Giovanni CAVA

  (Parte 2^)

Considerazioni generali su alcune comunità albanesi di Calabria Citra

attraverso le capitolazioni.

(Rivista "ZJARRI" - Anno IV - N. 1 - Gennaio 1972)

 

 

Dalle capitolazioni del Vescovo di Cassano con le comunità di Frascineto e di S.Basile, che seguono in ordine cronologico, rispettivamente del 1490 e del 1510, attraverso le minuziose e pedantesche clausole, emergono pretese di donativi e di prestazioni personali, « angherie » (14 ), oltre agli obblighi decimali, ed al tributo di casalinaggio, ed, inoltre, limitazioni o divieti di commercio al di fuori della comunità (15), che rivelano consuetudini e mentalità, ancora residuali del vecchio sistema economico chiuso della « curtis », non del tutto superato in alcune zone, nonostante il processo di tempo.

Abbastanza precarie dovevano essere inizialmente le condizioni di vita degli Albanesi di S. Sofia, vassalli del vescovo di Bisignano, barone di S. Sofia, e del principe Sanseverino, essendo quei luoghi « de partinentiis civitatis Bisiniani », per quanto si apprende dalle capitolazioni del 1530 con il principe e dai « capituli di grazie » del 1586, così detti dalla forma dell'atto delle concessioni elargite dal vescovo. Da quegli atti, che si risolvono in disposizioni relative alle lamentele e alle suppliche degli Albanesi, rivolte, rispettivamente, al principe ed al vescovo, per essere equiparati ai cittadini di Bisignano nel, trattamento e nella contribuzione e per chiedere più larghe concessioni di usi civici, oltre a sgravi di pesi, si apprende come questi vivessero in uno stato di vera indigenza e come venissero spesso vessati ed angariati dalle arbitrarie pretese degli esattori e dei procuratori. Infine, « atteso essi poveri uomini habitano in pagliara, con quanti pericoli, et alcuni de' loro per magnificare detti casali pretendono fabbricare le case de calce et de arena », supplicano che si dia loro licenza di poterle costruire con convenienti facilitazioni. Ciò vuol dire che le condizioni di vita erano molto modeste o addirittura misere, nonostante fossero passati diversi anni dal loro insediamento in quel villaggio (16). .

Le stesse ristrettezze economiche si rivelano dal tenore delle capitolazioni del 1497 del principe di Bisignano con gli Albanesi di Firmo, capitolazioni, che per l'oggetto delle concessioni vennero sollecitate dall'intervento dei Domenicani di Altomonte; sotto la protezione dei quali quegli Albanesi si erano posti, e sollecitati, per l'esecuzione, dalla principessa Irene, discendente di Skanderbeg, perciò di origine albanese, moglie di Pietro Antonio Sanseverino; in virtù di esse gli Albanesi ottennero concessioni di terra e di usi sul « terreno della Saracena così come l'usano et gaudeno li Albanesi dell'Ungro » (17).

Questi, infatti, per l'intercessione dei Basiliani di So Maria delle Fonti, sotto la giurisdizione dei quali si trovava il casale di Lungro e rimase fino a quando nel 1525 i Basiliani abbandonarono il monastero, che divenne prebenda commendatizia, avevano avuto dal principe Sanseverino, Signore di Altomonte, concessioni soddisfacenti di sfruttamento delle terre nel feudo di Saracena, mentre alcuni della stessa. comunità erano stati adibiti ai lavori della miniera, per l'estrazione del salgemma.

Analoghe risultano le condizioni degli Albanesi del Casale di S. Giorgio dagli atti della platea della badia patitiense, compilata nel 1661, a petizione dell'abate commendatario, cardinale Barberini.(18). Questo casale di pertinenza della badia, come si evince dal diploma di Ruggiero il Normanno del 1104, inserito negli atti della Carta rossanese, e dal regesto di papa Innocenzo III del 1198 (19), faceva parte della contea di Corigliano, che era stata assegnata dai Normanni, in compenso dei favori e degli aiuti ottenuti, a Ruggiero Sanseverino; perciò, come altrove, la giurisdizione era mista tra il feudatario ed il suffeudatario, a danno, naturalmente, dei vassalli, per la duplice Signoria ed il conseguente groviglio delle competenze.

Gli Albanesi del casale di S. Benedetto Ullano dipesero giurisdizionalmente, quali vassalli, dalla badia benedettina, la cui sede, nel 1732, divenne per concessione dell'abate commendatario, cardinale Carafa, la sede dello storico collegio Italo-greco, istituito con bolla del papa Clemente XII. Dalle capitolazioni del 1583, regolative dei loro rapporti con la badia, emergono da una parte le consuetudinarie clausole di prestazioni varie, di regalie, di limitazioni, di obblighi a loro carico, ma si rileva pure dal tenore delle richieste e corrispettive concessioni l'affiorare di una certa coscienza civica della comunità, segno indubbio di acquisita consapevolezza nella prospettazione delle istanze a tutela dei loro diritti ed interessi (20).

Più tardi sorse Spezzano ad opera di alcuni Albanesi, che si trasferirono, dal casale di S. Lorenzo, appendice feudale dei duchi di Saracena, dove si erano fermati, nel casale denominato delle Grazie, sotto la giurisdizione dei Sanseverino di Bisignano; la tradizione, in seguito, ne abbellì l'origine in una trasfigurazione leggendaria (21).

Dall'insieme delle notizie si può concludere che questi profughi Albanesi, giunti nella Calabria citra in gruppi ed in fasi successive, ma nel periodo, in cui nell'Italia Meridionale, nel quadro politico di una monarchia istituzionalmente unitaria, resistevano, tuttavia, solide ancora le strutture economiche e sociali del feudalesimo, si posero in rapporto vassallatico sotto la giurisdizione di vescovi ed abati, per la gran parte, nell'ambito della vasta e potente signoria dei Sanseverino; s'insediarono, per lo più, in casali preesistenti, abbandonati o quasi dai precedenti abitanti, spinti, all'esodo, forse, da altre prospettive, casali, che essi ripopolarono, con beneficio dell'economia locale, per l'apporto di nuova e valida mano d'opera, assoggettandosi a prestazioni convenzionate sul piano contrattuale, consuetudinario, ratificate pubblicamente solamente più tardi, « solvendis reditibus annuisque pensionibus obnoxii ».

Perciò, il loro rapporto vassallatico, convenzionale e volontario, o almeno formalmente tale, perché in effetti coatto da esigenze di vita, ebbe origine e struttura giuridica diverse rispetto al rapporto vassallatico, preesistente con le popolazioni indigene, che si era costituito nel processo storico, per diritto di conquista o per sovrana decisione, sulla base di una impalcatura gerarchica da feudatari a suffeudatari. L 'insediamento degli Albanesi nei rispettivi feudi venne facilitato dai feudatari, che ne trassero vantaggio, avvalendosi del tradizionale principio della «potestas coadunandi et affidandi », ed avvenne che i sopravvenuti prevalsero spesso in numero sugli elementi autoctoni nei casali di residenza (22).

Tenuto conto della generale povertà dei luoghi scarsamente feraci per natura, per di più impervi, boscosi e silvestri, tenuto conto dei gravami delle prestazioni e degli obblighi in corrispettivo delle concessioni ottenute, oltre le limitazioni consuetudinarie e i tributi pro iure tenimenti e di casalinaggio, se ne deduce che le condizioni di vita di questi coloni dovettero essere abbastanza dure e precarie, specialmente agli inizi, aggravate dalle numerose difficoltà di ambientazione.

Isolati nei loro casali, per la gran parte dell'anno, eccettuati i pochi rapporti di necessità e la partecipazione a qualche fiera stagionale (23), legati alla terra, unica fonte di reddito e di risorse economiche, insieme alla pastorizia, vissero per lungo tempo una vita soltanto locale, patriarcale, semplice, monotona, disarticolata, nell'uniformità esasperante dell'unica attività agricola, che, tuttavia, divenne economicamente più proficua, con le iniziative di una migliore e più razionale organizzazione dei lavori e con l'intraprendenza delle trasformazioni più redditizie, per l'impianto di vigneti e di oliveti.

Con l'andare del tempo sostituirono per le mutate condizioni di vita i primitivi pagliari e le misere capanne con abitazioni, se pure modeste, ma di pietre e calce, che conferirono alla vita un senso di maggiore serenità.

Come si può rilevare da documenti diversi, assoggettandosi al pagamento di canoni per l'uso dei corsi di acqua, gli Albanesi costruirono anche dei mulini, che gestirono in proprio, accanto a quelli badiali o baronali ( 24 ), e si dedicarono in alcune zone alla coltivazione dei gelsi e alla bachicoltura, se pure in forme limitate e rudimentale, per la produzione della seta, che essi stessi lavorarono e trasformarono in pregevoli manufatti artigianali (25).

Con l'andare del tempo sostituirono, per le mutate condizioni, di vita prolungata delle istituzioni feudali, e con l'affiorare di nuovi interessi politici economici, si venne acquisendo una nuova mentalità, più matura in ordine di rivendicazioni civiche, e, pertanto, anche la primitiva struttura feudale sociale ed economica, caratterizzata dai perduranti riflessi del sistema curtense nel diritto feudale signorile, quale si rivela dalle prime capitolazioni, subì radicali trasformazioni, per i molteplici fattori incidenti, che contribuirono ad allargare gli orizzonti delle aspirazioni e degli interessi e portarono di conseguenza a nuove forme di strutturazioni organizzative e sociali.

Le primitive concessioni vennero trasformandosi, per la gran parte, in enfiteusi, come si rileva dai resoconti dei censi e dagli atti di ricognizioni posteriori alle capitolazioni ed i canoni non vennero segnati più « ad mansum », ma « ad personam », come emerge anche da una certa toponomastica, derivata per alcune contrade dai nomi delle famiglie o delle persone concessionarie; non solo, ma si passò dalla determinazione del canone in natura alla determinazione in denaro, con conseguente maggiore libertà e disponibilità di uso delle terre da parte dei concessionari, procedendo verso forme di una economia più aperta. Inoltre, si pervenne ad una più larga concessione di usi civici sui territori di riserva, che, con l'eversione dei feudi, costituirono, poi, i nuclei dei territori demaniali comunali (26).

Vennero, dall'altra parte, costituendosi le « universitates » cittadine, che, affermando e rivendicando le loro autonomie municipalistiche, sottrassero a loro vantaggio una serie di diritti pubblici e privati alla feudalità decadente.

La trasformazione dei rapporti si tradusse in una nuova strutturazione fondiaria, che determinò nuove condizioni economiche e nuovi fermenti sociali, che portarono in seguito alle grandi riforme eversive del feudo.

Tutto questo, si capisce, si inquadra nell'evoluzione trasformatrice, che investe, nell'ampio processo storico, le strutture della società del tempo.

Un fatto indubbiamente importante, che contribuì positivamente ad accelerare i tempi del progresso per le comunità Albanesi fu l'istituzione del collegio Italo-greco, perorata dal dotto sacerdote Italo-Albanese Felice Samuele Rodotà di S. Benedetto Ullano e realizzata dal pontefice Clemente XII Corsini, con bolla di fondazione del 1732. L 'Istituto, infatti, facilitò a molti la possibilità di intraprendere gli studi e di evadere dalle ristrettezze delle loro comunità e ad alcuni, più dotati d'ingegno e di dottrina, di affermarsi in modo notevole nel campo della cultura, per opere di pensiero, e di inserirsi degnamente nel quadro storico della civiltà (27).

Non si può prescindere, a conclusione, da una considerazione sul particolare mondo Arbrësh, espresso ancora a distanza di secoli nella genuinità dei suoi motivi e caratteri tradizionali dalla comunità Italo-Albanese, realtà storica e spirituale, effettuale nella sua vitalità di un processo di meravigliosa combinazione dei due elementi, l'Italico e l'Albanese.

Tra le comunità Albanesi, isolate nei loro casali arrampicati sulle colline, continuò a vivere, per quel naturale orgoglio della stirpe, maggiormente sentito nella tristezza dell'esilio, il ricordo del passato glorioso nello splendido alone dell'epopea; della quale i padri erano stati i protagonisti, espresso dalla ricchezza dei canti popolari, che fiorirono con spontaneità di sentimento e con i quali i profughi alleviarono le durezze della fatica giornaliera; continuò a vivere l'àrbri nella continuità delle tradizioni avite, nei canti sacri, nella liturgia religiosa, nel rito, nelle costumanze di vita, soprattutto, nella dolcezza della lingua materna, sempre più fascinoso nella sua idealità, mano mano che passavano gli anni. Diversi fattori, storici, etnici, psicologici concorsero insieme alla conservazione nel tempo, nella primitiva genuinità, nonostante il processo di totale inserimento degli Italo-Albanesi nella vita e nella storia d'Italia, di

Questo retaggio di spiritualità, dal quale trasse ispirazione il canto di Girolamo De Rada.

 

 (14) “ Item promettono ditti Albanesi alla predetta corte episcopale una giornata per

pagliaro anno quolibet o vero grana 5 per giornata... ”; altrove: “ item si ordina et comanda che detti Albanesi siano tenuti portare legname che fosse bisogno per lo molino de la corte... et conciare lo acquaro et portare la petra quanto volte bisognasse per bisogno di detto molino a loro fatiche et spese; et similiter siano tenuti detti Albanesi portare legname per lo bisogno dello battenderi quando la corte ce lo facesse”; e ancora: “si ordina et comanda che 'detti Albanesi siano tenuti inchiudere tre salme di paglia di grano et una di orzo per ciascheduno pagliaro et quella tenere per uso de detta corte anno quolibet ".

(15) “Item s'ordina et comanda che niuno Albanese habitante in detto casale possa vendere vittovaglie, ghiande, bestiame ad altre persone che a quelle de lo casale senza licentia espressa di detta corte... ". Ed in fine un divieto precauzionale: “vole et comanda detto rev. Abate che nessuno Albanese habitante in detto casale habia da passare per nanzi lo porcile d'esso rev. Abate per che ce sono certi cani malvasi et hominari. Et si pur loro ce volessero passare et patissero alcuno danno in persone loro o, de bestiame, loro danno ”.

(16) V. nota 5 .dai “capituli di gratie”: “ ...Item supplicano detti Albanesi V.R. S: voglia ordinare a quelli che esiggonno la ragione della decima delli animali che quando la numerano lo mese di aprile e di maggio intanto se li habbiano da pigliare ne loro potere, e non permetta s'abbiano da tenere sino a settembre et ottobre a loro dispise... Item atteso quando veneno li predetti contare detto bestiame, e pigliare detta decima, contano, seu numerano intro l'animali, che si hanno a decimare, le matri contra ogni duviri, et a nessuna parte de lo mundo se fa, voglia ordinare V.. R. S. che solum habbiano d'havere detti Esattori solum la decima de' capretti et agnelli di quell'anno (Placet)... Item, supplicano V. S. R. si degni raccomandare al Vicario e Procuratori che quando vanni alli detti casali vogliano portare con loro tre o quattro persone, che vene volta ne portano tanti che non se possono nutricare (Placet)... Dalle capitolazioni del Principe: “ Item, supplicano... che possano godere tutti i privilegi che godono i naturali di Bisignano (Placet)... Item, che i bestiami loro godono tutto quello, che godono i bestiami dei cittadini di Bisignano (Placet)...

Item che faccia pagare loro di pigione come pagano i cittadini di Bisignano (Placet)... ecc. ecc.

(17) Il principato di Bisignano fu assegnato dal re Ferrante d'Aragona a Luca Sanseverino. Il principe Pietro Antonio fu capitano di Carlo V; sposò Irene o Herina Castrista  pronipote di Skanderbeg, mentre il fratello di questa, Achille Castriota, sposò nel 1561 Isabella Sanseverino, figlia di Francesco,. principe di Salerno.

V. nota 6: “Item supplicano detti frati chi V. S. debbea fare franchi detti Albanesi de Firmo de lo terreno de la Saracena, et gaudere tutte le franchigge che godono l'Albanesi de l'Ungro”.

(18) “L'Abate ogni anno percepiva 3 carlini per ciascuna casa o pagliara, ridotti in seguito ad un carlino da pagare altresì alla ducale corte di Corigliano. Ogni anno da chi facesse massaria esigeva una paricchiata, nonché la decima. Esercitava il ius prohibendi, il ius, dohanae, il ius pali, il ius carcerandi". I vassalli non potevano alienare i loro beni se non tra loro, previo assenso dell'Abate. (v. Gradilone " op. cit.).

(19) Gradilone -op. cit.

(20) “Siano tenuti detti vassalli portare e condurre saitta e mola ed altre cose necessarie per il molino di detta Badia a loro spese dalla montagna alla Badia ".

“Debbono chiudere la vigna di detta Badia, quante volte sarà bisogno, e ad ogni richiesta de suoi fattori, debbono di più dare una giornata per fuoco, da servire in detta vigna" ecc; ecc .

Nelle stesse capitolazioni: “che possano tenere le loro possessioni, vigne, gelsi, ed altro ed aumentarli, dando il solito e consueto rendito alla detta Ecclesia”.

“Se di nuovo alcuno venise ad abitare in detto casale detto Rev.mo Commendatario possa concedergli luogo da farsi casa, con consenso anche dei cittadini”.

“che detta Badia e suoi Procuratori non possano senza la volontà di detti Albanesi accettare vassalli Italiani nel casale predetto, nè Albanesi, e che gli uomini e famiglie che staranno in detto territorio non debbono dannificare le popolazioni dell'Albanesi e che non vadano girando la notte per lo casale con la scusa di guardare, ma che la guardia sia commessa al Camerlingo del medesimo casale” ecc. ecc. -Tavolaro -origine e sviluppo delle comunità Albanesi in Calabria.

(21) F. Cassiani -Spezzano Albanese nella tradizione e nella storia.

(22) Nel 1545 gli Albanesi della Calabria citra erano 5727 (A.S.N. sez. ammin. fuochi - voI. lV -1° num. in Gradilone -op. cit.)

(23) Come ad es. la fiera di S. B4rtolomeo nelle adiacenze della badia basiliana di S. Adriano; la fiera di S. Antonio nell'omonima contrada, vicino all'attuale stazione di Spezzano, ecc.

(24) “Diversi Albanesi delli antidetti tre paesi (hanno) edificato e costruiti molini e battennieri” (v. platea di S. Adriano), fu accordato loro il permesso, “col peso annuale” di corrispondere e pagare alla badia in ogni mese di agosto docati cinque a molino enfiteutico".

(25) V. ad es. dalle capitolazion.i degli Albanesi di S. Benedetto: “I gelsi della badia si debbano dare ad essi vassalli per nutrire il sirico la metà, e loro sono tenuti dare la metà della seta franca di ogni altra spesa, e siano tenuti zappare li gelsi, conciare ad arare la terra a proprie spese ”.

(26) Così, per es. per quelli di Macchia e di S. Demetrio si ebbero rispettivamente nel 1621 e 1628 le concessioni dell' Abate comm. Card. Borghese (v. atto del 26 maggio 1628 per not. Converti di Terranova) e nel 1640 quelle dell'Abate comm. Card. Brancaccio.

(27) P. Scura -Gli Albanesi in Italia (saggi e riviste); A. Scura -Gli Albanesi in Italia e i loro canti tradizionali; E. Tavolaro -op. cit.; Dorsa  -Su gli Albanesi: ricerche e pensieri; G.Schirò –Storia della letteratura albanese; Aliquò -Taverniti- Dizionari degli scrittori calabresi; Accatatis – Dizionario degli uomini illustri calabresi, ecc.