Anno I - N. 13
San Demetrio Corone
5 settembre 1906
DOMENICO MAURO
di Giuseppe Mazziotti
Questo atleta dalle forze condensate, che esplica in letteratura tutto il fuoco che arde nel suo giovane spirito, e che, nuovo Prometeo, vorrebbe trasfondere nella quasi inanimata statua del corpo sociale, affascinato dallo splendore delle idee e dei principii della Giovine Italia, di cui esso era il più fervido apostolo, pensa scendere nell'arena dei forti, nel campo dell'azione. -
Già rannodava le fila di una vasta congiura, già si era alla vigilia di una generale levata di scudi contro la tirannide, quando la Sospettosa polizia del Barbone di Napoli imprigiona il Mauro e la rivolta rimane paralizzata. Ma Domenico Mauro, quantunque stretto in ferree catene, quantunque è guardato a vista nelle carceri di Cosenza, trova il mezzo come tener desti gli animi e spingere gli affiliati alla Giovine Italia a non venir meno all'appello e di sorgere in armi il giorno fissato, perché, iniziato in un punto, era certo che il movimento si propagherebbe dovunque vi erano lagrime di dolore da detergere e diritti conculcati da rivendicare- E il moto scoppiava nel marzo del 1844; ma perché circoscritto in pochi ardimentosi Casentini e nei generosi albanesi di S. Benedetto Ullano, finiva con la luttuosa catastrofe di quei pochi martiri; Salfi, Corigliano, Santo Cesareo, Rhao, Camodeca ecc., seguita nell'estate di quell'istesso anno, dalla non meno sanguinosa catastrofe dei fratelli Bandiera e compagni! -
Domenico Mauro non ebbe allora condanna di morte perché, chiuso in prigione, non aveva potuto prender parte nei fatti d'arme in quell'infausto cimento - Però conscio il Borbone di esserne stato il Mauro il promotore, da carcere in carcere, da persecuzione in persecuzioni lo seviziò in mille guise fino all'alba del 1848.
Allo spuntare di quell'anno, sacro alla memoria di quanti ancora rivivono in quei giorni di universale entusiasmo patriottico e di feste nazionali che rasentavano il delirio, Domenico Mauro, tolto dalle orride segrete di S. Maria Apparente, rivedeva la luce ed aspirava con ansia febbrile il tanto sospirato aere puro e sereno della libertà e del trionfo dei popoli. - Unitamente a suo fratello minore Vincenzo, che pur allora uscia di prigione, per aver tentato pochi mesi prima il regicidio in persona del Borbone di Napoli, volle Domenico Mauro rivedere il suo luogo natio, volle riabbracciare i suoi amici dell'infanzia, volle salutare il luogo della sua giovanile educazione, il nostro Collegio Italo Greco; e per dovunque questo eroe della santa causa transitava, chi può descrivere l'entusiasmo, le accoglienze festose, le ovazioni patriottiche a lui fatte? Pochi minuti prima di toccare la casa paterna, giungeva nel nostro Collegio, seguito da. un lungo corteo di baldi giovani liberali di Spezzano Albanese. Il Direttore e i professori dell'Istituto, suoi vecchi amici ed ammiratori, Antonio Marchianò, Francesco Saverio Elmo, Benedetto Scura, Vincenzo Rodotà, Angelo Marchianò, Vincenzo Aiello, Nestore Cadicamo corrono precipitosamente nella pubblica strada per salutarlo. Noi altri studenti collegiali, senza il permesso degli istitutori, seguiamo l'esempio; e tutti, fregiati della coccarda tricolore, gli usciamo all'incontro, cantando l'inno di jarocades: “Siam fratelli e siam amici, senza impero e schiavitù” ecc., interrotto dal grido continuamente ripetuto di: Viva Domenico Mauro, viva la libertà, viva l'Italia!
Salito in grande rinomanza pei suoi meriti politici e letterarii, a maggioranza assoluta di voti, fu eletto, in quell'anno" dalla provincia di Cosenza, Deputato al Parlamento Napoletano. Ma dopo il tradimento del re e le stragi del 15 maggio, Domenico Mauro, mentre il fuoco e la mitraglia tutto distruggevano, firmata con 64 altri deputati la eroica protesta dettata dal Mancini, a Monte Oliveto, sede di quel Parlamento, e rifugiato nel Palazzo Gravina, sede della posta, già crivellata di palle nemiche, dichiarava e faceva dichiarare dai suoi colleghi Deputati presenti, decaduto dal trono, quel re bombardatore, ,e riusciva esso solo, fra tutti i Deputati che avean promesso di fare altrettanto, ciascun nella sua provincia, a sommuovere le Calabrie con una generale rivoluzione.
Dal Comitato Riciardi, capo del governo provvisorio in Cosenza, eletto commissario dì guerra, Domenico Mauro nelle gole di Campotenese, difese per parecchio tempo le Calabrie dalla invasione delle truppe regie, fino a quando alla tirannide lasciava il varco aperto la poca vigilanza di alcuni capi dei volontari!. Al repentino rovescio della cosa pubblica, all'oscurarsi dell'aurora della libertà e della indipendenza italiana nel 1848, rovinava ancora e si oscurava la sua casa paterna, imperversando dal 1848 al 60 una reazione peggiore di quella del 1815.
Domenico Mauro prendeva le vie dell'esi1io. L'ultimo dei suoi fratelli Vincenzo, scoperto e sorpreso alla Rotonda, nel momento dell'esecuzione dell'audace disegno di uccidere il comandante della forza borbonica, il generale Lanza, per cosi arrestare i passi di quelle belve, che invadevano le Calabrie, novello Muzio Scevola, esso e i suoi due compagni Tocci Francesco Saverio e Chiodi Demetrio, tra orrendi martirii sacrificavan la loro giovine vita sull'altare della libertà e della patria !!...
Gli altri due fratelli, Raffaele e Alessandro vennero condannati, per i fatti del 1848 a 14 anni di galera e alla confisca dei beni. E poi, durante il tempo che si espiava la pena, Raffaele, padre di cinque bambini, per aver preso parte, quantunque nei ferri in presidio, alla causa politica che prese nome dallo sventurato Mignogna, si ebbe altri dodici anni di condanna. Infine con decreto venne con altri 80 dei più illustri rei politici all'esilio perpetuo dal Regno condannato e ad essere deportato in una deserta spiaggia delle lontane Americhe. Però tutt'altro stava scritto nel libro del Dio degli oppressi. Questi 80 Argonauti che seco loro portavano il vello d'oro della libertà dei popoli dell'Italia meridionale, giunti nelle acque dell' Atlantico, costringono il capitano della nave fatale a sbarcarli invece in Inghilterra, da dove Raffaele Mauro partiva per congiungersi con suo fratello Domenico nell'esilio a Torino, aspettando occasione più propizia a poter meglio servire la patria, schierandosi tra i primi nella immortale falange dei Mille di Marsala! - Ma. Domenico Mauro, novello Anteo, che dalla caduta ripigliava forza e maggiore ardimento di prima, Domenico Mauro nel 1849 dall'Epiro, ove si era ricoverato, correva a Roma contro le orde straniere, per difendere con Garibaldi e Mazzini la libertà e l'indipendenza d'Italia.
Se il fatto però non corrispose allo sue grandi aspirazioni, se l'elemento popolare, inesperto a quel nuovo soffio di vita con tanta cura comunicatogli, tentennò nei suoi primi passi giovanili, e venne meno e cadde; Domenico Mauro non sprezzò nè spezzò la sua non ancora corretta statua popolare: ma condannato più volte a morte in contumacia, e salvatosi con la fuga nell'esilio, quivi nel 1852 pubblicava il suo libro «Vittorio Emanuele a Mazzini » nel quale, con la severità del filosofo e con l'acume del più profondo critico e uomo di stato, rivelava gli errori e le infermità dei popoli e le perfidie dei principi, gli occulti maneggi della diplomazia, le tendenze delle varie nazioni di Europa e i futuri destini, e quindi, come corollario, mettendo il contenuto di quel libro in rapporto con la nostra nazione indicava i mezzi e segnava il cammino a poter l"Italia raggiungere infallibilmente la tanto sospirata meta dell'unità e della nazionalità, della libertà e dell'indipendenza.
Questo libro ebbe allora il merito della novità e dell'originalità, e lo stesso Ministro Cavour lo ebbe in grande pregio, come prodromo del gran fatto nazionale. Ora questo libro é una realtà storica avverata e compiuta in tutte le sue parti: e Domenico Mauro assistette al gran dramma da lui preconizzato, e colla serenità di un nume, che vede poste in atto le sue concezioni, , ei vide in breve tempo sfilare nel cammino storico, secondo la stregua dei suoi pensieri, uomini e istituzioni, principi e popoli, individui e nazioni, compiendo, ciascuno il proprio fato, previsto e vaticinato da questo illustre Italo-Albanese dì S. Demetrio Corone.
Ei vide, secondo i suoi prognostici, dietro le due guerre per l'indipendenza italiana del 1859 e del 66 snidata. l'aquila grifagna austriaca dalle belle pianure lombarde e dalle lagune Venete e con essa vide ancora prendere il volo fuori i confini d'Italia i notturni pipistrelli di Parma e Piacenza, di Modena di Reggio e di Toscana.
Restava d'impedimento a compiere l'unità d'Italia il dominio del re Sacripante nelle provincie meridionali: e Domenico Mauro col fratello Raffaele, benché questi allora malato e padre di numerosa famiglia, volle far parte delta gloriosa falange dei Mille di Marsala, che, nel 1860; duce Garibaldi, dileguò quella funesta meteora! Allora, fatta l'Italia, Domenico Mauro, dopo dodici anni di esilio, venne eletto rappresentante del popolo, non più nel Parlamento Napoletano, ma nel gran Parlamento Italiano.
Una parte di questo libro, « Vittorio Emanuele e Mazzini » pareva che non si dovesse verificare. - Eran passati diciotto anni,dal 1852 al 70, e la Nemesi, della Storia, dal Mauro preconizzata contro Napoleone III, pareva rimanesse un'utopia: la Sfinge della Senna continuava con l'enigma della sua politica a tenere perplessa e timorosa la Francia. e tutta l'Europa: continuava a tenere il suo pugnale conficcato nel cuore d'Italia, perpetrando a Mentana la morte e lo sterminio con le sue mitragliatrici e con i suoi fucili di nuova invenzione I - ,
Ma la 'Nemesi, la Dea della vendetta, venne e suonò una di quelle oro solenni e decisive: la guerra franco-prussiana del 1870 rovesciò la statua di quel Nabucco dai piedi di creta: e la breccia di Porta Pia assicurava alla nostra Italia, fin allora acefala, il possesso della capitale Roma! ..
Compiuto il gran fatto nazionale, De Sanctis, in una conferenza nell'Università di Napoli, in lode di Mauro, diceva: « Mentre ciascuno domandava il premio della vittoria, in mezzo a tante cupidigie ed a tanta gara d'impieghi, dov'è Domenico Mauro? È Sparito, è tornato nella sua solitudine. Il suo posto fu nel pericolo, non nell'ora delle ricompense. Non avea mai creduto che compiere il proprio dovere fosse scala a ricompense! ».
L'Italia è fatta, diceva allora Domenico Mauro, bisogna ora che si rinnovino gl'italiani, - E già si metteva all'opera con questa speranza e con quella fede che lo spinse a lasciare orme imperiture tanto nel campo del pensiero che in quello dell'azione, Già si preparava al nuovo agone, già aveva quasi completato tutto un nuovo sistema di scienze filosofiche, considerando e definendo questa scienza, come Dante: « Uso amoroso della sapienza », cioè non il sapere per il sapere, ma il sapere per la vita, il sapere come mezzo, fecondato da amorosa sollecitudine per rendere migliore, perfetta e felice l'affannata umanità in generale e i suoi fratelli italiani in particolare.
Ma notte buia, crudele, funesta lo colse in mezzo del nuovo glorioso cammino, e per improvviso e inguaribile male, cessava di vivere a Firenze nel 1873, nella vigorosa età di appena sessant'anni, con un rigoglio di forze fisiche e morali tali, che gli permettevano ancora lunghi anni a servizio delle lettere, della patria e dell'umanità.