CAPO II.

 

3.

 

I rovesci della Repubblica Veneta, e i progressi degli oltramontani sul tenere d'Italia poco o nulla impensierivano i popoli, dalla sola ragione che quelli contro, a costa gli altri della Santa Sede combattevano. Sovvertito l'ordine delle idee, represso lo spirito pubblico, sconosciuto il diritto delle genti in quella sventurata età nel pieno decimoquinto secolo il giusto o l’equo si definiva colla sola forza fisica, non meno come dai ceppi e dalle torture il vero o il falso volevasi dedurre. I supremi gerarchi della cristianità, meno degli altri avrebbero dovuto ricorrere alla spada e procurare lotte cruenti, in quella vece ingannando la propria missione di pace e di carità ne davano per i primi gli esempi, ed anche male operando era un merito un dovere una necessità il secondarli; altro di meglio i più accorti reggitori non praticavano che trarre profitto da siffatti obblighi non derogarli, Le guerre intentate agl'Italiani per ambizione di regno, il baratto del potere spirituale, il disprezzo dei sacrosanti precetti di Cristo, di cui i Papi si dissero rappresentanti e difensori, pungono l'animo di dolore. Il Sultano Bajazzette II, si dolse con Andrea Foscolo ambasciatore della Repubblica in Costantinopoli di non essere stato richiesto del suo aiuto, e profferivasi con grande disinteresse ad assisterla quando lo avesse voluto. L'oltracotanza di un Giulio II avrebbe spinto i meno avveduti di appigliarsi ad un tale partito, se i Veneziani accorti non ne avessero a colpo di occhio misurate le conseguenze, e più saggi del Papa non avessero nutrito la speranza di ridurlo a men tristi consigli. Rincuorati non tanto da ciò quanto dal vedere che il re Ferdinando essendosi impossessato pacificamente delle città tenute dai veneti nelle puglie accennava a ritirarsi dalla lega; che Ludovico XII compiuto il fatto suo disponevasi a richiamare una parte delle milizie nel genovesato; infine che lo Imperadore Massimiliano erasi dimostrato piuttosto vago nel pensare, fiacco nell’agire. Laonde Treviso e Padova furono ricuperate, Legnago loro apriva le porte, Vicenza ne avrebbe seguito lo esempio se Costantino Arianite, agente dello Imperadore, facendovi entrare gl’imperiali non l'avesse impedito (1). Verona stava per cedere, in essa il Vescovo di Trento con soli dugento cavalli e settecento fantaccini, domandò aiuto al Marchese di Mantova e questi avvicinavasi per soccorrerlo. Arrivato a Scala, grande borgata nel veronese, s'imbattè con un drappello di Stradiotti, con i quali invece di azzuffarsi prese a negoziare, onde farli disertare dalle file dei Veneziani. E qui rivelossi l'astuzia greco-albanese, poiché temporeggiando nelle trattative ne avvisarono Lucio Malvezzi e lo Zittolo da Perugia, i quali portaronsi a Legnago con ducento cavalli e ottocento pedoni. Allorquando gli Stradiotti furono sicuri di essere spalleggiati colla parola di ordine lor data dallo stesso Marchese, cioè Turco suo cognome, la notte del 9 agosto entrarono in Verona, e mentre gli altri seguivanli arrestarono il comandante luogotenente Biossi, il presidio disarmarono (2).

Proseguendo in cotal guisa forse i Veneziani avrebbero ripreso tutto il perduto, se il Papa ed il re di Francia con un altro particolare trattato non si fossero stretti in lega offensiva e difensiva, e da parte sua lo Imperadore Massimiliano visto la perdita di Treviso, Padova e Verona, il pericolo corso da Vicenza, uscito dal suo letargo non si fosse affrettato ad assembrare dai contingenti degli alleati uno esercito da imporre a tutta l'Italia unita.

I Veneziani rafforzarono Padova, come tra le altre piazze la più importante a conservare; vi posero il Conte di Pitigliano Orsini con seicento uomini d'arme, mille e cinquecento Stradiotti, altrettanti cavalli leggieri con gli Uffiziali Bernardino del Monte, Antonio de Pii, Lucio Malvezzi, e Giovanni Greco già liberato dai pontefici. “Vennero a Venezia i presidii che abbandonarono la Romagna e il regno di Napoli, giunsero dall'Istria, Albania e Dalmazia non poche schiere di gente bellicosa”(3). Inoltre essendo il mare sgombro di nemici richiamarono le ciurme a terra, e così altri “diecimila fanti tra Schiavoni, Greci, Albanesi tratti dalle loro galee, nei quali benchè fosse molta turba inutile, e quasi collettizia, ve n'era pure qualche parte utile” (4). Non mancavano di un parco di artiglieria e di quanto poteva occorrere a mantenere un lungo assedio. Nuove fortificazioni vi aggiunsero, inondarono i fossati coll'acqua della Brenta, minarono i bastioni, tutto praticarono per munire quella vasta città, in cui pareva decider si dovessero i destini della Repubblica; e molto stupì il vedere centosessanta nobili Veneziani derogando la prima volta gli usi delle oliarchie con i loro armizzeri scendere assieme agli altri ad abbassare la propria lancia sul campo.

Giunto lo Imperatore nel Friuli rinvenne uno esercito di Lanzichinecchi commisto di Spagnoli d’Italiani e avventurieri di varie nazioni forti di circa ottantamila soldati; aveva inviato da Germania cento e sei cannoni, e sei bombarde così ~grosse da non potersi trasportare con i carri, situate al posto gran tempo e fatica bisognava per ammuoverle, non davano più di quattro tiri al giorno; inoltre vi erano le artiglierie dei Ferraresi, di quei di Milano, in uno si conta,ano dugendo bocche da fuoco. Nel tempo in cui si gran numero di combattenti ordinavansi e man mano si distendevano per quel di. Rovigo tra l’Adige e il Po, dei corpi distaccati occuparono parecchie Castella, quello di Esti, di Monselice, di Montagnano ecc. ecc. A tanto reclutamento tenne anche mano il Despota Albanese Arianite, al partito imperiale aderente ; e vi si pose, perchè il papa Giulio II pur riconoscendo il

 

(1) Sism. Op. cit. Cap. 106 pag. 351.

(2) Guicciard. op. cit. Capo III. p. 453. Sism. op. cit. Capo 106 pag. 351.

(3) Muratori annal. Vol. VI . pag. 38.

(4) Guicciard. op, cit, Lib. VIII. Cap. IV. pago 162. Sism. op. cit. Cap. 106 p. 353.

 

grave errore di guerreggiare la Repubblica, entrato  in timore dei francesi gli ordinò di favorire sotto mano i Veneziani, forse per opera sua costoro vennero in possesso di Padova e per suggerimento suo gli imperiali lentamente procedettero(1). A fine di privare di acqua i Padovani,lo imperatore ordinò di divergere la corrente del Brenta, « ma gli scorridori degli Stradiotti mai non permisero ai suoi marraiuoli di compiere i loro lavori”.(2)- Un Soncin Benzone temendo la disfatta dei repubblicani si diè ai nemici; tosto che desertò uno Stanio Clemente albanese con tre compagni lo arrestarono, e il Provveditore Gritti lo fece appendere. Il Senato loro decretò delle annue provisioni (3). Terminate le opere di approccio gl'imperiali abbandonarono i posti occupati di poco utilità, e si avvicinarono per dare lo assalto, concentrandosi alla riva del Bacchiglione tra Venezia e Padova.

Per effetto di tutti questi preparativi anche i Veneziani ebbero tempo ai loro apprestamenti, e trovavansi giù pronti ad una bene ordinata difesa.  I reiterati colpi di cannone percuotevano le mura senza che il presidio se ne scomponesse. “Gli Stradiotti i quali alloggiati animosamente nei Borghi avevano ricusato di ritirarsi ad alloggiare nella Città, e i cavalli leggieri correndo continuamente per tutto, ora correvano (quanto d'innanzi,  quando di dietro) insino in su gli alloggiamenti degli inimici; ora assalivano le scorti del saccomanno e delle vettovaglie; ora scorrendo e predando per tutto il paese rompevano tutte le vie, eccetto quella che va da Padova al Monte di Abano" (4), Aperta la breccia nel bastione verso la porta detta di Coda lunga, i fanti tedeschi e spagnuoli corsero all’assalto, respinti lo ripeterono con più slancio e in maggior numero; dopo un a zuffa micidiale ne restarono padroni, ma in esso rinvennero la morte, che le armi da fuoco e da taglio loro non avevano data, avvegnacchè i Veneziani accesero la miccia delle mine già preparate scoppiando quando essi già stavano lontani, fecero saltare per l’aria il bastione, e in mezzo alle rovine gli assalitori perirono. Simultaneamente lo Zittolo di Perugia caricando gl'imperiali nel momento della confusione e dello spavento riuscì a scacciarli fuori delle loro opere avanzate.

Non potendo prevedere tanto disastro lo Imperadore e i suoi alleati caddero di animo; lo assedio richiedeva tempo e sacrifizi per essere condotto al termine, e per di più non tutti i diversi corpi di belligeranti di buona voglia vi cooperavano; ciascuno dei Capi aveva di mira il proprio intento, ognuno diceva se Padova spettare deve allo Imperadore curasse lui di conquistarla. Non da meno erano le difficoltà di vettovagliare una moltitudine di uomini e di cavalli, non già che quelle doviziose campagne ne mancassero, ma perché gli assediati, e gli Stradiotti principalmente non rimanevansi tra le mura, scorrendo sempre dl sovvente li pizzicavano (5). Da quel momento le gelosie dei cavalieri, l'avidità, la poco buona fede degli alleati nel rispettare i patti convenuti annunziavano già il dissolvimento della lega; per allora se non altro, ne cadde il prestigio, avendo lo Imperadore tolto lo assedio, perdurato sotto Padova diciotto giorni appena, dal15 settembre al dì 3 ottobre dell'anno 1509.

 

(1) Murat Ann. Vol. VI pag. 39 e 41.

(2) P.Bembi Hist. Lib. IX. III. pag. 197. Sism. Stor. delle Repubb. Ital. Cap. 106 pagina 354.

(3) Bem.Tom. II . pag. 215.

(4) Guicciard. op, cit, Lib. VIII. Cap. IV. pago 464.

(5) Sism. Op. cit. Cap. 106 pag. 355.

 

4.

 

(1510) Ma con una sola vittoria le cose dei Veneziani non potevano migliorare gran fatto, in ogni modo ben s'industriavano per ingrossare lo esercito, affinchè uscendo da una estrema difesa mettersi nel più breve tempo sulla offensiva. Presero al loro soldo altri cinquecento cavalleggieri condotti da un Giovanili l'Epirota, i quali secondo dice il Daru, ed anche il Muratori, erano turchi, secondo il Pouqueville erano Albanesi rimasti fedeli alla religione degli Avi (1), Dello insuccesso gli avversari intanto l'uno l'altro incolpavasene, e ciò praticando sempre più dislegavansi. Alla totale disunione poi molto contribuì il Papa, il quale arrogandosi una piena autorità sul clero francese nominò moto proprio il Vescovo di Avignone, per lo che il re Ludovico XII pose il sequestro a tutte l'entrate degli ecclesiastici nel milanese, e attirò su di sè gran parte dell'odio per i Veneziani sino allora nutrito, avvegnachè Giulio II trasportato dalla impetuosità. del suo carattere prosciolse questi dalle scomuniche, tutte contro del suo alleato le rivolse.

Meno disaccordi. ma neppur'e unanimi stavano lo Imperadore Massimiliano e il re Ferdinando il cattolico, e poichè il Papa dalla veemante evoluzione fatta sentiva il bisogno di vieppiù disunirli, si avvalse nei suoi riggiri del medesimo Arianite più volte nominato. Costui per altro mal vi riuscì, trovandosi già in sospetto non fu neppure ricevuto dal re dei Romani (2). Più di tutte mortificate nelle imprese d'Italia potevan dirsi le schiere tedesche, tanto che lo Imperadore dimandò al re Ferdinando dei drappelli spagnuoli per aprire una seconda stagione campale diretta esclusivamente a rafforzare il suo dominio nelle città occupate, e conquistare le altre dal trattato di Cambrai a lui riserbate; si mantenne con insolita costanza in buoni accordi col re di Francia, e fermo nella inimicizia con i Veneziani. Costoro procedevano con lentezza e cautela in attesa che i nemici ad aperta rottura venissero, e gl'inconsulti moti del Papa gli facessero sentire il bisogno di tenersela con essi; nè d'altronde tutto lo esercito potevano di un tratto ristorare, nè tutti evitare i danni della giornata. Le oste belligeranti guardavano la campagna ciascuna appoggiata ai punti forti travagliandosi a vicenda; più di tutti pativano gli stranieri, poichè dovendosi nutrire in terra aliena da circa un'anno avevano spogliati i paesi e provocata l'avversione dei naturali. “Il Castello di Monselice era uno dei principali rifugi degli Stradiotti, i quali di là partivano per iscorrere il paese alle spalle dello esercito nemico" (3). Quel castello sorgeva sulla cima dei monti Eugenei dominanti su di Legnago, Padova, Rovigo, Vicenza; i Veneziani dopo uscitine i Tedeschi vi posero settecento uomini agli ordini di Martino da S. Sepolcro. Un giorno in cui gli Stradiotti erano fuori per le solite escursioni gl'Italiani ne sortirono per assalire una compagnia di Lanzichenecchi, di cui s'ignorava il numero. Impegnato il conflitto da forza maggiore furono ributtati, retrocedendo verso le alture pervennero a chiudersi in un primo recinto, assaliti in quel punto passarono nel secondo, rincacciati anche in questo trabalzarono dentro al terzo più prossimo alla sommità, infine si ridussero tra le mura del Castello. Non potendo più inseguirli i Tedeschi vi appiccarono il fuoco, gl' infelici offrivano di arrendersi, ma invano, quasi tutti perirono

 

(l) Daru, Ist. de Ven, Lib. 33. Murat. Ann. Lib. VI. Pag. 45. Pouq. Voy. en Grece Tom. III. pag. 506.

(2)Guiciard, Stor. d'Ital, Lib, IX, Cap. III. Pag. 506.

(3) Sism. Stor. delle Repubbl, Ital. cap. 106. pag. 367.

 

o trafitti dalle picche nemiche o in preda alle fiamme. Poco dopo stando i  Tedeschi a stringere Treviso richiedevano aiuto ai Francesi per disbrigarsene, e questi non sapevano sortire dal Ferrarese per “le assidue molestie dei cavalli leggieri e dei Stradiotti dei Veneziani, i quali avvisati per la diligenza dei villani di ogni piccolo loro movimento, ed essendo tanto numero apparivano dovunque potessero danneggiarli” (1).

Levato lo assedio da Padova lo esercito imperiale aveva occupato parecchie città, delle quali alcune si diedero spontanee per evitare fatiche di una infruttuosa resistenza, altre furonvi astrette non senza sottostare ai maltrattamenti di un pretensore indignato. Verona e Vicenza con nobile costanza essendosi addimostrate affezionate ai Veneziani, quando caddero, in uno il vescovo di Trento, nell'altro il Generale Tedesco gareggiarono a chi più ne disfogasse la sete di sangue il sacerdote o il soldato. Il Veronese quindi fremeva, i contadini medesimi davano braccio forte alle scorrerie degli Stradiotti, al cospetto degli occupatori, che loro imponevano di gridare viva lo Imperadore essi gridavano viva San Marco. Verona e Vicenza adunque meritavano la maggiore considerazione dei Veneziani; avendo ricuperato già Esti Monselice, Montagnano, Marostico e Bassiano stavano alla vedetta per impadronirsene. Li venne fatto di entrare in Vicenza senza colpo ferire, poichè non potendo i Tedeschi tener ferme in ambe due quelle città l'abbandonarono per concentrarsi in Verona (2).  

Fino allora ne aveva avuto il comando Rodolfo Principe di Anhalt, essendo venuto a morte vi fu posto il Duca di Tremiti spedito dal re cattolico con quattrocento lance spagnuole in rinforzo dei Tedeschi. Il nuovo comandante di Verona disponeva di ottocento lance tra tedeschi e spagnuoli, francesi e italiani, di altrettanti pedoni. I Veneziani contavano ottocento uomini d'arme, tremila cavalleggieri quasi tutti Stradiotti, e diecimila fanti oltre a quantità grandissima di villani tutti diretti da Lucio Malvezzi e dallo Zittolo di Perugia (3).

 

(1) Guicciard. Ist. d'Ital. Lib. IX. Cap. II. pag. 493.

(2) Guicciard. Op. cit. Lib. IX. Cap. II. p. 501. 

(3) Idem pag. 502.

 

Colle buone predisposizioni degli abitanti, e con i riacquisti che andavano facendo vollero tentare di riguadagnare Verona, la quale per ragioni storiche, per la importanza sua tutta la loro benevolenza aveva saputo meritare. Collocarono sulla riva sinistra dell'Adice quanta più artiglieria si avevano, a capo di pochi giorni la breccia fu aperta, lo assalto era stato disposto pel dì seguente. Nel corso della notte il presidio fece una sortita con milleottocento uomini tedeschi, e pochi francesi; secondato dalla fortuna riuscì ad inchiodare due cannoni scompigliò la fanteria dei veneti non tutta avvezza al mestiere della guerra, e per fino uccise lo Zittolo di Perugia, uno dei migliori capitani della Repubblica. Una perdita così grave sconcertò gli assedianti al punto che il Malvezzi stimò più conveniente di allontanarsi da Verona e riprendere i suoi quartieri poco discosti in San Martino. Appella liberati dallo assedio i Saccomanni della città coperti da una grossa scorta entrarono nella valle di Pantena, onde rifornirla di viveri e di strame; avvedutasene la cavalleria veneta ne asserragliò i passi, e quando si provarono ad uscirne, in parte furono uccisi in parto fatti prigionieri (1). Fallito il tentativo con questa fazione sfogarono lo sdegno, ma non compensarono le perdite subite.

 

(1) Guicciard. Ist. d'Ital. Lib. IX. Cap. II. pag. 503.