LUNGRO NEL RISORGIMENTO

E NELLE GUERRE POSTERIORI

 

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 LUNGRO E I PRIMI MOTI RISORGIMENTALI

 

Perché le dichiarazioni contenute nei sopra riportati verbali della Sezione dell'A.N.C.R. e del Comitato, non sembrino vana retorica di occasione, pare opportuno ricordare fatti e nomi della storia prossima e precisamente del periodo risorgimentale. Ed è altrettanto opportuno che in calce a questa esposizione sia citata la bibliografia in cui, chi ne avesse desiderio, potrebbe trovare la conferma dei fatti, dei dati numerici e di quant'altro potrebbe sembrare esagerato, a prima vista.

Da ricerche eseguite dall'illustre prof. Umberto Caldora, in occasione del suo lavoro « CALABRIA NAPOLEONICA » (Premio Sila 1960), è risultato esistere nell'Archivio di Stato di Napoli, fra le carte di casa Tommasi, una minuta della lettera scritta al generale Nunziante, che nel giugno .1820 erasi trasferito a Lungro dove era stato convocato di urgenza il Giudice Istruttore di Castrovillari sig. Scudieri. .

Vi si parla di «strepitosi esempi di rigore» per « gravissimi misfatti» e per « gli avvenimenti di Lungro».

Le ricerche per rintracciare il .rapporto che ovviamente il Nunziante dovette inviare a Napoli, non sono ancora compiute e non si può riferire alcun particolare degli « avvenimenti » -stessi. Ma basta osservare che, secondo la terminologia paragiuridica dell'epoca si chiamavano « misfatti » i reati di ribellione politica e, comunque, contro lo Stato personale del Re, per capire di che cosa potesse trattarsi. E' noto che il 1820 è l'anno dei primi moti carbonari tendenti a rompere nel regno delle Due Sicilie, l'assetto politico stabilito dal Congresso di Vienna, per trasformare con un'azione di forza, voluta e condotta dalla borghesia intellettuale, gli stati assolutistici. in stati costituzionali.

Si badi inoltre che la lettera reca una data (22 giugno 1820) posteriore all'insurrezione spagnola (gennaio 1820), ma anteriore all'ammutinamento di Morelli e Silvati a Nola. E' chiaro come a Lungro non solo esistesse, ma tosse attiva la Carboneria, pronta ad ogni occasione.

 

Il 1884

 

 

Fra gli implicati dei moti cosentini del marzo 1844, che precedettero lo sbarco dei Bandiera e di Ricciotti, figurano

 

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39 albanesi di cui almeno sei di Lungro. Non disponiamo dei nomi di tutti, ma si conoscono  quelli. di Pasquale CUCCI e dei fratelli Damis Angelo e Domenico, del quali li primo venticinquenne e il secondo ventenne. Si è fatto cenno dell'età giovanissima solo per aggiungere che tutti o quasi, gli italo -albanesi che hanno avuto parte cospicua nelle cospirazioni e nelle azioni patriottiche, erano giovani educati nel Collegio italo -greco di S. Adriano in S. Demetrio Corone. Quel Collegio che Ferdinando II definì «covo di vipere e fucina del diavolo »; sul cui conto un funzionario borbonico, riferendo al Ministro di Polizia in Napoli scriveva:

«II Rettore Elmo è pietra di scandalo politico nel Collegio di S. Adriano, perché egli colà -centro delle colonie albanesi che son tutte liberali -riunisce le fila di tutti gli attendibili, tiene segreta corrispondenza con Cosenza e Napoli, e per le spese di questo genere devia le rendite di quel Collegio. E' arrivato fino a dare asilo in Sant'Adriano ai tristi patrioti Raffaele Mauro e Vincenzo Sprovieri. Così ha reso il Collegio una fucina di rivoluzionari. Egli difende i più efferati. nemici del trono come Antonio Marchianò, i fratelli Mauro, Luci di Spezzano, Damis di Lungro ed altri esecrabili ».

Quel Collegio dove i giovani, dallo studio delle lingue classiche traevano ispirazione per meditare sulle vicende della storia d'Italia e per prepararsi alle gesta generosamente spericolate che sapevano poi compiere nella cospirazione e nella ribellione, secondo i principi appresi dai maestri che erano i fabbri di quella « diabolica fucina ». E lo erano tanto che nel giugno del 1848, scoppiata la rivolta, il direttore del Collegio di S. Adriano, Antonio Marchianò chiuse senz'altro l'Istituto e andò a raggiungere gl'insorti seguito dagli alunni che potevano portare un 'arma.

 

IL QUARANTOTTO

 

Nel compito nostro non rientra la storia generale del Regno di Napoli, ma qui è necessario un rapido cenno ai fatti di più vasta portata, per collegare con essi, quel movimento nostrano che fu definito l' «Insurrezione Calabra », al quale Lungro diede contributo larghissimo. Alla fine dell'anno 1847, l'Europa tutta era pervasa da un

 

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fremito che originava dal dilemma di rinnovamento o di rivolta. In Italia la tensione fra il paternalismo tradizionale delle Corti e la concezione liberale, sentita dalla borghesia ed elaborata dagli scrittori, era giunta al massimo.

Un ordine del Ministro di Polizia di Napoli, costrinse circa quindicimila studenti a sgombrare dalla Capitale, nel dicembre. Partirono questi portando nelle provincie, il dispetto e gli ordini dei Comitati segreti, di tenersi pronti a fronteggiare le previste resistenze del. Re e delle congreghe reazionarie. Intanto, essendo state promulgate le Costituzioni di Roma, Torino e Napoli, all'inizio del '48, l'attesa di vedere superata la crisi della prima applicazione, era spasmodica. E quando il Re volle imporre al Parlamento, appena insediato, una formula di giuramento tanto insidiosa quanto liberticida, Napoli, in una sola notte si coprì di barricate. Su queste barricate, la giornata del 15 maggio, si sparse sangue anche di giovani calabresi, mentre molti altri accorsero nella propria terra per dare il segnale dell'azione e per capeggiarla.

Fra i calabresi che rientrarono furono Domenico Mauro da S. Demetrio, vecchio capo della rivolta di Cosenza del '44, e deputato a quel Parlamento costituzionale affogato negli eccidi del 15 maggio. Di lungresi tornarono Giuseppe Samengo, Vincenzo Stratigò e i fratelli Angelo e Domenico Damis. In Lungro esisteva, fin dal 1820 (data certa) la « Setta », vale a dire la Carboneria trasformata in « Giovane Italia ». Vi si formò rapidamente un comitato insurrezionale collegato con quelli di Cosenza e di Castrovillari. Circa duecento uomini, ornato il cap-

 

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pello o il petto della coccarda tricolore (se ne conserva ancora qualche esemplare), ai primi di giugno, al comando di Domenico Damis, presero la via di Campotenese per difendere la proclamata libertà costituzionale in Calabria, insieme con gli insorti degli altri paesi. La resistenza alle truppe dei generali Busacca e Lanza durò tutto giugno, essendosi sciolte le bande di patrioti i primi di luglio. Ne seguirono gli arresti, i processi, le carcerazioni, gli esili. Manca un elenco dei duecento (proprio duecento) lungresi che nel 1848 impugnarono le armi della rivolta alla tirannide borbonica. E neanche sarebbe possibile una ricostruzione, perché i nomi di molti sfuggirono alle indagini di polizia e non compariscono nei processi. Causa di questa lacuna fu anche la solidarietà di tutti i lungresi, i quali, compreso il Sindaco ( Pasquale Martino), chiamati a deporre, seppero tacere i nomi dei più e seppero anche coraggiosamente scagionare quelli che, purtroppo non erano sfuggiti alla inquisizione. Due soli testimoni, nel processo istruttorio, furono spietati, ma uno non era di Lungro, pur risiedendovi per ragioni di impiego nella Salina. Il numero di duecento si desume dalle sentenze di condanne che nelle narrative parlano dei «duecento e più insorti di Lungro ».

Ma i nomi, purtroppo ci sono noti solo in piccola parte tanto che abbiamo preferito, anziché elencarli ora, di includerli nell'elenco dei patrioti, riportato in fine di questa esposizione, facendo, per ciascuno, cenno degli avvenimenti ai quali risulta che abbia partecipato.

Aggiungiamo che secondo Petruccelli della Gattina, dopo che il Campo di Campotenese si sciolse, almeno una sessantina di albanesi seguirono Costabile Carducci verso il Cilento, dove aveva in animo di riaccendere la rivolta.

E dei sessanta di cui sopra, la maggior parte dovevano essere di Lungro. Infatti, nei documenti pubblicati dai borboniani nel 1649 compare una comunicazione di Costabile Carducci sa De Simone, con la quale, il Carducci stesso, che si firma colonnello comandante della 4^ brigata dell'Esercito Calabro Siculo e Commissario civile, agli ordini del generale Ribotti, da Lungro, nominava Francesco De Simone tenente colonnello delle forze di Lungro, deplorando che il Mauro avesse sciolto il campo di S. Martino. Ora è noto come lo scioglimento venne 

 

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dichiarato dal Mauro, dopo il comportamento equivoco del Ribotti che agevolò non poco il congiungimento delle colonne Lanza e Busacca in Castrovillari e che gli insorti tornarono ciascuna schiera verso il proprio paese.

In Lungro dunque non c'erano che i lungresi, e non tutti, perché nonostante lo sbandamento, la maggior parte aveva preso la via di Cosenza. Ma i sessanta che per andare a, lottare altrove seguirono il Carducci, tornarono poco dopo con la delusione seguita all'assassinio del Carducci perpetrata dopo pochi giorni da un amico traditore che lo aveva accolto in casa.

E per completare, il della Gattina narra anche di due insorti lungresi che lo accompagnarono fedelmente nel lungo fortunoso viaggio verso il suo paese (Lagonegro), toccando Belvedere Marittimo. Essi avevano nome Spiridione e Demetrio; quest'ultimo sospiroso per la fidanzata che aveva lasciato a Lungro e l'altro allegro canterino di canti albanesi. Chi erano?

Per dare, sia pure brevemente la misura delle conseguenze 'della rivolta, noi riporteremo quì di seguito, anziché nella parte dove sono raccolte le biografie degli altri lungresi, le notizie riguardanti coloro che furono condannati e rinchiusi nelle prigioni. Le trarremo integralmente dall'opera: « I GALEOTTI POLITICI NAPOLETANI DOPO IL QUARANTOTTO », del compianto illustre Ministro P)en. Attilio Monaco, edita in Roma nel 1932. -Le ricerche del Monaco furono espletate su documenti originali, con competenza e completezza mai prima raggiunta da altri, come può constatare chi volesse consultarne direttamente libro.