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LUCIA IRIANNI
Fu madre di Angelo e Domenico DAMIS. Era nata nel 1796 a Lungro. Nel 1835 rimasta vedova del marito Antonio DAMIS, medico e botanico, continuò ad impartire ai figli una educazione orientata verso le idee liberali scaturite dalle conquiste scientifiche della rinnovata cultura europea. I tempi erano duri e l'evasione dal conformismo ristabilito dal Sanfedismo e dalla restaurazione, costava sacrifici e rovina. Donna Lucia, oltremodo religiosa. ebbe fede nel trionfo dei valori dello spirito e dell'intelletto tanto che sacrificando la maggior parte del patrimonio familiare volle che i figli fossero educati nel collegio di S. Demetrio e quindi all'Università di Napoli. Nel 1844 essendo i figli Angelo e Domenico coinvolti nel processo di Cosenza conseguente al moto insurrezionale del marzo, si adoperò alla difesa con i mezzi ricavati dalla vendita di molta proprietà riuscendo ad ottenere la scarcerazione.
Nel 1848 il figlio Domenico, avendo capitanata la resistenza ai regi, di Campotenese e Monte S. Angelo, dovette vivere nascosto fino al 1851 epoca in cui venne arrestato. Nuovo processo a carico di lui e di numerosi lungresi che avevano combattuto ai suoi ordini.
Donna Lucia Irianni che già aveva sostenuto le spese dell'equipaggiamento e del soldo ai gregari, fu costretta ad assottigliare ulteriormente il patrimonio della famiglia, per far fronte alle spese del processo, al pagamento delle multe e delle malleverie per tutti. Molti furono prosciolti, molti altri furono condannati; fra questi più gravemente Domenica Damis che venne inviato al Bagna Penale di Procida.
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Interessante è l'episodio verificatosi il giorno dell'arresto del figlio Domenico. Era stato colto in casa di Raffaele Molfa, e incatenato doveva passare innanzi la propria casa. La madre Lucia e le sorelle Giovannina e Anna avvertite del fatto, attesero dal balcone il corteo poliziesco al cui passaggio, lungi dai lamenti, lanciarono sul congiunto fiori confetti e monete, come usava farsi per i cortei nuziali, accompagnandoli con espressioni auspicanti l'imminente fine della tirannide borbonica. La sbirraglia reagì con l'invasione della casa e con percosse alla sorella Giovannina, ma la madre, con atteggiamento deciso, invocando la testimonianza dei passanti, e minacciando di denunciare in chiesa l'abuso, riuscì a sloggiare gli sbirri. Poche donne hanno sofferto quanto questa lungrese che nel 1860 vide infine il trionfo di quella libertà cui aveva tanto creduto e tanto sacrificato. Morì il 12 febbraio 1865.
MATILDE MANTILE
Nata a Napoli nel 1800 fu tolta in isposa dal lungrese D. Angelo Stratigò, giudice.
Quando nel 1870 morì, in Lungro sulla di lei sepoltura venne murata una lapide in cui con mirabile sintesi venne descritta la sua vita. Ci piace riportare le prime righe « Di cristiana virtù e pietà. pregiata, schiuse il cuore al solo affetto di sposa e di madre, ebbe nove figli: quattro crebbe, cinque pianse. Intrepida sofferse il carcere per l'Unità d'Italia;....
E veramente intrepida appare questa nobildonna che ebbe
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la ventura di essere madre di Vincenzo Stratigò, e che come si narra più diffusamente in altre pagine, sopportò con piena rassegnazione le persecuzioni borboniche contro il marito Angelo e il figlio Vincenzo. Nel 1859 fu carcerata a Lungro mentre nelle prigioni di Cosenza venivano tradotti i figli, meno Vincenzo che fu latitante. A questi, come abbiamo riportato nell'apposito cenno biografico, scriveva lettere il cui contenuto esprimeva lo amore per la Libertà e il plauso per la spericolata ribellione che il figlio aveva tentato nella giornata del 16 luglio.
Le spose e le madri come Matilde Mantile restano un affascinante capitolo del Risorgimento che attende ancora di essere studiato con attenzione e scritto degnamente.
CINTIA MATTINO'
Era la moglie di Pietro IRIANNI. Fu la confidente del marito il quale affidava alla sagacia di lei i diversivi per distrarre l'attenzione della Polizia. Nel 1859, dopo i fatti del 16 luglio, represso il tentativo di rivolta, il capeggiatore Vincenzo Stratigò fu latitante, i.fratelli e la madre di lui finirono in carcere, mentre gli altri indiziati erano sorvegliati e inquisiti, tra cui Pietro Irianni. La Cintia per sottrarre alle perquisizioni frequentissime, documenti pericolosi simulava una interminabile gravidanza, portando per lunghi mesi, sull'addome un fagotto in cui nascondeva e trasportava da casa a casa le carte. Madre di molti figli, fra cui il Prof. Orazio Irianni, giornalista politico autore di Risveglio Albanese, morì a 84 anni in Lungro nel marzo del 1919.
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MARIA CUCCI
Il concetto odierno della posizione sociale della donna non consente meraviglie se questa partecipa alla vita politica. Ma chi rifacendosi alle concezioni del primo 800, alle preclusioni che colpivano gli stessi uomini, incontri nei documenti storici, una figura come quella di Maria Cucci, deve restare ammirato dell'attività e della passione con cui questa sposa e madre lungrese coltivava e manifestava i suoi sentimenti di libertà e la sua avversione al regime borbonico. Andata sposa a Molfa Raffaele (Ndindirindìo), entrò in una famiglia contagiata anch'essa di idee liberali, la quale abitava in una casa sita alla estremità alta del paese e i cui componenti faranno dire di se nel 1848.
Dopo questi ultimi fatti, scatenata la reazione, il fermento liberale che serpeggiava in Lungro, creava vittime. Molti erano quelli che colpiti da provvedimenti restrittivi, preferivano la latitanza. E Maria Cucci, eludendo la sorveglianza della gendarmeria, spese gli anni del furore reazionario, nel soccorrere ed assistere i perseguitati, visitare e ospitare i fuggiaschi, favorire i convegni dei cospiratori. Si narra che parecchie volte, la Polizia, avvertita che in casa Molfa si era visto entrare qualche ricercato, faceva irruzioni tanto improvvise quanto inutili, perché la Cucci, profittando della sua giunonica complessione, alta e robusta com'era, paludata dei ricchi abiti albanesi, nascondeva i malcapitati, facendoli accoccolare fra le gambe e coprendoli con le sue vesti.
Nel 1851, però una mattina, venne scoperto il gioco. Il rifugiato era Domcnico Damis. Un gendarme tentò di infilzarlo con la baionetta, mentre usciva dal singolare nascondiglio. La Cucci fu pronta a deviare il colpo guadagnandosi la perforazione della mano, ma consentì al ricercato di saltare da una finestra. Il Damis che nel salto aveva riportato la distorsione di un piede venne catturato e con lui furono arrestati la Maria Cucci, il marito e il cognato Molfa Dionisio. Mancano dati precisi, ma la Cucci morì intorno al 1887, a poco meno di 70 anni di età, seguita dal marito e dal cognato dopo un decennio circa.
Sacerdote Nicola DE MARCO ( COCCOLOI ) .
Morì quasi novantenne nel 1886. Sacerdote di non comune dottrina e fervente patriota. Era convinto che l'idea della Pa-
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tria poteva generare stabile progresso politico, solo se animata dalla fede. religiosa e illuminata dalla diffusione della cultura. Consacrò la sua vita alla feconda carriera dell'insegnamento e contribuì a mantenere sempre viva in Lungro I'aspirazione all'Unità di Italia. Dopo il Sessanta continuò nella sua missione propugnando la necessità di curare, nella Italia meridionale, principalmente l'istruzione pubblica. Di lui, negli scritti editi e inediti dei lungresi della gene- razione del risorgimento, si trovano accorati .e nobili ricordi che lo presentano come un maestro impareggiabile.
Camillo SANTOJANNI
Nato a Vietri (ma di famiglia lungrese) il 15 giugno 1828.
Dalla matricola della Salina risulta: « Espulso dallo Stabilimento, come facente parte della insurrezione del 1848, per avere preso le armi contro le regie truppe in Campotenese sotto il comando del sig. Domenico Mauro, Commissario civile ».
Aniello BASELICE
Dalla matricola della Salina:
« Di Torre Annunziata, nato il 20 agosto 1820. Espulso dallo stabilimento per motivi politici del 1848 ». Noi possiamo aggiungere che questo è un esempio di contagio liberale lungrese.
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Nicola TARSlA
Dei paesi vicini, che nel 1860 fornirono elementi più o meno numerosi tanto da consentire al battaglione lungrese di di- venire reggimento albanese, pare indispensabile citare Nicola Tarsia da Firmo. Stralciamo integralmente quanto ne scrive il Monaco nell'opera citata in bibliografia:
Tarsia Nicola, di Beniamino e Francesca Gangale, di Firmo (Cosenza) nato nel 1821, insegnante. -Condannato a 12 anni di ferri dalla Gran Corte Speciale di Cosenza il 21 luglio 1851 per associazione in banda armata per. distruggere e cambiare il Governo, e per avere opposto resistenza alla pubblica forza mentre 10 catturavano.
Ricevuto al Carmine il 7 ottobre 1851. Trasferito a Pozzuoli 4 giorni dopo, e al Carmine e quindi a Ischia il 14 dello stesso mese. Rinchiuso a Procida il 24 agosto 1852. Il 27 ottobre 1858 la pena gli fu diminuita di anni 4 e il 10 gennaio 1859 di altri 4. Il 12 marzo 1859 in Darsena e quindi liberato.
Il Procuratore del Re nel pronunziare la sua requisitoria contro il Tarsia chiese per lui la pena capitale e questi allora gli disse, CON LA MAGGIORE IMPUDENZA ED AUDACIA CHE LO RINGRAZIA V A PER LA CORONA DI GLORIA CHE GLI AVEVA POSTO SULLA TESTA.
Pochi giorni dopo l'Intendente di Cosenza scrisse di lui in un suo rapporto: ... QUESTO SIG. TARSIA UNO DEI PEGGIORI ALBANESI, ANCHE DA DENTRO LE CARCERI SI E' DIVERTITO DI FARE IL RIVOLTOSO. E UN DI LUI SCIOCCO PROCLAMA F'U MANDATO A S. DEMETRIO.
Quando fu liberato fece da ufficiale la campagna garibaldina del Sessanta fino al Volturno. Fu poi Ispettore scolastico a Rossano, e dopo insegnante di lettere a Cosenza. Ma dalla galera era uscito con la testa alquanto sconvolta, e il male si accentuò, sicché dovette abbandonare l'insegnamento, e ridursi a casa sua a Firmo presso la moglie e la sua bambina, e lì poco dopo cessò di vivere. Di lui e delle sue poesie ho fatto cenno anche nella prima parte di questo libro.
La sua libretta del Bagno porta il n. 7178.
Delle poesie del Tarsia ricordate dal Monaco, noi abbiamo nelle pagine avanti, riportato quella dal titolo: « Gli Emigranti .in America ». Qui ci pare interessante trascrivere alcuni versi
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tratti da altri componimenti, per suscitare doveroso interesse, per questo vibrante poeta, che si comportò nella vita conformemente ai suoi ideali artistici.
Dal sonetto « IL MIO TRUCE DESTINO »
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L 'ire nemiche fur tremende: doma
Non giacque l'alma disdegnosa, ed io
Parlai di patria libertà e di Roma.
Tu speri, o sorte, la mia vita ardente
Spegner col soffio di sventura? Iddio
La ravviva di fuoco onnipotente!
Prigioni di Cosenza 1848
Dal sonetto « LAMENTO DEL PRIGIONIERO »
Veggo superbi passegiar tiranni,
D'umano sangue imporporato è il suolo:
Oh! se potessi con ardito volo
Fuggir la terra, e aver di foco i vanni.
Arsi, per Dio, di libertà! Durai
Orrende prove, ed in prigione oscura
L'amaro nappo di dolor vuotai!
O Italia, o terra del sublime canto,
Tuo perenne retaggio è la sventura:
Sempre oppressa ti veggo e sempre in pianto!
Castello di Cosenza 1851
Il Tarsia fu uno dei sei catturati il 30 giugno 1848 nella valle del Cornuto, mentre tentavano un colpo di mano contro lo schieramento del generale Lanza. Tre di essi: Demetrio Chiodi (sacerdote), Saverio Tocci, Vincenzo Mauro, furono trucidati lentamente tanto che giunsero cadaveri a Rotonda. dove li menarono. Gli altri tre: Tarsia, Nicola Pisarro e Giuseppe Caruso sopravvissero alle sevizie, e furono incarcerati e condannati.