato il 10 settembre 1532, alla Casa Pescara i suoi feudi di Malerose, Serra della Giumenta, Leone Russo, nonché i carlini tre per fuoco, che corrispondevano gli abitanti del Casale di Lungro, a motivo della fida, erba, e legna nei territori di Altomonte, e Saracena, ritenuti quasi come Cittadini di detti Comuni, una con la giurisdizione Civile e mista del Casale su riferito.

Nel 1546, lo stesso principe di Bisignano oppose d'innanzi al Regio Reintegratore Sebastiano della Valle, che qual Barone della Saracena intendeva oppugnare, che M. Innico Caracciolo, Abbate Commendatario di S. Maria ad Fontes di Lungro, come i naturali del medesimo, nessun dritto di Cittadinanza vantavano sull'agro della Saracena, per lo che si accesa acre litigio a 25 gennaio di quell'anno nel Palazzo della Terra di Morano, ove si divenne al definitivo decreto, e tra le altre notevoli espressioni della dispositiva, sono rimarcabili le seguenti “Et dictam Universitatem Lungri, et homines dicti Casalis licite potuisse, et posse habere Comunitatem in territorio Terraa Saracenae, et licuisse, et in futurum licere posse eorum animalia pascere, aquare, pernoctare in dicto territorio terrae Saracenae ac ligna incidere et facere omne illud, quod ipsis Civibus Saracenae facere licet in dicto territorio juxta formam Platae nove - Reg. Aud. Sebastian. La Valle decrevit” Vedi Processo del Sacro Regio Consiglio tra D. Martino Innico Caracciolo Abbate Commend. di Lungro, e il Principe di Bisignano dal foglio 25 e seguenti nella Banca di Auriemma, Scrivano de Rosa.

Dal riscontro di tali documenti colsi il destro di osservare in primo luogo, che sin dal 1612, la terra della Saracena faceva parte del patrimonio di Bisignano, poichè nel giorno 30 agosto detto anno, si scorge interposto Decreto di Assenso per la vendita ad estinto di Candela, e pel valore di ducati 45 mila a beneficio del Duca di Laurenzana. Ed in secondo, che il Casale di Lungro nel 1516 assumeva di già il nome di Università, prerogativa che le accordava il dritto di eliggere nel proprio seno i suoi amministratori; ordinare il particolar catasto, e disporre delle rendite a norma dei Comunali bisogni. Ciò si rileva dalla dicitura di Sebastiano della Valle nel sù nominato decreto, ove si esprime “et dictam Universitatem Lungri.

Dietro lo svolgimento di centosettantacinque anni, D. Francesco Pescara Duca della Saracena con istrumento del 20 gennaro 1716 per gli atti di notar Gennaro Palomba di Napoli alienava a favore della casa Spinelli principe della Scalea i Fondi, giurisdizione, e dritti, che i suoi illustri antenati acquistati avevano nel 1531 dal principe di Bisignano, una cum Palatio qui condidit in oppidu Lungri Exellentissmo Pescara1. Ma sia per effetto del ritratto convenzionale, o del patto di non alienare apposto nell'istrumento del 1531 imponente la devoluzione a beneficio del Venditore Bisignano , egli è certo che un di costui erede introdusse avverso la casa Scalea impegnoso giudizio di pattuita prelazione nel Sacro Regio Consiglio, il quale ben accogliendo l'istanza, ne sentenziava la dietro vendita. Alla ostinata renitenza del Convenuto, per biglietto del Conte Daun, allora Vice Re di Napoli, destinavasi la persona del giureconsulto Nicolò d'Afflitto a formolare in nome del ritroso Spinelli il legale istrumento a pro di D. Giuseppe Leopoldo Sanseverino, previa assistenza del reggente de Miro. Nel 1717 il titolo ebbe la sua conferma col privilegio del reale Assenso nell’8 marzo, registrato in privilegio 25 fol. 92  a terg., ed i sù feudi Serra della giumenta, Leone Russo, Malerose, non che i dritti sulla giurisdizione di Lungro, ed i carlini 3  a fuoco gravitanti sul Casale rientrarono sotto il dominio del pristino Barone. Furono ritratte queste notizie dal processo del Sacro Regio Consiglio, che leggesi epigrafato nel tenore seguente. Sacri Regii Consilii Illustrissimo principi Bisiniani, cum illustrissimo principe Scalae super praelatione terrae Saracenae, et Casalis Lungri, et aliorum Corporum, nella Banca di Priscolo, scrivano de Rosa.

Non fia discaro ora ai miei emeriti compatriotti, ai quiai unicamente offro, e consacro queste poche pagine, di riflettere donde derivarono i dritti civici, che il nostro comune vantava al cadere del gigante feudale, sù i limitrofi territori di Altomonte, e Saracena, e quindi in compenso dei medesimi, ebbe l’assegno delle terre demaniali, che in atto possiede, ed esser così alla portata di ben giudicare sù gl’immensi vantaggi conseguiti dai sudditi del Regno colla avversione delle baronali angarie.

Impresso un ordine cronologico ai tempi, che influirono a svariare lo dominazioni Feudali nel Comune, agevole si rende lo sviluppo del proposto problema intorno alla giurisdizione, che mi ho prefisso di schiarire.

Il Conte Ogerio, avendo dismembrato il feudo di Altomonte, di cui era assoluto Signore, di una cospicua estensione territoriale a norma dei confini distinti nel diploma di concessione, ne fece generosa largizione al monastero dei Basiliani, quindi gli abbati spiegavano nel Casale di Lungro ogni atto di giurisdizione appartenente al feudatario. «Volumus mbilominus, ut monasterium, et homines suos a violentia bajulorum nostrorum possint cum rebus eorum defendere, et salvare, ut nunquam teneantur, uis monasterio respondere et in Curia monasterii judicare exsceptis de Criminalibus, quae ad Curiam Regis perlinent etc. etc.» In tal guisa, a malgrado che Lungro fosse un Casale dipendente da Altomonte come madre patria; pure cambiò condizione, ed invece di prestar vassallaggio al conte di Bragalla, ubbidiva al solo abbate del monastero.

Devoluta la Badia alla Sede Pontificia, gli Abbati Commendatori investiti degli stessi Feudali privilegi, che eran annessi al monastero, esercitavano su gli abitanti l'impero Civile, e misto. Allorchè però Diego da Pescara, come avente causa dal principe di Bisignano, infieriva contro gli Albanesi del Casale, aveva di già ottenuto in linea di apposito giudizio acremente dibattuto innanzi al Sacro Regio Consiglio, la giurisdizione penale, quindi i Commendatori della Badia rimasero ristretti al solo impero Civile. Non per effetto di allogazione dunque, come alcuni sostengono; ma per virtù di vittoria riportata nel supremo Tribunale, spiegava il Pescara il dritto dell'impero Criminale, privilegio che venne ad immedesimarsi nel principe di Bisignano, dopo ricuperati i su' feudi dallo Spinelli nello esperimento del litigio di prelazione.

Nel 1786, si avvidde il Real Governo, che varie Badie del Regno, devolute nei trascorsi tempi alla Santa Sede, eran prive di Regio exequatur, quindi furon tutte dichiarate di Regio jus patronato, e come alcune di esse il Sommo Gerarca le avea assegnate in Commenda a' Cardinali Napolitani, si dispose come grazia impartita alla Sudditanza, che durante la vita degli attuali beneficiati, fruissero i medesimi la rendita; ma che avverato appena il loro decesso, il Regio Fisco s'impadronisse, onde disporre il Sovrano a suo talento. Tra queste Badie s'annoverava anche quella dei Basiliani di Lungro, in quell'epoca posseduta dal Porporato Stigliani, il quale ne protrasse il godimento sino alla sua morte.

Dietro questa rapida esposizione, si comprende, che i Governatori locali del Comune eran prescelti nel tempo del Monastero, dall'Abate Basiliano; e dopo il 1225 , dai rispettivi Commendatori: Al cessar di sua vita dell'ultimo di essi, dal Re, investiti però della sola giurisdizione Civile, mentre per la penale si stava soggetto al Giudice di Altomonte di Nomina Baronale. Egli destinava in Lungro un Luogo-Tenente per assodare le prime indagini dei reali, del pari che dei stipendiati barrigelli intenti alla esecuzione della giustizia - Lo stesso Barone erigeva da tempo remoto le prigioni per la custodia dei detenuti, le quali eran site vicino alla vecchia Chiesa Parrocchiale, oggi convertita in Casa Palazziata.

Quando l'organismo giudiziario subiva nel nostro regno caduto in potere dei Francesi, un novello sistema, Lungro venne designato Sede del Giudice di Pace. Però ebbe a comportare dopo pochi anni il rancore di rimanere privato di un tanto privilegio, concesso in vece ad Altomonte; ma grazie sien rese a quelli egregi e valorosi compatriotti, la di cui ricordanza non sarà mai immolata sull'Altare dell'obblio, che seppero spiegare tali impegni, fino ad inoltrare a più del Trono, i giusti riclami pel torto inferito alloro paese, ed il Governo mosso alla forza del vero, all'esordire dell'anno 1820 repristinava Lungro nella prerogativa di Capo Circondario, beneficio che d'allora fruisce senza interruzione.

 

 

1 Era d'esso l'edificio baronale esistente in Lungro, di cui si è fatto cenno in una delle prime pagine del presente lavoro, sulle rovine del quale, fabbricarono i Cortesi Marrone le loro abitazioni.