CAPO I.

1. I primi Albanesi nel mezzogiorno d'Italia - 2. Immigrazioni avvenute dopo la morto di Scanderbegh, villaggi da essi occupati – 3. Nuovi arrivi dallo assedio alla caduta di Croya — 4. I Turchi ad Otranto - 5. Albanesi nella Sicilia. Altri abbandonano la Vallachia ed i monti Cerauni – 6. Famiglie notabili allora conosciute - 7. Privilegi conceduti dal re Giovanni di Aragona in Sicilia- 8. Condizione politica del napolitano quando gli Albanesi vi arrivarono - 9. Preferiscono il protettorato degli abati - 10. Stipulano dei particolari capitoli - 11. Drappelli albanesi al servizio di diversi potentati - 12. Rapine commesse, provvedimenti dai baroni provocati - 13. Squallore dei paesi, avversione dei Latini - 14. Promiscuità degli abitanti, alcuni sono addaziati.

 

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(1396 – 1461) Al cominciare i rovesci dell'Albania, oppressi gli Albanesi dalla efferatezza musulmana, riuniti a gruppi l'uno dono l'altro scoccarono un bacio sulle tombe degli avi, compressi da uno acerbo dolore, piangenti dai monti al lido in cerea di un'altro cielo si avviarono. Gia dopo la terri­bile, disfatta di Cassovia i paesi riverani eransi rivolti alla Repubblica regina dell'Adriatico, a quella superba Venezia eretta sulle palificate nel frastaglio dei canali solcati dalle innumeri gondole, che garentita dai murazzi, forte del suo repubblicano governo formale antitesi dello assolutismo turco splen­deva. Né i timori cessarono alla morte di Amurat primo ucciso nella sua tenda, poiché  dopo quella fatale giornata Baiazzet primo sconvolse l'Albania di mezzo, minacciava grandi sbarchi nel Peloponneso, e fu allora che a fronte di tanti perigli spaventati del nome turco non pochi Albanesi abban­donarono quei luoghi delle sventure. Una prima turba di dieci famiglie guidate, da un Mico Dragowik, men che sessanta individui si rifugiò nel villaggio di Peroi su i confini veneti, là in appartati casolari stabilivansi (1396) (1). Altri ripararono sui monti della Dalmazia nella Serbia. E più

 

(1) Rodotà del rito greco in Italia. Martinier Diction. Geograph.

 

numerose e più frequenti dopo la morte di Scanderbegh e dopo la caduta di Croya le immigrazioni avvennero nel già reame di Napoli. Questi passaggi furono esaltati in un canto, del quale un brano dalla solita figura esagerata orientale dice: « Trecentomila giovani fuggirono, ruppero il mare per mantenere la fede». Volendo esprimere fin dove giunse il sentimento religioso, i sacrifizi patiti, gli slanci praticati per conservarla. Gli scrittori dei tempi ne registrarono con bastante precisione gli arrivi, a noi resta soltanto il coordinarli con gli avvenimenti storici.  . .

Quando per la decadenza del basso Impero e Normanni ed Angioini assetati di regno impresero ad armeggiare nella Grecia abbiamo veduto quali relazioni gli Albanesi ebbero con i primi re di Napoli, il trattamento rice­vuto, i sudditi fedeli o ribelli, protetti o combattuti, la smania di cogliere i fallaci benefizi che il trono e la pontificia tiara sull'Albania spandevano. Con tali ricordi di antica e fresca data al declinar della fortuna alcuni giun­sero nella Sicilia mentre il re Martino eravisi già raffermato e per dieci anni resse i destini dell'isola. (1399-1409,) (1). Tre poderose squadre comandate da un Demetrio Reres, e da due suoi figli Giorgio e Basilio militarono per lungo tempo al servizio di Alfonso di Aragona, il quale per la prospera sua fortuna contro del rivale Renato di Angiò a capo di un mezzo secolo di guerra unì sotto un solo dominio i regni di Napoli e di Sicilia (1416-1446). Quelle squa­dre richiamarono e mantennero ubbidienti allo Aragonese anche la provincia della Calabria inferiore dichiaratasi in favore della decaduta dinastia francese. Per i servizi fedelmente renduti Demetrio fu nominato Governatore della provincia di Reggio (2). Un buon numero dei suoi commilitoni finito il bisogno delle armi fermaronsi nella provincia di Catanzaro presaghi dei tristi giorni all'Albania riserbati. Per opera di costoro collo scorrere del tempo vi sorsero nuovi paesi, altri disabitati ripopolaronsi. Dapprima se ne contarono sette denominati Andalo, Amato, Arietta, Carafa, Casalnuovo, Vena, e Zangarone; indi gli altri Palagoria, San Nicola dell'alto, Carfizzi e Gizzeria. È facile che alcuni disertori di quelle squadre prima di assodarsi nel catanzarese scorazzassero per i monti della contigua provincia cosentina, dappoiché il calabro Taumaturgo San Francesco da Paola nelle sue lettere narra un'ag­gressione da cinque Albanesi perpetrata sulle alture di Montalto ai servi della famiglia Alimena partiti da Cosenza con dei muli carichi di vitto e del denaro pel fondatore dell'ordine dei Minimi (1446-1448) (3).

Giorgio Reres da capitano nella Sicilia restò tuttavia in osservazione contro le temute invasioni, e per molto tempo i suoi militi stanziarono in Bisiri terra del Mazzarese. Alcuni stabilironsi diffinitivamente in Contessa

 

(1) Mugnoz Teatro genealog: Lib: VI.

(2) Alfonsus Dei gratia rex Aragonum ec. Considerantes nòs enim, quod tuius militaribus servitiis et laboribus uti trium Coloniarum Epirotarum Dux, sub nostro militari servitio cum sanguinis effusione in adeptime totius provinciae Calabrie inferioris magna opere ad tribuisti aliisque occasionibus, et servitiis paratus, et promptus semper fuisti, insimul cura Georgio et Basilios  filiis tuis,   qui Georgius  ad  presens manet in nostro regno Siciliae ultra  Pharum in servitio nostro tamquam Dux Epirotarum nostrum subditorum pro desensione predicti Regni ex gallicis, invasionibus prò quorum remunoratione, ac tua antiqua nobilitate qua ex clarissima familia Castriota Epirotarum principe originem traxit, visum est pro modo. Te militem  Demetrium Reres eligere et nominare in nostrum regium Gubernatorum praedicta  nostrae  provinciae inferioris calabriae pro ut virtute praesentis nostrae regiae vedutae eligimus creamus et nominamus te in prodietum gubernatorum in praenotate provinciae inferioris Calabrie ». (Vedi atti del Notar Diego Baretta in Palermo riportato dal Masci. Disc: pag: 72).

(3) Parimez. Vita di S. Francesco da Paola Tom. IL pag. 216.

 

nel 1450 (1); altri stiedero in Taormina, in dove il quartiere degli Albanesi viene nuche oggi additato; ed altri ritiraronsi, onde prendere parte alle pa­trie battaglie(2). D'allora in poi gli Aragonesi esercitarono influenze più dissinteressate in Albania che non furono quelle degli Angioini; chiare in­dividualità portavansi nella corte a chiedere quei soccorsi che la santità della causa faceva meritare, e se non adequati ai loro bisogni li ottennero sempre.

 

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Lo invitto Scanderbegh aveva già ottenuto dal Papa Pio II il permesso di rifugiarsi con i suoi ad ogni evento nei feudi della Chiesa, perciò tramon­tato con lui il Dragone posto a guardia dell'Albania, a misura che quel paese diveniva preda dello ingordo Ottomano le immigrazioni a frotte si successero nel mezzogiorno d'Italia in dove i primi già stabiliti da richiamo agli altri facevano (3). Alcuni pochi seguendo la traversata più stretta dell'Adriatico sbarcarono sulle terre del Molise, e pur là dei villaggi cominciavano a sorgere dai nomi di Santa Elena, Santa Croce di Migliano, Colle del Lauro.

Molti approdarono sulle rive di Corigliano nella Calabria citra (4), in dove il governo di allora per la scarsezza delle popolazioni non sgradiva la gente straniera (5). Stanziati sulle pendici della Sila fondarono i paesi San Demetrio, Macchia, San Cosmo, Vaccarizza, San Giorgio, e Spezzano collo­cato sull'altra sponda del fiume Grati (1467-1471).

Era compiangente lo stato in cui tanti profughi si trovavano; meglio di chiunque altri lo descrive il Papa Paolo II che stiede sul soglio ponteficio dal 1464 al 1471. Egli scriveva così al Duca di Borgogna: « Le città che finora avevano resistite al furore dei Turchi sono oramai tutte caduteo in loro potere. Tutti i popoli che abitano lungo le coste dello Adriatico tremano allo aspetto di questo imminente pericolo. Non vedesi ovunque che spavento, dolore, captività e morte; non si può senza versare lagrime contemplare que­ste navi che partite dalla riva albanese si riparano nei porti d'Italia, e queste famiglie ignude, meschine, che scacciate dalle loro abitazioni stanno sedute sulla riva del mare stendendo le mani al cielo, e facendo risuonare l'aria di lamenti in ignorata favella » (6).

A questi tennero dietro quelli eretti nelle Puglie, in prima San Pietro in Galatina, unico tra i diversi feudi voluti concessi a Scanderbegh, allor­quando accorse in aiuto di Ferdinando di Aragroua; poi si videro sorgere in terrà d'Otranto i paesi Faggiano, Martignano, Monteparano, Roccaforzata, San Giorgio, San Martino, San Marzano, Sternazia Zollino. Nella Capitanata Casalvecchio, Casalnuovo, Panni, Greci, San Paolo. In oltre vi sono docu­menti comprovanti che il re Ferdinando concedesse ad un Giovanni da Gazuli

 

(1) Fazzol. Hist. sic. dec. I. Lib. X. R. Pirri De Eceles. agrigent. pag. 36.

(2) Rodotà Del rito greco in Ital. Tom. III. pag. 103.

(3) « Optare Giorgium in tema ecclesie rifugium, si regno pelleretur a Turchia. Rifugium pulso in agris ecclesie non defuturum si pro religione pugnans ab hoste fidei cjicitur ». (Comment.)

(4) Cron. Thiurc. Append. alla Stor. di Scander. pag. 233.

(5) Thor. ad Salernitam. dec. 4. num. 2.

(6) Epistola Pauli II. ad Philippum Burgundiae Ducem. Apud cardinalia Papiensis Epistolas.

 

 il deserto paese detto Castelluccio dei Sauri, e questi vi collocò sessanta i schiavoni,  ma forse probabilmente erano Albanesi, dal perché distinguevansi per greci (1473-1474) (1).

 

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(1476-1478) Tosto poi che lo eroico presidio di Croya rimasto solo, ogni speranza di meritato soccorso perdeva, ognuno rivolgevasi a qualche terra ospitale, ove rinvenire un asilo, e non vedere inalberata su quella rocca al posto della croce l'abborrita insegna della mezza luna: quindi dallo assedio alla caduta della metropoli di Albania fu aperto un'altro periodo di passaggi degli Albanesi in Italia. L'agonia di quello ultimo baluardo dei cristiani si protrasse, affinché l'Europa almeno nell'ultima ora avesse distesa una mano soccorritrice ad un popolo ridotto agli estremi per difendere una causa di generale interesse, da tutti per tale riconosciuta. Dopo gl'inutili soccorsi dei pochi veneziani loro non rimasero che le sterili benedizioni dei Papi, mentre da Roma erano partite le più frequenti eccitazioni, onde protrarre tanto oltre una guerra disuguale colla vaga speranza delle crociate. Estin­guendosi nella inopia, e colla effusione de! sangue gli ultimi difensori delle albanesi libertà, il momento estremo di un coraggio sventurato arrivò per tutti, ciascuno dovette scegliere tra la incertezza del destino e l'apostasia. Laonde molte altre sconfortate famiglie si mossero per raggiungere i loro connazionali sulle spiagge della Calabria Citra. Allora si videro ampliate le case intorno alle antiche abbadie, altri piccoli aggregati sorgere in siti al­pestri o boscosi, e da questi venir fuori tutti i paesi ora conosciuti dai nomi di Lungro, Firmo, Acquaformosa, Castroreggio, Cavallerizza, Gerzeto, Givita, Faleonara, Frassineto, Percile, San Basilio, San Benedetto, Santa Caterina, San Giacomo, San Lorenzo, San Martino, Santa Sofia, Serra di Leo, Marri, Cervicato, Farneto, Mongrassano, Platici, Rota: nomi quasi tutti già portati da quei spopolati villaggi, e qualcuno allora imposto.

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(1480-1481) Gli acerrimi loro nemici non contenti di averli snidati dai monti di Epiro con una rimarchevole coincidenza dietro ai loro passi anche in Italia correvano, ed un'altra volta nell'orrendo abisso dal quale uscivano pareva che ingoiare li volessero. Gli stessi Baroni perché insofferenti del go­verno fatto dal re Ferdinando, quel desso pel quale gli Albanesi vennero a combattere nelle Puglie, nel momento in cui egli contro ai Fiorentini lottava crederono giunto il momento di fargli perdere il trono, e a tanto giunsero da incitare il terribile Maometto II a invadere il regno. Rincresce il leg­gere che i Veneziani medesimi mal dissimulando colla loro flotta accompagnavano quella del Turco, pur fingendo di volerle contrastare l'entrata nell’Adriatico; maggiore è il rammarico in sapersi che una divisione dell'armata ottomana diretta a togliere l'isola di Rodi ai Cavalieri di San Giovanni di

 

(1) Comment. 17. an. 1473-1474. Cam. I. lett. F. fol. 4. n. 37. Giustiniani Dizion. Stor. geograf.

 

 

Gerusalemme era Capitanata dal Pascià Mesithes oriundo greco della stirpe dei Paleologo (1); e quella dirotta in Italia comandavala un Achmet Giedik agnominato lo sdentato nato in Albania (2). Ma oramai abbiamo deplorata abbastanza la obbrobriosa condizione, in cui e Greci ed Albanesi erano ca­duti, facciamoci ad osservarne lo conseguenze.

Giù Otranto allo estremo orientale delle Puglie vedeva le scolte musul­mane su di una torre quadrata di pietre rettangolari non cementate, resto di opera romana; quella terra da Pitagora illustrata colle scienze, e colle arti era calcata dalla pesta ottomana! (1480). Per impossessarsene ben dieci­mila dei suoi abitanti, si disse, furono trafitti dal sacrilego ferro, ottocento di essi scelsero il volontario martirio, e sgozzati morirono sul monte della Minerva. Da Valonasi approntavano a partire altri venticinquemila Turchi, quando tra le voci dello allarme, ed i palpiti del cuore s'intese la morte di Maometto II (3 maggio 1481). Da Rodi a Roma, da Roma a tutto il mondo cattolico corse rapida la nuova come un raggio di luce spiccato nelle tenebre. Inni di grazie si elevarono in tutte le chiese, la cristianità sperava di affrancarsi, reciproche congratulazioni dei principi facevano precorrere auguri di più prosperi successi nelle poche armi dei fedeli. Estinto quando meno lo si attendeva il colosso dei Sultani, i Turchi si aggiacciarono; in quella momentanea paralisi il Duca di Calabria Alfonso sussidiato da soldatesche papaline ed ungheresi strinse di assedio la città; il corpo di occupazione si ritirò da Otranto nel 10 agosto 1481, dopo tredici mesi di saccheggio, ed un quasi generale massacro; dugento quaranta scheletri di quei corpi mutilati ancora insepolti sul suolo giacenti furono con solenne pompa raccolti e trasportati in Napoli. (3)

Però la morte di Maometto II fece solo barcolare per poco la Turchia , non la condizione dei popoli fu migliorata, né la cristianità divisa profittò del momento per distruggere quelle orde sterminatrici. Le due armate turche dell'Asia, e dell'Europa divennero antagoniste, il successore Zizim affidossi alla prima, battuto dalla seconda passò tristi giorni in castel Santangelo, poi venne a morire in Terracina, il re di Napoli Federico II ne spedì il corpo ad un'altro Bajazzet portato sul trono. Non pertanto la subblime Porta ammansita sotto il pondo delle discordie intestine faceva supire i timori e con­citare le speranze. Parecchi Principi della penisola, ed il Papa Sisto IV costretti dalla propria debolezza a quella politica innanzi alla quale Scanderbegh non aveva voluto mai piegarsi, ingelositi e dubbiosi della Repubblica veneta, sollecitarono l'alleanza del nuovo Sultano. Ma quella politica di con­ciliazione poco valse a tranquillizzare l'Italia, in nulla giovò agli Albanesi.

 

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(1481-1492) Perciocché rotta la guerra tra la Repubblica e la Turchia, il Sultano Bajazzet II fece appesantire la sferza sulla bassa Albania, ed allora moltissime famiglie o divennero musulmane o precipitosamente emi­grarono. Tredici delle più agiate si radunarono a Scutari, solcando il Drino scesero in Alessio e là imbarcati si rivolsero nella Sicilia. Non passò e la famiglia Adriano edificò nella Provincia di Palermo un palazzo, mano mano

 

(1)  Veggasi Siam. Op. cit. Tom. II. pag. 700 e sue citaz.

(2)  Marin Sannuto Vite dei Duchi di Venezia Tom. XXII pag. 1213.

(3) Giovanni Albino De Bello Hyidrr. Antonio de Ferrario de situ Japyiae ecc.

 

intorno ad esso uno aggregato, e quindi un paese col nome di Palazzo Adriano (1481). Alcune si fermarono sul monto dotto la Pizzuta, ottennero da Ferdinando il cattolico i campi di Marco e Apudingli appartenenti al Cardinale Borgia posti alle falde del monte stesso (1488) (1) e quivi un'altro paese vi sorse denominato Piana dei Greci per distinguerlo da quelli di rito latino; e così poi vennero fuori gli altri Bronto, Mozzoiuso, Sant' Angelo, San Michele. In questi paesi posero stanza i Primati Janni Barbati, un Giorgio Gulema, un Janni Skirò, un Janni Mancalusi, un Tommaso Thani, un Gjon Boxia, un Matteo Masza, un Teodoro Drogoli, un Giorgio Barlezio, un Janni Thaminiti, un Mesacchio, che ricorda la Masaka del Caucaso, non che un Gino di tal cognome, noto por uno dei più arditi Capitani di Scanderbegh, il quale caduto prigioniero nelle mani dello inesorabile Maometto II fu scorticato vivo, infine un Masi della tribù dei Mas Mat, i misuratori del tempo (2).

A suo proprio luogo osservammo gl Albanesi a due riprese rivolgersi nella Vallachia, e come fin là Bajazzet raggiunti li avesse, ora aggiungiamo colle parole del sommo storico Giannoni la fuga da quei siti di molto fa­miglie, le quali per evitare il servaggio e lo islamismo anche in Italia se ne vennero. « Nel 1484, ei dice, Bajazzet prese la Vallachia, nel 1492 occupò i monti Cerauni, e tutto il tratto dell'Albania, e si sottomise tutte quelle getti che vivevano libere. Quindi molte nobili famiglie per non vivere in ischiavitù fuggirono da quei luoghi, e si ricoverarono nelle più vicine parti, ed alcuni nel nostro regno » (3)

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6.

 

Questi profughi che in tempi diversi ed a pochi alla volta in Italia stabilironsi non potrebbe dirsi con certezza a quali delle razze appartennero. Essendo stati quasi tutti seguaci e commilitoni di Scanderbegh la maggio­ranza pare fosse appartenuta alle razze degli Skumki e dei Mirditi, nella prima delle quali faceva parte la famiglia Castriota. Notevole si è la rassomiglianza di taluni cognomi di famiglie con quelli delle poche individualità menzionate nell’Albania del Caucaso. Quel Rereg entrato nel Consiglio le­gislativo del buon re Vatchangan secondo, si avvicina al Reres capitano degli Albanesi militanti nella Sicilia; Rhadan sta in Rada e poi de Rada; Sbragos in Bracos e poi Bracco; Archis da Ark, cittadella in persiano divenuto co­mandante del castello di Atene fu detto in greco Archiopoli ; da Mànasse

 

(1)  Lo istruinento di cessione fa rogato dal Notar Nicola Altavilla da Palermo nell'ultimo giorno di agosto 1488.

(2) II Mugnoz nel suo Teatro genealogico al libro VI. scrive cosi: “Dopo la morte
dello invitto Duce ed eccellente Capitano Giorgio Castriota i nobili Albanesi non potendo soffrire la tirannica servitù dei barbari, come sopra ho detto, se ne vennero in Sicilia con quelle comodità pecuniarie che poterono loro portare; si fermarono con licenza regia parte nella Piana parte nel Palagio Adriano così chiamato da una più potente delle tredici famiglie che ivi fermarono chiamata Adriano, e parte in altri luoghi della Sicilia, e per sostento della loro vita s'impiegarono chi all'agricoltura e chi alla milizia in servizio del re cattolico ». Il re cattolico fu quel Ferdinando figlio di Giovanni II. Di Aragona celebre per avere cinte ad un tempo le corone di Aragona, di Castiglia e di Sicilia. Secondo re nell'isola vi regnò dalla morte del padre avvenuta nel 1479.

(3) Stor. civ. del Regno di Napoli Lib. XXVIII pag. 10.

 

vennero i Manosse nelle guerre di Scanderbegh, poi nel veneto, i Manasse nelle Calabria oggi Manes , e questo nome Manesse venne imposto anche ad un villaggio del Peloponneso; da Marusso Marusio; da Fhiroz Piroz; e cosi molti altri cognomi dalla desinenza in sci dimostrano di essere derivatidai quelli di famiglie antiche ora scomparse: Cuk-sci , Dam-sci, Gram-sci, Glio-sci, Man-sci ecc. come i Straticò, i Demarco sembra di essersi cognomi­nati tra i capi greci.

Non pochi nomi dunque ricordano tra gli Albanesi uomini chiarissimi, fino alla storia antica rimontano; altri appartengono a personaggi fatti noti dalle guerre dei mezzi tempi, ed altri infine uscirono da un volgo dalla mente ottusa, traviati non tristi. Il peggio si è cho nei rivolgimenti della fortuna la sventura n'equiparò le sorti, e sposso i traviati coi buoni si confusero. Noi di tutti impar­zialmente vorremmo dire, avvegnaché scrivendo la storia di un piccol popolo di cui una frazione soltanto passò in Italia, preferendone alcuno sempre un vuoto resterebbe. Dove più ne cadrà in acconcio, e per quanto le ricerche ci aiuteranno riferiremo di quelli che dalle gesta proprie onorarono il nome albanese come degli altri che pur lo contaminarono, essendo dello storico compito gradito e spiacevole il lodare o biasimare gli uomini quando di lodi o di biasimo con i fatti meritevoli siensi renduti. Cederemo il posto a co­loro dell'emigrazioni già riportate per indi parlare degli altri posteriormente arrivati. Oltre le famiglie già menzionate annoverare dobbiamo fra le più cospicue quella dei Castriota, nella cui Signoria fondata da un Costantino detto il Messèrechie, cioè gran massaio, figurarono un Giorgio ed un Bernardo poi un Giovanni già noto per la lega contro i Turchi , e per la terribile giornata di Cassovia, padre di quel Giorgio soprannominato Scanderbegh, l'unico eroe, il cui brando invincibile per un quarto di secolo tenne in alto il vessillo albanese. Erede sventurato ne fu Giovanni rimasto bambino sotto il patrocinio della Repubblica veneta. Di costui si raccontava che seguito da pochi suoi più fidi, e costoro colle proprie donne anche militarmente vestite colle, anni alla mano comandate da due Signori di Scodra, un Cola Marc-Shini, ed un d'Elia, non che da Marco de Mathia capo della rinomata gente mathiana, corse da Antivari alla Dalmazia. Sfuggendo i nemici si rivolse nella Sicilia, non avendovi potuto sbarcare con tutti i seguaci venne in Salerno, andò in Napoli, poi in Roma, e grazia alla intermissione del Papa riparava nel feudo di San Pietro in Galatina. Avendo impalmata una figlia di Lazzaro Brancovitz ne discesero un Ferrante, un Costantino Vescovo d'Isernia morto nel 1498, un Giorgio e Maria morti nel 1560. Da Ferrante Marchese di Civita Santangelo, e da una figlia di Bonifacio Acquaviva Duca di Nardo, nacquero Irene moglie di Pierantonio Sanseverino Principe di Bisignano, e un Gio­vanni Marchese di Castiglione in Liegi, al quale fu dato lo stesso posto oc­cupato eventualmente da Scanderbegh nelle Puglie, cioè di comandante le Castella di Bari, e Governatore militare della provincia: le ossa di lui giacevano sepolte nel castello di Barletta depositatevi nel 1702. La linea maschile si estinse (l).

La famiglia di un Michele dei Lazi appartenente ad una tribù di Cle­menti venne in Italia a trovare migliore soggiorno. Il primo figliuol suo Giorgio nel 1575 era al servizio di Roberto Malatesta Signore di Rimini da

 

(1) Nel villaggio di Jubany, vicino Scutari veggonsi le rovine di uno antico castello appartenuto a Giovanni Castriota padre di Scanderbegh, là alcuni suoi parenti vogliono di essersi ritirati e vivano vita povera conservando i titoli di famiglia. (Heq. Op. cit. pag. 25.

 

 

primo Scudiere (1). Egli ed nitri due fratelli Filippo o Andrea furono am­messi alla cittadinanza di Urbino nel 1491 (2). Filippo militò fra gli armati della Repubblica veneta (3). Uno Altobello primogenito di Giorgio in ricordo della propria origine assunse il cognome di Allumi (\). ludi la famiglia si divise in duo rami, entrambi diedero Cardinali, uno fu ascritto alla nobiltà di Urbino, l'altro a quella di Bergamo., Dal primo usci un Papa Clemente XI cosi la famiglia prese nome da salire al principato di Soriano. Fuvvi uno Albani Annibale Vescovo di Sabina e Cardinale camerlengo nato in Urbino il 1632, il quale fece una edizione del Pontifìcato romanum, e del Missologium graecum, non che una raccolta delle opere dello zio Clemente XI. Poi uno Albano Alessandro nato pure in Urbino nel 1692 figurò da Cardinal Legato a Vienna, da Bibliotecario vaticano a Roma, fuma acquistò per avere procurato i mezzi al Winkelman di spiegare la sua niente, e fondare la scuola estetica. Fece pure una bella raccolta di statue antiche, collocate nel Cam­pidoglio dell'altro Papa Clemente XII (5). Perché antagonista francese sollecitò nel 1798 una lega dei Principi italiani, e quindi fu costretto a rifuggiarsi in Napoli, in dove la corte spandeva aure più omogenee al di lui pen­sare. I suoi beni furono devastati.

La famiglia Basta aveva goduta la Signoria di una piccola città dal nome ili Bastia nei paraggi di Bubrintò, in dove i Veneziani eressero dei fortini per difendere la pesca, e per stare in guardia contro i Turchi. Andrea e Demetrio Basta seguirono Scanderbegh in Italia nel 1461 in San Pietro Galatino dimorarono. Letterato il primo , guerriero il secondo fu elevato a capitano delle Lance di sua Maestà cattolica , e pensionato; indi passò al servizio della casa d'Austria per quarantanni militò nelle guerre di Germania e d'Italia.

La famiglia Matranga , produsse un Giovanni ed un Giorgio , i quali dopo di avere combattute le patrie battaglie emigrarono; il primo divenne Barone di Mautica, l'altro servì al re Martino nella seconda metà del XIV secolo. E così via tanti altri che in prosieguo colla esposizione degli avvenimenti si presenteranno.

 

(1)  Ex tabulis Mario qu. Bartolomei de Benedictis Urbinatis Notarj.

(2)     Cesare Clementino Stor. di Rim. Lib. IX. pag. 533.

(3)     Diplomi dei Dogi Agostino Barberigo del 15 agosto 1499, e Leonardo Loredano del 15 marzo 1568.

(4)     Rod. Del rito Greco in Italia Tom. III. Pag. 51.

(5)     Muratori Annali. An. 1733. Vedi pure Dizionario biografico universale.