CENNI
SU LUNGRO
A completamento di quanto è detto circa l'immigrazione delle colonie
albanesi in Calabria, popola morte di Skanderbegh, riteniamo utile parlare di
Lungro (prov. di Cosenza), centro importante delle stesse colonie e sede del
vescovato italo-greco in Italia.
Lungro, già Lungrium ed Ungarum, com'è chiamata in antichi documenti,
ebbe anch'essa origine, come tante altre future universitas del Meridione, da un
primo nucleo di case coloniche dipendenti da un feudatario. Presso quel gruppo
di case, nel 1199, veniva eretto un monastero dedicato a Santa Maria delle Fonti
dal Signore del luogo, il Conte di Bragalla ( poi Altomonte), Ogerio del Vasto.
Un documento riportato dall'Ughelli nella sua Italia Sacra ( c. IX ) stabilisce
infatti: " Nos Ugerius Dominus Bragalle et uxor Basilia, in perpetuum
concedimus locum et tenimentum pro facienda Abbatia in Ecclesia quae dicitur
Sancta Maria de Fontibus de monachis, Sancti Basilii propre casale Lungrium".
Agli
abati di questo monastero venivano anche trasferiti, in perpetuum, i diritti di
giurisdizione civile e mista sugli abitanti del casale che erano in gran parte
adibiti alla estrazione del purissimo salgemma nella vicina Miniera di proprietà
del feudatario. Questo si desume da una concessione, pure riportata dall'Ughelli,
fatta dal feudatario al Monastero di Acquaformosa fin dal 1145: " una
quaque ebdomada salman salis, videlicet tutulos octo per salman".
Gli
abati basiliani di Lungro esercitarono indisturbati il diritto di amministrare
giustizia, per più secoli, nelle cause civili e miste. Nel 1525 questi
basiliani abbandonarono il Monastero che si trasformò in Commenda di cui
disponeva il papa, concedendola di regola come sine cura a porporati.
Questo regime durò fino al 1638, anno nel quale (riferisce Pompilio
Rodotà nel suo lavoro sul Rito Greco in Italia) si cedette il luogo ai
sacerdoti secolari, come si raccoglie dalla platea della Badia, formata in
quell’anno dal commendatario Giulio Roma, in cui sono minutamente riferiti i
privilegi, le prerogative e gli altri onori che si godevano allora dalla chiesa
e dall’abate.
Durante quest’ultimo periodo i principi di Bisignano, nuovi signori di
Altomonte, cercarono di ripigliare i diritti concessi da Ogerio del Vasto.
Furono interessati i tribunali e il tentativo andò fallito con gran beneficio
alla comunità del Casale che ben presto potè erigersi, svincolata dalle
ritorte feudali, in università libera , restando solo obbligata alla
corresponsione di tre carlini per fuoco. Fin dal 1508, infatti, i Lungresi erano
governati da sindaci ed eletti, sotto la blanda tutela degli abati. (1)
Già fin dal 1846 il piccolo casale di Lungro aveva accolto un certo
numero di famiglie di profughi albanesi. A spiegare la quale immigrazione non
occorre ripetere quanto abbiamo esposto nella monografia di Skanderbeg.
L’Albania, galvanizzata dal suo gagliardo eroe, resisté vittoriosa in
ventidue battaglie e cadde sotto la scimitarra turca solo nel 1467, dopo la
morte del grande eroe.
Subito ebbero inizio le ondate emigratorie verso l’Italia e si
stabilirono in settantasei villaggi di cui trenta nella sola provincia di
Cosenza. Di questi villaggi, alcuni sorsero ex novo, altri ebbero notevolmente
accresciuta la popolazione.
Fatto notevole dappertutto, gli albanesi, forti e proliferi,sposandosi di ogni famiglia tutti i membri, compresi i sacerdoti, ebbero ben presto il sopravvento, riuscirono cioè, in poco tempo, a colorare di se, ad albanesizzare interi villaggi che li aveano ospitati.
Fu il caso di Lungro, dove vennero a cercare rifugio alcune famiglie dai cognomi prevalenti di Staticò, Mattanò, Jeroianni, Cagliolo, Prevatà, Musacchio, Damisi, Cucco, Matranga …..
In un privilegio del principe di Bisignano, Geronimo Sanseverino, Signore anche di Altomonte, è detto in data 9 Marz.o 1.486: “Cum Albanenses, sive Graeci multi convenissent ad abitandum in casalibus Ungari et Sancti Angeli de tenimento Altimontis, Venerabilis Monasteri de Sancta Maria de Ungro, et fuissent numerum tuguriorum. ...Adiit propterea, praesentias nostrae. Seneritatis venerabilis Abbas ipsius Monasteri, et supplicavit ut eos ad gratiam nostra suscipere signaremur. Eorum precibus inclinati, volentes cum illis agere gratiose, contenti fuimus et sumus, quod Albanenses ipsi solvant pro praeterito docatos decem: pro praesenti anno docato viginti et pro singulis annis futuris docatos vigenti.
In una pubblicazione del dotto come benemerito Albanese Guglielmo Tocci, dal titolo Notizie Storiche, trovasi riportato il seguente documento, il quale dimostra, tra l’altro, come anche dopo solo mezzo secolo dal loro arrivo, gli Albanesi aveano assunto in Lungro importanza. Demografica pari a quella dei nativi del luogo. Trattasi di una disposizione testamentaria. di G.Battista, e Ferdinando Venato, nobili napoletani che, nel I552, legavano un capitale di ducati 1.100 per maritaggi di donzelle lungresi, e precisamente "ut per eos de isdem ducatis quinquaginta cum interventu et consensu Rev. Abb. Eccl. Sancta Maria, nuptium traduntur et maritentur in perpetuum duo pauperes mulieres de familiis Ungarorum quae ad sal podiendum immemorabili evo casalis incolae et primi habitatores fuerunt, et duo etiam pauperes mulieres de familiis albanensium quae in annis praeteriti Abbactes S.Mariae in dicto casali susceperunt” .
Documento questo che dimostra anche come un lascito "in perpetuum” sia stato trafugato (2), come dimostra e chiarisce la ragione per cui il borgo si chiamò Lungro (Unghir)
Un certificato dell'Arciprete assicurava che ormai i due plessi di abitanti "confuse vivebunt".
E qui è opportuno dire della Salina. La quale avrebbe dovuto dare un rapido, eccezionale sviluppo alla popolazione di Lungro che era nel 1858 di 5.500 abitanti e, invece, nell’ultimo censimento precipitò a 3.556. Le cause, molte, come di ogni fenomeno sociale. Ma precipua questa, che la popolazione, povera. di territorio e divezzata dai lavori agricoli per la vicinanza della Salina che dava un giorno lavoro e pane quasi a tutte le famiglie, ora ridotta l'estrazione ed avvalendosi degli ascensori e di altre macchine, il Ministero tende naturalmente alla riduzione del personale per la nota legge sociologica che in un primo tempo l'operaio di ferro -la macchina - lancia nella disoccupazione l’operaio costituito di dolorante carne. Questo fenomeno si verifica in tutte le industrie però solo in un primo tempo, poiché l'adozione delle macchine moltiplica i prodotti, diminuendone il prezzo unitario. Di qui una maggiore richiesta e il riassorbimento del personale prima licenziato. Procedette così il Governo italiano? No, poiché non aumentò, dopo la adozione delle macchine, convenientemente, la estrazione del minerale e quindi il riassorbimento del personale prima ritenuto superfluo.
Dopo l’inchiesta De Nava- per ridurre il costo del sale - al Ministero si era decisa la costruzione della, ferrovia Saline di Lungro - Stazione Spezzano Albanese. Si fissarono i paletti, si adoperò il tachimetro. Se non che si decise la guerra libica e della ferrovia non se ne parlò più.
Come si è detto, Lungro è sede del vescovado greco unito per tutte le colonie albanesi nelle province della penisola.
Il Tafani, nel ponderoso volume dal titolo “Le Istorie Albanesi”, registra tutta un’Odissea di ostruzioni malevole dei vescovi latini i quali – les affaires sont les affaires - poco cristianamente volevano espugnare il sopraggiunto vescovo greco, concedendogli tutt’al più il titolo e l’autorità subordinata di correposcopo.
Alle ostruzioni malevole d’indole religiosa, si aggiunsero in Lungro le angherie esose del duca di Pescara –Diego- signore anche di Saracena limitrofa a Lungro.
Questo feudatario aveva acquistato il Casale albanese del barone Campolongo di San Donato, cui era stato ceduto da1 principe di Bisignano. Una clausola della prima cessione faceva però obbligo al Campolongo d'interpellare e preferire per l’eventuale ricompera il Bisognano Stesso.
Non essendosi tenuto conto di quest’obbligo, il principe intentò un giudizio di redibizione fondatissimo, come stabilì poi la sentenza. della Somma Camera Giudiziaria di Napoli. Nelle more della lunga contestazione, la povera Lungro fu reiteratamente devastata, (era. lo stile del tempo) dalle bande dei due contendenti. Perché poi l'ostinato duca di Pescara, anche dopo la sentenza a lui contraria, desistesse le incursioni, fu dovuto mandare un corpo di gendarmi a Saracena con l' obbligo al duca di mantenerlo fino a quando egli desse una garanzia di leale ossequio alle disposizioni giudiziarie.
Il seminario istituito a San Benedetto Ullano, avendo avuto in donazione molti beni, si trovò subito in grado di accogliere anche gratuitamente un gran numero di alunni-convittori. Per aiutare la benefica istituzione poi, anche uno dei più esosi viceré spagnuoli di Napoli, decretava "la, exention de las colectas et impsitiones que en decurso de tiempo con Authoridad Apostolica y Reale se podrian imponer sobre los lienes del sismo Collegio”.
Come riferimmo altrove, il Collegio fu trasferito dopo a S. Demetrio Corone centro poi famoso di studi, sotto la presidenza. di un vescovo del rito greco. Di vescovi rettori due si ebbero di origine lungrese: Nicola e poi Gabriele Demarchis. (3)
Il seminario di Sant'Adriano -già ricco - perché male amministrato, ha perduto gran parte dei suoi vistosi cespiti, non ha potuto mantenere in vigore i posti gratuiti pei figli degli Albanesi e, dopo un periodo movimentato di Reggenza Commissariale fu abolito come Istituto specifico per la preparazione dei sacerdoti italo-greci .
Il vescovo italo-greco passò definitivamente alla sede di Lungro.
Nel settembre '844, dopo la fucilazione dei fratelli Bandiera, messa in rilievo dall'esiliato Mazzini, Ferdinando II di Borbone, per darsi l'apparenza della sicurezza e con la scusa di dover sciogliere un voto a S. Francesco di Paola, pensò di visitare la Calabria, se pure essa avea dato Agesilao Milano ed altro. Percorrendo la Via Consolare - ordinata, da Napoleone I ed eseguita dal Murat -egli fece una diversione per Lungro dove pernottò. Niente entusiasmi. Infatti, non più di quattro anni dopo, centina, di lungresi partirono per Campotenese, contro le truppe borboniche, e nel 1860 ben cinquecento volontari lungresi - tutti i validi- seguirono Garibaldi sotto il comando del tenente generale Domenico Damis, ex ergastolano, e poi dei Mille, nativo di Lungro.
Il battaglione lungrese nella giornata del 2 ottobre ‘860, al Volturno si fece notare da Garibaldi il quale, in un ordine del giorno dichiarò essersi esso battuto "splendidamente”.
Dei più consci e validi combattenti fu il capitano Vincenzo Stratigò da Lungro.
Gli Albanesi passati nell'Italia meridionale, si sono acclimatati e italianizzati oramai. Non più il matrimonio accompagnato dai cantori e non più la cerimonia, del finto ratto, come non più le vesti sgargianti delle donne, vesti che costavano un patrimonio, intessute di argento e rutilanti di oro; quasi non più la pettinatura speciale con applicata alla nuca la chesa rutilante anche essa di argento e di oro.
L’abito albanese, ma di qualità inferiore, e ancora usato dalle inabbienti solamente, le quali già vestono le figlie all'italiana senza il canduscio.
E’ da meravigliare, del resto, che, solo da poco, Lungro e gli altri centri, accennico dopo ben quattro secoli alla quasi fusione coi popoli che li hanno ospitati. Non chiamano più i non albanesi ghiak ujku ( sangue di lupo) ma in essi un certo orgogliuzzo sopravvive .
In una libera manifestazione dello spirito furono subito italianissimi, fin dalla prima venuta in Italia: nella dedizione fattiva all'attività per la liberazione dell'Italia, meridionale dalla tirannia. borbonica nella terra che li ospitava.
Francesco Crispi che, novello Procida, come lo chiamò il Carducci, presegnò la via all'Eroe dei Mille e tanto soffrì ed operò poi per l 'Italia, era un albanese e ci teneva ad affermarlo, ricordando che aveva fatto i primi studi nel collegio italo-greco di Palermo, di cui fu Vescovo-Rettore il parente di lui, Mons. Francesco Crispi.
Riferisce il prof. Dito che dei 19 processati del I844, ben 34 (?) erano Albanesi, tra, cui parecchi di Lungro.
Gli Albanesi d'Italia si sentono italiani, ma ricordano con orgoglio le parole del Lamartine : " Oh Albania! Omero vi trovò Achille,la Grecia storica Alessandro, i due grandi sultani, Amurad II e Maometto II, il fortissimo Scanderbegh: tre eroi nelle cui vene pulsava il medesimo sangue: sangue albanese".
(1)
Ben inteso che gli abati esigettero per conto loro , poi, dagli albanesi, un
gran numero di prestazioni e decime ogni anno e persino la gallina che facesse
l’ovo.
(2) I due maritaggi Venato furono incamerati dalla Curia.-lupa famelica.- quando si decretò la soppressione del Monastero.
(3) Un altro della famiglia Demarchis di Lungro, Gabriele, pur lui fu intimo di Clemente XI e vescovo di Sora.