Te admiratione, et temporalibus laudiblls decoremus. TACITO: Vita di Agricola
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Perchè mai, o signori, questo Cielo, che altra fiata al mio sguardo sorrideva scintillante di luce, e di azzurro, or mi sembra dipinto ai foschi colori, come la volta nereggiante di una tomba ? Perché mai questa patria, ove io sempre trovava un popolo ebbro e festeggiante, caldo di moto e di vita, sempre in canti ed in ridde, perchè mai ora lo trovo col duolo scolpito nel volto e son muti i suoi canti, mute le ridde, mute le sue vie, come quelle di Gerusalemme, quando sopra vi ruggiva la concitata ira di Dio ? Perché mai quando altra volta mi recava in questa poetica Terra, ricca di affetti, e d' intelligenza, io vi correva lieto e volenteroso, e questa volta un peso mortale mi opprimeva, una forza irresistibile me ne allontanava, ed appressandomi a queste mura mi sembrava respirare un aura di morte, e sentiva raddoppiarsi i palpiti del cuore, e correrm'involontario il pianto alla pupilla?
Oh! comprendo: sì, ben comprendo, o Signori: grandi sciagure sono piombate su questa patria! ella è vedovata de' migliori dei suoi figli: dalla sua ghirlanda son caduti i più belli de' suoi fiori ! Raffaele Maida, il venerabile Vescovo di Tiberiopoli, Domenico de Marchis ! questi grandi più non sono, disparvero nel breve intervallo di un anno, tramontarono raggianti di luce, come tre soli luminosi, e questo Cielo si è ravvolto nell'ammanto della notte, questa terra è deserta, questa patria è in lutto, ed il mio cuore, grondando sangue, rompe in palpiti e singhiozzi in frenabili.
Oh immenso è il vuoto che lascia tra gli uomini la morte dei generosi mortali! immenso è il vuoto che resta sulla terra alla scomparsa del genio! risultato degli sforzi straordinari dell'arte e della meditazione, parto sublime della Natura, Sovrano, e Martire del pensiero e delle passioni, Prometeo che reca agli uomini il fuoco sacro del Cielo, quando compie la sua orbita di luce, ed una legge inesorabile lo strappa all'esistenza; vedova la creazione del glorioso Suo figlio, resta ottenebrata e sconfitta, come la montagna, cui la folgore atterrava la quercia torreggiante, onore della sua chioma, come il firmamento nel quale si ecclissava l' astro più bello, il suo più luminoso pianeta,
Legge tremenda! tutto quello che nasce quaggiù ed incomincia, porta inevitabilmente nel seno la sentenza del disfacimento e della morte, La culla e la tomba sono le condizioni di ogni essere plasmato di argilla. La vita è una curva i cui estremi si perdono nell'abisso del nulla e dell’eternità, Le generazioni sorgono, e s'intombano: i popoli s'incalzano e si succedono: la terra è insieme un vasto teatro, ed una vasta tomba. II vuoto nell'ordine fisico è sempre colmato dal fiume dell'umanità, le cui onde perenni si avvicendano senza posa: ma avviene per avventura lo stesso nell'ordine delle intelligenze ? nel sistema morale in cui la virtù, il merito, i lumi, il genio compariscono tanto di rado sulla terra, scendono a lontani intervalli dal cielo a far men rade le tenebre di questo basso globo?
E immenso è il vuoto che aprivasi in Lungro alla morte di Raffaele Maida, di Gabriele e Domenico de Marchis ! quando sarà esso per avventura colmato ? quando saranno essi sostituiti quei grandi? Siaci dato intanto piangere su le loro tombe, spargere inni, e fiori alle loro. memorie benedette! Come vorrei a lungo intrattenermi a favellare di questa triade luminosa! ritrarre a larghe pennellate queste tre grandi figure! ma l’ultima tomba, la più fresca a se forte richiama i miei pensieri, e mi è giuoco forza stendere un velo per ora sul quadro de' due primi: però, se a me sarà data maggior calma di spirito, lena, ed agio maggiore.
"Forse un di fia, che la presaga penna
Osi scriver di lor quel ch' ora ne accenna"
Compieva presso a che la sua curva il secolo XVIII, ed in Lungro sortiva i natali Domenico de Marchis dagli onorevoli signori Pasquale, e D.a Giulia Basti. Non. mi fermerò a favellarvi della nobiltà del suo lignaggio. Commendar gli uomini grandi per la gloria della nascita, sia questa la parte degli adulatori.,
In quanto a me tutto peserò su la bilancia severa della verità. Ha forse bisogno l’uomo grande di culla d' oro, e di porpora? Forse che la virtù, e la scienza hanno bisogno di una origine ? non son desse eterne come la Divinità?
Nulla dirò degli anni primi della sua vita, epoca di passività, e di preparazione, in cui l' anima si forma in segreto. come i vulcani nelle viscere della terra, si arricchisce d' immagini e di sensazioni, e slanciandosi per cinque vie nel teatro della Creazione, tesoreggia materiali, che elaborati poscia e classificati dall' intelletto,formeranno l'enciclopedia della Ragione.
Avviato di buonora alle lettere teneva a scorta nel cammin degli studii i due maggiori fratelli, Gabriele ed Abramo. Oh! qual nome mi è caduto dalla penna? Abramo de Marchis ! Nome onorando, ingegno sublime e severo, visse meditando come Platone, poetò con la forza di Dante e di Alfieri. e si distrusse in profonde melanconie come Pascal, e Torquato: salve, ingegno meraviglioso, salve, anima grande e sensibile!!!
Manodotto da sì possenti campioni entrava il giovanetto Domenico nel Santuario delle lettere, e dava opera alacremente allo studio delle lingue e dei poeti. La classica favella di Atene, di Roma, di Firenze formano la prima occupazione della sua mente. Rapito dalla ricchezza. ed armonia della prima, dalla maestà della seconda, dalla musica serenità dell'ultima, ne fa largo tesoro nel suo spirito: e, negl'intralciati recessi di queste lingue penetrando, mette l' una a fronte dell'altra, paragona i gradi diversi della loro forza e del loro sviluppo, in esse i caratteri vi studia de' popoli, e dal numero dè' segni il progresso deduce delle loro cognizioni e della loro civiltà.
Indicibile interesse egli prende inoltre alla lettura de' grandi poeti del Pireo, del Tebro, dell'Arno. Trascinato il giovanetto dall'impeto irresistibile. e dalla pompa sublime di Omero. incantalo dall'armonia stupenda, e dalle tinte sentimentali di Virgilio, atterrito dalle gigantesche creazioni di Dante, è trasportata la sua mente al disopra del fango della terra, ed ondeggia in un mondo ideale; ricco di luce; di profumi e di armonia, dov'egli, re dell' Universo, stringe in pugno il creato, l'abbraccia con l’immaginazione; ed erra in una felicità, in un estasi incantevole.
E’ pur cara quell'epoca della vita, quando ancora non si bevve nel nappo del disinganno e de' dolori! quando ancora non vi lacerò il petto l'avvoltojo dagli artigli di ferro! quando tutto è color di rosa l'Universo, e scorgiamola società a traverso il prisma de' sogni dorati, e dell' immaginazione; e la natura, come la Sirena, nascosta la sua coda di serpe, vi sorride voluttuosa, e profumata! ! !
Dallo studio de' segni e delle immagini passava il nostro giovanetto alla scienza del pensiero e delle proporzioni. Guidato da' maggiori fratelli volgeva il passo di buonora nel campo interminato della filosofia, e della matematica. Il Padre e Creatore della moderna filosofia, Cartesio, gli offriva il suo metodo analitico, ed il suo dubbio. Ricerca con Malebranche gli errori dell'immaginazione, e dei sensi, assicurandosi della verità. Segue passo passo con Loke i progressi e lo sviluppo dello spirito umano. Questi studii facevano la delizia del giovane de Marchis. Con l'arte di Euclide e di Archimede rendeva la sua mente acuta, solida, elevata; positiva la rendeva con la scienza del Poli e del Bailly, che insegna la proprietà de' corpi, misura lo spazio, stabilisce le leggi del moto; e dellil gravità, Rendevala vasta, universale con la metafisica, che disserra la mente, ci slancia fuori la cerchia della creazione, e ci colloca nell'altezza da contemplare l'assoluto e l'infinito.
Approfondita la scienza del calcolo e del pensiero pensa intraprendere quella del Dritto e delle leggi. Corre su le rive del Crati, nella patria de' Telesi, e de' Quattromani , a Cosenza , per cercarvi professori ed idee: somigliante a quelle robuste querce, che stendono le barbe e le radici in seno alla terra, cercando a molta distanza que' succhi, che possono formare l'umore, onde le superbe cime sollevando fin oltre le nubi, vanno gli umidi vapori a raccogliere e succhiare le particelle dell’aria, destinate anch'esse al loro nutrimento.
Pervenuto alla Capitale de' Bruzi sceglievasi a duca nella difficile branca delle Leggi, Cesare Marini, gloria maggiore degli albanesi, Oratore e Giureconsulto maggiore delle Calabrie. La mente del nostro giovine Eroe, fatta robusta dalla filosofia, si slancia fidente nel Caos immenso delle Leggi, e, guidata primamente dal fanale della Storia, s'immerge nelle tenebre de' secoli caduti, si schiera dinnanzi allo spirito le serie tutte delle varie legislazioni, ne contempla parte a parte la natura, ne misura la profondità, ne discopre l'origine, e si forma un esatto panorama di tutte le vicende alle quali andaron soggette nel cammino del tempo,
Stanco quindi di più oltre aggirarsi in questo inestricabile laberinto, aiutato dalla più sublime metafisica, spiega un volo possente, trapassa i cieli, e poggia ai piedi di Dio, Quivi osserva nella Divinità la giustizia eterna, qual'è nella sua origine, uniforme, immutabile; e quindi discendendo fino alle leggi umane, le paragona, e le giudica a norma di sì sublime modello. Lungi quindi dallo immergersi nelle sottigliezze, ed ambagi , ond'è tal'arte feconda, metteva ordine, spargeva luce, univa in tutto la filosofia di Platone all'eloquenza di Demostene. Studiava le leggi come una immagine dell'ordine eterno, come quella che, rispettando la gerarchia, garentisce i dritti di tutt'i corpi sociali, adegua il nobile al contadino, innanzi alla quale non vi sono nè classi, nè differenze.
Fatto forte nella scienza del Filangieri, e del Romagnosi riede ai colli ridenti della sua patria, ed all'affetto della famiglia, ove l'attendevano fatighe, ed onori. Tornato in Lungro, davasi tosto al Sacerdozio della sua professione, entrava nello steccato del Foro, e ricco di svariate conoscenze, caldo d' immaginazione e di sensibilità, fregiato di una morale pura e sublime, ebbe per fermo a stamparvi splendidi pass., La scienza gli faceva possente l'intelletto , l’immaginazione glielo vestiva di colorito brillante, la sensibilità gli schiudeva le difficili vie de' cuori, la morale da ultimo lo rendeva santo, e rispettabile; molti infatti furono i suoi trionfi nel Santuario di Temi, e tutti risultamento della forza della sua eloquenza, della sua logica. Dinnanzi al Magistrato era egli dialettico, storico, poeta, oratore, giuriconsulto, Ora freddo e stringente; come la Francesca di Pellico, ora eloquente come una pagina di Rousseau. Or narrativo e sublime come un Canto di Omero. Ora infine scopritore di novelle vie e di orizzonti novelli come Colombo: Era dovizioso di tutti quei mezzi che all'oratore disserrano la strada ai grandi trionfi del foro, ai grandi successi della tribuna,
Una tremenda sciagura lo strappa dal foro e lo richiama alle domestiche bisogne. La morte rapiva alle lettere, ed alla famiglia l'egregio Abramo de Marchis, ed allora Domenico col cuore sanguinante si distacca dalla sua diletta professione per sobbarcarsi allo incarco pesante delle famigliari faccende.
Qui comincia 'un periodo novello, una novella esistenza pel nostro Protagonista. Addolorato profondamente per la perdita dell'illustre fratello , assorbito dalle cure delle cose private, infastidito della prosa e delle ciance sociali, disingannato dei sogni della vita, innamorato della solitudine e degli studi, ritrasse il piede dalla scena del mondo, si ridusse in casa e si chiuse; il resto di sua pregevol'esistenza si svolge quasi tutto nella cerchia delle avite pareti. Le anime sensibili e vigorose, percosse una volta dalla burrasca, ruggendo dagli uomini, ritraggonsi in grembo alla solitudine, come le procelle dell' oceano allontanano, e gittano fuori del lido gli uccelli, che spaziavano sopra gli azzurri suoi campi. Se nell'epoca delle illusioni l'anima è vaga di errare, come la farfalla, per le cose leggiadre della Creazione, nell'età dei disinganni, abbandonata la periferia, si gravita verso il centro, lo spirito raccoglie le ali, si ripiega sopra se stesso, e non si amano allora che la solitudine, la religione domestica, e le caste gioie del focolare.
Tolti pochi momenti consacrati alla società, menava il resto dell'ore in grembo de' suoi lari, e quivi non poltriva egli già in ozio malnato, oppio morale che addormenta le facoltà e le spegne; non truggevasi in acri melanconie , che rodono resistenza, e ne rendon aspri, o difficili; ma invece tra le affettuosità di angeliche donne a lui strette per legami di sangue, tra lo svolgere e meditare le pagine de' grandi scrittori, i suoi giorni succedevansi calmi e sereni, come quelli della primavera, senza nubi e senza procelle.
Fin dagli anni più verdi eras' il nostro protagonista abituato a consacrare buona parte del giorno e della notte allo studio ed alla lettura; e questo lodevole sistema egli serbò senza alterazione pel non breve ;intervallo di 12 lustri d'esistenza. I libri eran divenuti un bisogno pel suo spirito ed un pascolo, al quale doveva è gli ricorrere periodicamente in ore stabilite. Tutto era metodo ed ordine nella sua vita. Quando si riduceva nel gabinetto da studio, spogliatosi del pesante ingombro delle cure e degli affanni, inaccessibile a'mali della vita ed alle necessità della terra, sprigionandosi dalla creta s'innalzava alle regioni dello spirito, e, rotti i cancelli del tempo e dello spazio facevasi contemporaneo de' secoli, abbracciava col vasto intelletto i sistemi tutti, l'umanità, la natura, l'universo.
In queste ore solenni, guidato per mano dalla filosofia, facevasi talora a percorrere tutte le vicende che, questa figlia primogenita del Cielo, ha subite nel suo pellegrinaggio su la terra, Ed ora assisteva alla sua prima discesa quaggiù, quando su le sponde dell'lndi o del Gange, ricoverata Ella fra le arcane volte del tempio, vestita di simboli e di misteri, presentossi agli sguardi del popolo, sotto le mistiche forme della Teologia e del Poema; seguivala poscia nel suo passaggio in Grecia, dov'ella spogliandosi de mitici colori dell’Oriente, deposto il Pallio sacerdotale, si umanizzava, scendendo più dappresso all’uomo ed alla natura, e meglio spiegandone le leggi e l’armonia. L’accompagnava talora sul pergamo della Chiesa di Cristo, dove la filosofia, nell'eccletismo beninteso de' santi Padri, moralizzandosi e purificandosi de’ paradossi e delle ipotesi brillanti della Grecia, determinava i rapporti dell’uomo con la Divinità, gli attributi di questa, i desiini di quello. Slanciavasi talora nel moderno movimento filosofico, cominciato con Campanella e Giordano Bruno, e che tuttora continua nelle grandi scuole tedesche, scozzesi , italiane, dove il pensiero, fatte immense conquiste, va riformando ed avviando per strade novelle, scienze; lettere, arti, leggi e tutta intera la vasta macchina sociale.
Deposto il severo mantello filosofico, e scendendo in regione men alta, impennava talora le ali della storia; ed ora risaliva con Mosè fino alle sponde del Caos primitivo ed assisteva al miracolo della Creazione. Ora seguiva il corso delle Macedoni falangi alla spedizione dell'Asia fino alle rive del mar Indo e del Nilo. Or mirava il volo possente dell'Aquile Romane, ed assiso con Tito Livio sulle vette del Campidoglio, guardava l'ingresso trionfale delle romane legioni, che soggiogato il mondo, venivan sul Tebro a ricever gli applausi de' sette Colli; ora assisteva alla lotta della Croce con la Mezza-Luna, eseguiva le schiere d'Occidente, che piombando nell'Asia e nell'Africa, rincacciavano ne' loro deserti i fanatici figli del Profeta. Assisteva talora al vasto dramma della Storia moderna, ch'ebbe a prologo le Crociate, a teatro le parti tutte del Globo, a spettatore e Protaganista l' Umanità, a scopo i destini del Mondo.
Talora a rallentare le corde troppo tese dell' intelletto, correva a ricrear l'animo tra le fresche pendici delle muse, tra le aure fragranti e gli allori dell'Elicona, e con Omero avvolgevasi tra le falangi de' Greci e de' Troiani , sentiva il rombo, vedeva la polvere alzarsi sotto l'ugna fulminea de' divini cavalli di Achille. Talora con Dante, slanciato nell'Eternità, alzava il sipario de' tre Mondi, dove la giustizia di Dio flagella gli scellerati, e guiderdona la virtù; or amava, o piangeva con Petrarca; or folleggiava con Ariosto; or fremeva con Alfieri.
Così con ammiranda facilità valicando quanto è vasto l'oceano delle scienze e delle lettere, sempre scandagliando la profondità de' mari, che percorreva, allargandone più sempre le sponde, erasi fatta il de Marchis una sintesi vasta di tutto l'albero immenso .delle lettere e delle scienze. Erasi fatto un giudizio sicuro, e profondo, un veder giusto in tutte le branche. Conosceva quindi le sirti ed i mostri, le perle ed i tesori, che per avventura si nascondono sotto l' azzurra superficie dell' onda interminata delle scienze, e delle lettere.
Mentisco io forse, o signori ? esagero io forse ? Nol vedemmo noi tale nell' abbandono degli amichevoli colloqui ? quando il bene ci era dato di stargli daccanto non lo scorgemmo scintillante d'idee, d'immagini, d'erudizione ? non vedemmo piovergli dal labbro, come da larga vena, l'onda di sublimi concetti. di massime profonde, di giudizi esattissimi ? Nol vider tale i giovani, che da tutte parti traevano a percorrer sotto la sua scorta il largo campo della filosofia, del dritto, delle lettere ? tale nol videro coloro che a lui correvano nello scopo di consultarlo, udirne gli oracoli nelle difficili quistioni di giurisprudenza, e di dritto? No1 vedemmo filosofo, giureconsulto, poeta, storico, filologo, oratore ne' tanti pregevoli opuscoli, di che ha fatta ricca la Calabra letteratura?
Le monografie di Lungro, e di Acquaformosa, l' elogio di Maida, uno storico lavoro sul regno di Napoli, lezioni d'Ideologia, romanzi, poesie d' ogni genere, parte note al pubblico, e parte inedite tuttora, ben lo mostrano tale, o signori; e sè a voi per avventura essi fossero ignoti, e se il permettessero i brevi limiti imposti a questo funebre lavoro, e più se il consentisse la pochezza delle mie forze, ben vorrei più largamente favellarvi di bellissimi lavori del signor de Marchis, ed intrattenermi a svolgerne minutamente i pregi e le bellezze.
Non posso tacere però la poetica pompa dello stile, di che vestiva i suoi concetti, anche i più astratti, e metafisici, anche i più comuni, e triviali. Lo stile è l’uomo, -diceva Buffon. Cavalleresco il de Marchis, sanguigno, espansivo, immaginoso, fatto ad Ossian, ed Omero, non sapeaa concepire, che in un modo brillante e figurato, prosa, o versi che dettasse, materie filosofiche, o lettere famigliari, sempre era poeta nella forma.
Il suo modo di sentire, il suo pensiero, tutto il suo essere, si stampava nello stile, nell' estrinseca manifestazione dei concetti e della vita.
Dall' atmosfera celeste della meditazione, e del comporre scendeva il de Marchis in un mondo più piccolo, è vero, ma pur dolce: tornava nel seno della famiglia, nell' abbandono degli affetti, tra le tenere cure delle nipotine e delle sorelle, adorno di squisitezza sopraffina di sentire, affettuose, gentili, solitarie, come gli usignoli e le colombe. In mezzo a questi teneri cuori traeva il nostro amico, il sensibile e d affettuoso Domenico, le ore che sottraeva allo studio, ed ai libri.. Desse non aveano affetti, e sollecitudine che pel loro diletto zio e fratello, ed egli non aveva amore che per le dirette sorelle, e per le nipotine dilette. Oh! quale scambio tra loro di cure, di affettuosità, di sollecitudini! oh! quanto il nostro egregio defunto sentivasi felice tra le soavi gioie delle sue donne.
Aveva inoltre il nostro protagonista due nipoti, Saverio, e Nicolino, e preso a perfezionarne l'intelletto, ed il cuore, vi spendeva cure incessanti, istillando ne' loro petti e nelle menti i santi principii della più sublime morale, delle scienze, e delle lettere; e ciò faceva in tutt’i momenti, a passeggio, come Platone, ed Aristotile; a letto, a mensa, al focolare con lucentezza inarrivabile, con affabilità siffatta di modi, con riso, ed espressioni cotanto seducenti, da impadronirsi di que' cuori, soggiogare quelle menti , e ritemprarle, modificarle come a lui meglio attalentasse. Il successo rispose alle sue cure: quei gentili addivennero, qual' egli li volle, probi, intelligenti, cittadini onestissimi, padri eccellenti, ed amici del buono, del vero e del bello.
In mezzo alla sua operosa solitudine non odiava i doveri verso la patria, non obliava di esser cittadino; la sua rinomanza gli richiamò la pubblica stima, e le cariche. Bene spesso fu prescelto al governo del suo difficil Comune; spessissimo si assise ne' Consigli del distretto e della Provincia, e nessuno ignora con quanta sovranità di lumi, con quanto disinteresse ed impegno guidasse l’Amministrazione della sua patria, e come ne' Distrettuali e Provinciali Consigli, membro, o Presidente che fosse, primeggiasse per scienza pubblica, per altezza di pensamenti e di vedute.
Tutto questo peraltro è cosa ben poca a fronte a molti vantaggi che arrecò alla patria con la sua possente influenza, con le sue grandi relazioni. Idolatrato da' concittadini, rispettato da tutte le classi del popolo, egli ha sempre influito al suo benessere, ne ha sempre diretti i destini, e, direi quasi , invisibilmente, quando anche non era rivestito di pubblica divisa.
Gl’impiegati tutti del comune, in tutt'i tempi, a lui ricorrevano per lumi, a lui rivolgevansi nelle difficoltà delle cose, ed egli spianava i dubbi, era largo di consigli, e, non visto, come un' oracolo, dava i risponsi : dalla privata sua stanza dirigeva gli affari, guidava la nave delle pubbliche cose, senza scorgersi la mano, che ne stringeva il timone.
Nè questo era tutto. In grand'estimazione il De Marchis presso le Autorità tutte del Distretto e della Provincia, era alla sua sperimentata probità, ed intelligenza, che queste si volgevano ed indirizzavano in tutte le bisogne di grave momento, riguardanti questa patria. o le vicine. Ed egli, come un Genio benefico e tutelare, sempre a mettere in buona vista la sua terra natia, sempre a dipingerla co' più lusinghieri colori, Ed oh! quanti vantaggi le ha fatto piovere nel seno! quante procelle allontanate dal suo capo! Quanti dolori, quante lagrime le ha risparmiate! Non ricordate voi quando, due lustri or sono, la miccia de' bronzi di morte stava per accendersi a sterminio di queste mura ? chi spense quella miccia, ministra di strage ? Era Domenico De Marchis, l'Arcangelo, che con le sue ali copriva a difesa questa sua patria diletta.
Il grido intanto delle sue vaste conoscenze, e delle sue belle fatighe Archeologiche, arriva nella Capitale della nostra Provincia, e l'Accademia di Cosenza, ricca di glorie vetuste e presenti, si onora di ascriverlo all'onorevole drappello degl' illustri suoi figli.
Il grido de' suoi grandi servigi , resi alla patria ed alle lettere, perviene fino a' gradini del trono, e la sapienza rimuneratrice della Corona lo nomina a Giudice Supplente nel Regio Giudicato di Lungro.
Elevato a tal posto comprese ben presto qual difficile incarco eragli affidato; comprese quanto grave è il peso della tremenda bilancia di Astrea. Si vid’egli sublimato al disopra degli uomini per librarne le azioni, e giudicarle. Ecco innanzi a lui la società e l'uomo, enigma, che sfugge agli sguardi più acuti, e che intanto egli dovrà studiare e spiarne 1e viscere più segrete. Ecco svolgersi dinnanzi a lui lo svariato dramma di mille fatti, alcuni neri nel fondo, ma ravvolti nel candido manto dell'innocenza, usurpare gli onori e le divise della virtù, Alcuni altri invece, belli in sostanza, ma che la cabala, o la prepotenza, presentano sotto le rozze forme del delitto e della colpa. Or chi gli porgerà lo scudo luminoso di Ariosto per mettere a nudo siffatte orribili metamorfosi ? mostrargli nelle sue vere sembianze il delitto e l'innocenza ? Pensa a tutto questo, il De Marchis , e la virtuosa anima sua ne resta spaventata.
Se durante la giudiziaria carriera avverrà di condannare un solo innocente, commetterà egli stesso un delitto; se per lo contro assolverà solo una volto un colpevole , tradirà la sua missione. Pensa a tutto questo il De Marchis e trema: come farà a spinger sicuro lo sguardo negli abissi e nelle spire tortuose del cuore umano?
Rassicuratevi, o Signori. I palpiti novello Supplente son quelli di un'anima delicata, ferma fino allo scrupolo alla santità de' doveri. Rassicuratevi, egli possiede mezzi gagliardi onde stampare orme profonde nella novella carriera; possiede i mezzi, che gli vengono dalla vastità delle conoscenze e dalla sua generosa natura. Ha studiate le leggi e vi ha appresa quella rete immensa di relazioni, ch'è base e sostegno della società. Ha studiato ì due Dritti, di Natura, e delle Genti, e tutte vi ha appurate le sante teoriche de dritti e de' doveri, del giusto e dello ingiusto. La scienza di Euclide gli ha dato il metodo di stabilire principi e dedurre conseguenze. Condillac e Genovesi gli porgono le norme per mascherare il sofisma, saper conoscere la falsità de' giudizi e de' raziocini. La storia, ravvicinando epoche e vicende, gli ha in parte spiegato l'Uomo, poligono d'infiniti Iati. La natura aveagli largito il buon senso e quel veder chiaro, quel tatto sicuro superiore sovvente alla scienza, e che nel campo de' fatti vale più delle cognizioni e delle teoriche.
Con .mezzi tanto possenti poteva egli venir meno nel Sacerdozio delle Leggi?
Le sentenze infatti , emanate dal suo labbro, dettate dalla Giustizia e più dalla equità, figlie della scienza legislativa e del buon senso, mentre trovano un eco ed una lode nel santuario della virtù, mentre la Giurisprudenza le approva, il tribunale le applaudisce e le sanziona, il delitto stesso, da quelle sentenze fulminato, lo stesso delitto tra ceppi, non sà che trovarle giuste e santissime.
Tra le sollecitudini della carica, l' estasi ed i piaceri dello studio, gli estri divini della poesia; tra le speranze, che belle concepiva per l'unico rampollo di sua famiglia, Pasqualino, che davanti gli cresceva fiorente di bellezza ed ingegno; tra cotant'armonia di amore e di affetti, scorrevano gli anni del nostro eroe sereni e tranquilli, come le onde cristalline di un ruscello tra i profumi e la verzura, che incorona le sue sponde.
Pero tra tante gioie domestiche, tanta gloria e tanti dotti sudori, fatalmente la morte preparavasi a sfrenare il tremendo suo strale.
La sua esistenza, sempre circoscritta nel breve perimetro di sua casa e del foro, senza respirare giammai le aure, pregne di vita, della Natura, senza mai sprigionare il calore vitale col moto e con l'azione, logorata dalle forensi lucubrazioni, affranta dalle torture dello spirito, intorpidite le fibre, esaurite le forze dagli studi indefessi, nell'aria pesante e letale della Biblioteca, ristagnando le sorgenti della vita, fu colpita innanzi sera da infermità tremenda; il suo debole tessuto non resse, 1e risorse dell'arte non valsero, il morbo s' ingigantì in breve tempo, venne meno l'egregio nostro Amico, e si spense. Domenico De Marchis, consolazione della famiglia, gloria delle lettere e del foro, egida della patria, ahi! più non esiste! Si è slanciato nel seno di Dio: è corso a chiudere gli allori meritati su la terra, a chieder pace al suo spirito, e più sublimi contemplazioni a1 suo intelletto.
Giovani Lungresi , venite meco a sparger lagrime e fiori su la sua tomba. Venite: insieme disfogheremo sopra il suo freddo sasso la piena del dolore, che trabbocca da' nostri petti. Oh! vi amava di amore caldissimo quell'anima sensibile; depositava nelle vostre menti i risultati degli studi, i concetti della mente, i nobili affetti dell' anima. Godeva egli in trattenersi con voi, favellando de' suoi diletti autori, e, disserrando ai vostri intelletti le sovrane sorgenti del Vero o del Bello, Come andava in estasi alle belle produzioni del vostro spirito, alla lettura de' vostri versi, prose e componimenti. Vi amava, incoraggiava, e pregiava moltissimo quell'anima generosa, e voi tutti, ricambiandolo di pari affetto, lo tenevate in conto di Amico, di Padre, di Maestro.
Oh! si : fu grande pel vostro cuore e per le vostre menti, la perdita di si pregevole concittadino, Venite meco su la sua tomba, temprate le cedre, di che vi fur larghe le Muse, stendete le dita alle lor corde. Venite meco: la polve degli estinti è maestra a sublime filosofia, scuola possente di Virtù, sorgente dell' estro e dell'armonia. Venite, sciogliete l'ali ai concenti, alzate la voce tra i silenzi di questi cipressi: le ossa dell'illustre defunto fremeranno di giubilo ai vostri canti melanconici. Venite, disfogate il vostro duolo per la via de carmi. Cantiamo le glorie de' generosi , sciogliamo inni alla virtù, e gli uomini grandi sorgeranno a migliaia, e la terra sarà coperta di Eroi.
AL SIGNORE
D. SAVERIO DE MARCHIS
SONETTO
Amico: audace riprodur le forme
Volli di Lui, ch'or ti rapia la morte,
E il lungo sonno della tomba or dorme;
Rotte dell'egro fral l’atre rìtorte.
Ma è forse il quadro, che ne fei, conforme
Alla sembianza di quell'alma forte?
Ahi! tropp'egli stampò vastissim'orme.
A tant'altezza l'ali mie fur corte.
Egli è trasfuso in te da te; cui noti
Eran suoi pregi, sol da te potranno
Ritrarsi ben dell'alma sua le doti.
Accogl'intanto queste carte: il solo
Lor pregio è il buon volere, e il vivo affanno
Che le dettava: mi fu musa il duolo.
Castrovillari 30 maggio 1859.
SACERD. MICHELE BELLIZZI