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LOCALISMO LINGUISTICO ED ESTEROFILIA
TRA LE MINORANZE ALLOGLOTTE

di Antonio Sassone

 

Il pianto speculare

 

     Le �lites colte, interne alle minoranze linguistiche  presenti  nel territorio nazionale, hanno sempre dibattuto  la questione se gli alloglotti debbano scrivere e parlare nel loro dialetto, coltivando gli interessi linguistici in una sfera privata e informale o se abbiano il diritto di istituzionalizzare l'apprendimento della lingua materna per far proprie e  rispettare le regole formali  della lingua d' origine , cos� come essa viene scritta e parlata, oggi, nella  ex madre patria. Mentre nelle minoranze, per cos� dire, meno minoritarie, dal punto di vista storico e geo-politico (francofona, tedescofona, slavofona), la controversia ha radici antiche ed oggi  risulta pressoch� placata, nelle minoranze grecaniche, occitaniche  e albanofone,  essa conosce attualmente una vivace ripresa, parallela  e speculare alla rivitalizzazione leghista delle parlate padane. Contribuisce ad alimentare il dibattito  la regionalizzazione dell'istruzione, con la sua produzione legislativa  di tutela delle minoranze linguistiche, la deriva federalista e la globalizzazione culturale con le loro contraddittorie tendenze  disgreganti e omologanti. Ma, dietro la questione si nascondono interessi politici (elettorali), clientelari e corporativi. Ha la sua importanza anche la componente pedagogica (socializzazione primaria), quella professionale  (cattedre per l'insegnamento ) e quella socio-culturale  (la lingua come perno per la formazione e il consolidamento dell'identit� dei singoli e della comunit� minoritaria)  A tale proposito, vi � chi sottolinea il carattere mobile e polimorfo dell'identit� in una civilt� dell'incertezza e ricorda che la pluridimensione dell'identit� individuale di pirandelliana  memoria, simboleggiata  nel titolo di "Uno, nessuno, centomila" � applicabile anche alle aggregazioni sociali. Secondo questa  tesi, non solo non si danno identit� fisse, ma � perfino dannoso stabilire dei programmi educativi per promuoverle.  In questo quadro, perpetuare la fissit� plurisecolare di una lingua che rispecchia condizioni di vita medievali, significa cristallizzare l'arretratezza della comunit� alloglotta e ostacolare  i giovani nel loro adattamento al presente  ritardandone   l'ingresso nel futuro.

      Secondo altri,  non � disdicevole  insistere sull'identit� in un mondo globalizzato, sottoposto a rapidi processi di deidentificazione e di depersonalizzazione. Ma occorre allargare i confini dell'identit�  ed essere pi� estremisti, non nel senso che bisogna andare pi� a destra o pi� a sinistra, ma pi� in alto e pi� in basso. Il baricentro dell'identit� dovrebbe oscillare in due direzioni:  in direzione ascensionale, dalla zona cardiaca alla zona cefalo-cerebrale e in direzione "discensionale", dalla zona cardiaca  alla zona "artropodica" o pedestre. In termini meno   allusivi e pi� diretti, occorre essere meno sentimentali e pi� razionali, occorre investire nell' educazione alla conoscenza scientifica di quei settori di realt� utili alla mobilit�  professionale e geografica. Dunque, la conoscenza delle lingue straniere di pi�,   meglio e prima di quella materna  che � indispensabile per piangere e per ridere, ma fino a quando qualcun altro pu� avere un qualche interesse a sentirci piangere e ridere; subito dopo, anche la lingua materna cessa di esserci utile, se non per continuare a ridere con gli amici d'infanzia, che, certamente, di pianti  non ne vogliono sentir parlare.  Se proprio non se ne pu� fare a meno- di piangere -  si pu� continuare a farlo nella lingua materna davanti allo specchio e brevettare l'operazione con il nome di "pianto speculare".  Tra l'altro, l'Arb�resh - insinuano i sostenitori della teoria del narciso shqip�taro in lutto - si presterebbe in modo particolarmente efficace a svolgere questa funzione, per la sua ricchezza musicale in fatto di fonemi e la sua superiorit� quantitativa , rispetto all'Italiano, sul versante delle lettere alfabetiche (36 contro le 21 dell'Italiano).

      Gli esterofili, seguaci di una ideologia dirigistica , sostengono la necessit� della formazione a tavolino di una koin� linguistica che assuma ed amalgami   elementi locali  ed elementi importati  dall'esterno con lo scopo di soddisfare esigenze di comunicazione istituzionale di tipo amministrativo e di creare i presupposti culturali per una  cooperazione tra alloglotti e istituzioni  del  Paese di esodo .Gli esterofili esprimono perplessit� di fronte alla prospettiva di un pianto speculare di tipo polifonico, anche in considerazione della difficolt�  a reperire  specchi dotati di  superfici speculari che abbiano  dimensioni  proporzionate  alla grandezza  della collettivit� internazionale costituente il coro di emarginati  potenziali e reali delle due sponde opposte, del Mar Adriatico e del Mar Jonio.

     I localisti sostengono che se la lingua parlata pu� svolgere una funzione, questa deve prescindere totalmente dal rapporto con la lingua ufficiale del Paese "straniero" e deve consistere  nella valorizzazione delle tradizioni  locali  veicolate dal mezzo linguistico socialmente operante. Il carattere  isolazionistico di questa concezione  viene  attenuato dalla concessione benevola alla lingua "straniera", parlata nel  Paese di origine, del  privilegio di essere considerata  progenitrice , ma pur sempre lontana,  di una realt� comunicativa  che ormai si � emancipata da ogni sudditanza ed ha acquistato la sua autonomia dalla ex madre patria.

La riflessione empirica, per immagini e metafore, svolta negli scritti , qui di seguito riportati, che l'autore si rifiuta di chiamare "poesie", rappresenta, a modo suo, il nucleo sostanziale della problematica esposta, per sommi capi,  in questa introduzione. La lingua minoritaria utilizzata come veicolo di rappresentazione dei problemi � quella arb�resh ( Unghirnjot) parlata nella comunit� alloglotta albanofona di Lungro, in provincia di Cosenza. Una curiosit�: Il nome della comunit�,  Lungro, in Italiano, Ungra, Unghir in Arb�resh, ha assonanze che richiamano  parentele fonetiche con nomi  della Guinea Bissau (UNGRO), dell'Islanda (UNGRI), della Romania (UNGRA) , della Birmania (LUNGRI) e della Gran Bretagna (HUNGRY): la fonetica universale dei linguaggi umani tradisce una segreta aspirazione della natura a sostenere l'utopia dell'esperanto. Altro che localismo linguistico. Ecco  gli "scritti", redatti in Arb�resh lungrese (Unghirnjot) da Antonio Sassone e proposti dallo stesso autore con traduzione italiana a fronte:

 

GJUF'E  QANGIERIT    

  

Albrishti sht  nj gjuf qangieri.       

Ndan shurbiset si nj topir  e trash .

I rruxiartur si sht, rrashkarin misht   

e i l tulet t vargarisur  si nj bisht.   

Nd donje t'e shkilqinje     

nng sosnej moti  t'e pushtinje;

Albrishti ka cickun pa ehjur,

nng hin mbrnda nd kurmit si gilpier, 

ma rri pir jashta

e gjimst e mishit l t b�er.

Albrishti nng ka stolit t bnj nuse fialat,

i l pa lar e i xheshin mbrolat.

Nd donje t gj�nje buk, 

Se t mbionje barkun tnde,

me vet albrishtin nd grikt,

mund hanje biav me krunde.

Si gjith gjufat t prer' e t �iar

Albrishti, edh� se nng sht ar,

sosin t� qesh�� me shok�t

e t'i miel� sist kur mbarsen  lop�t.

Si qumshtin  �� pi nj� vi� i vikir,

pive Albrishtin kur u leve.

 

Kur vdiq jot' m

e qindrove pa skamandil

t shutar� syt,

vete ket albrishti

e e lpjin si mjal ket gjishti .

Mund jet se lott t shkasin m mir

e zmra  rrashkaret  m pak,

edh� se u bre pjak

e nng je m bir.       

Albrishti i qilluar ndir syt' e s'at m

sht nj� gjuf' e fatosur:

nga her� �'e zgjon, 

ngr�fet jot' �m� ka bota e ngrit�

e t� qeshin me drit� ndir syt�.   

UNA LINGUA DA MACELLAIO

 

 L'Arbresh � una lingua da macellaio,

taglia gli oggetti come una ruvida ascia.

Arruginita com'�, lacera la carne

e ne lascia sospesi i frammenti come pendule code.

A chi volesse lucidarla                          

non basterebbe il tempo per spruzzar saliva

L'Arbresh � una scure spuntata,

non penetra dentro il corpo come un ago acuminato,

ma si ferma  in superficie

e disperde nello spreco met� della carne che sfiora.

L'Arbresh non ha vesti nuziali per abbellir le spose,  

ma le lascia  contaminate e le denuda.

Se volessi cercare cibo

per saziare la tua fame,

con il solo uso della lingua Arbresh,

rischieresti di nutrirti  di crusca di biada.

Come tutte le lingue tagliate e rotte

l'Arbresh, anche se non � lussuoso come l'oro,

ha quanto  basta per farti ridere con gli amici

e per farti  mungere le mucche gravide.

Come un vitello  latterino aggrappato al seno materno

hai succhiato il latte dell' Arbresh fin dalla nascita.

 

Se alla morte di tua madre

ti dovessi trovare privo di fazzoletto

e non sapessi come asciugar le lacrime,

puoi lenire il tuo dolore, trovando rifugio nell'Arbresh,

e leccarlo come il miele che irrora il dito.

Forse le lacrime scivoleranno pi� fluide

e il tuo cuore si graffier� di meno,

per alleggerire il peso dell'incombente vecchiaia

e per sminuire la perdita della tua qualit� di figlio.

 L'Arbresh, addormentato negli occhi di tua madre

� una lingua fatata:

ogni volta che le dai risveglio,

si desta anche tua madre dalla terra fredda

e ti sorride con la luce negli occhi.

 

MUNGARJ DYGJUF�S

 

Kur fiet albrishtin, 

shkararin nd� halkomit

shurbisevet t� harruar;

se t�  gj�c� fialat grisin gjishtin,

ket bierc� mot  nga her� si �ot

ture kruajrtur kocin  e �er�,

bine duke si pul� piklore

me k�mbit t� penguar;

ket ec��� e k�cec� pir ore,

me nj� rropaq  ndir duar,

mos t� mba�ofec� e se t� rric� shtuar;

ma dhopu �� fole gjuf albrisht.

e nxore kamnen ka syt e  gjisht

adurin e spartavet e ndien

e shtie lule kopdhit Krisht.

Kur fiet l�tisht,

je si fucka qumbi,

duke i maim  si derk kashetjie

��  hipet ndir rahjet, 

rrugulliset ndir plezkat

e krufet se t� nxier pieshtat.

Si do t� fia��, albrisht o l�tisht,

Kur gj�nde Unghir

ture  sgjiedhur gjiufin

bier mot par se t� fia��,

e si kllos ket b��� dy g�las.

Pir haren atji �� t� gjegjin

fiet me grik e jo me shexhin.

 

                            Ikni mjj, , iknj pieshta              

                     ecni gjith� ndir ata vreshta.

 L'AFASIA  DEL  BILINGUE

 

Quando parli la lingua arb�resh�,

infili la testa nella giara gigante

delle cose dimenticate:

per trovare le parole, consumi il ditale,

ogni volta, devi  indugiare in un imbarazzato silenzio

e nello sforzo di ricordare, gratti la testa e strofini il viso,

fai la figura di una gallina lentigginosa

che ha le zampe  legate,

sei costretto a camminare saltellando per ore,

con un bastone in mano,

per non inciampare e per reggerti in piedi;

ma dopo che hai parlato la lingua arb�resh�

e la fuliggine hai spazzato via da occhi e dita

senti il profumo delle ginestre

e come nel Corpus Domini fai festa, spargendo fiori dalle finestre

Quando parli un'altra lingua,

sei leggero come una palla di piombo,

ti senti grasso come un maiale

che cerca di salire su un  dirupo,

rotola nelle pozzanghere

e si gratta strofinandosi per liberarsi dalle zecche.

Quale che sia la parlata, arb�resh o non,

quando ti trovi a Lungro

mentre cerchi di  scegliere la lingua,

ti attardi come una chioccia prima di parlarla

e come una chioccia espelli due pallottole di guano.

Per fortuna di chi ti ascolta

parli con la bocca e non con l'ano

 

 

 

    

I B�GATJ

 

Nj her hanje miell krundie

e teshtnje qurra hundie,

kishe tirqit m kunjit

e mut ndir thonjt.

Nan� �u bre i bgat

ture viedhur mat

e ture shitur pi��pitat

nng qindrove t grrienje bithin me thonjit,

me duart pa lar i shet bukin gjindies,

viell fial me grik .

Mos t� kurrumbir��  turrest

ng'i nget me duar, 

ma i mer   me  nj thik.

Se t� mbjidhnje sa m� donje

ishe i mir t shitnje bithin

edh� ahirna nng e lanje.

M nj here o m dhopu

Edh� tj ule i lodht pir posh nji fiku

E ture ruajtur qiellin pa ree

Kulton  dritin e vet�hers  �' i t iku.

Se me nj dor grrinje bithin

e me ietrin shprishnje hithin.

L'ARRICCHITO

 

Un tempo  mangiavi farina di crusca

e starnutivi spruzzando moccio dal naso,

portavi pantaloni con la pezza al sedere

e avevi le unghie sporche..

Ora che sei diventato ricco

rubacchiando mate

e vendendo  merci adulterate

non hai cessato di grattare il culo con le unghie

porgi il pane ai clienti con le mani sporche,

vomiti  parole dalla bocca .

Per non contaminare i soldi,

eviti perfino di sfiorarli con le mani,

li prelevi  infilzandoli con una lama.

Pur di accumulare altro denaro

saresti capace di mettere in vendita il culo

e neppure in quella occasione lo puliresti.

Prima o poi

anche tu ti riposerai, seduto sotto l'ombra di  un fico

e guardando il cielo senza nubi

rimpiangerai  la luce della vita che non hai  potuto trattenere,

perch� avevi una mano occupata a grattare il sedere

e con l'altra spargevi l'ortica per l' altrui dispiacere.

 

   

GROPA

 

Ka K�rmuni, ket  shpji e t� vd�kurvet,

m� nj�here  ish� Gropa,

e llutmia shpji atirve

�� n�ng kishin �mrin. 

 

Sot, sipir grops u rrit

bari i shkret.

E vietir gropa  u buar

e me at�n kishter�t  pa �mir

buartin  t'llutmin shpji.

Eshtrat i h�ng�tin qen�t

Unghir, eshtrat e qenvet

gjetin shpjin,

kishter�t n�ng gjetin  �mrin

e buartin Gropin.

 

�mri �sht� si l�kura sipir misht.

Kur qeni h�ngri ashtin

�� mban shtuar 

misht,

l�kure �mrit ikin nd'ir duar

zotit Krisht.

 

Unghir kirdhirin se sosin �mri

i shkruar nd� marmurit

se t� sgjofet  Hora

c� ripitirin fialat,

i dirgon ket ieta

e bine i gjiegjin t� gjiallt

pir shum  vieta.

 

Syt e Hor�s kan dritin t� shuar 

E fialt ndir gurt

ng'i shofin t� shkruar.   

 

Atirve �� ian piakra, pa shurb�er,   

Hora i dha shortien m� t� mir se gjithve:

Duket se buartin �mrin, shpin,

gropin e kishterin �'ishin .

 

Edh� mua, se ti v� kurorin,

m� qindron vet

t'im biret birlloku 

��   kam ket vroku

i shuar

si hilnar i viuar.

 

Qiesh si t� dua��, shoku im.

Pir gazin t'�nde  ng' �sht vende

ket ieta �� te prier prap.

Qindronj vet u me pokondrii

t'i t� gjegjin

kur  qeshin ti si nj� dhii.

LA FOSSA COMUNE

 

Nella citt� dei morti,

una volta c'era la fossa comune,

ultima dimora

dei senza nome.

 

Oggi, sul cumulo di terra � cresciuta

e spadroneggia l'erba cattiva.

La vecchia fossa comune � scomparsa

e cos�  gli uomini senza nome

hanno perduto anche l'ultima dimora.

I cani randagi ne hanno rosicchiato le ossa.

A Lungro, le ossa dei cani

hanno  trovato dimora,

gli uomini non hanno trovato il nome

e hanno perso la dimora comune.

 

Il nome � come la pelle sulla carne.

Quando il cane ha divorato l'osso

che sostiene

la carne,

la pelle del nome si consuma e sparisce

nelle mani di Dio.

 

A Lungro  sono convinti che basti

la scritta di un nome sul marmo di una tomba

a restituire il risveglio ad Hora, la dea

che fa risuonare le parole,

ne manda l'eco per il mondo

e tiene desta l'attenzione dei vivi

sul nome dei morti, per lungo tempo.

 

Hora ha occhi spenti

per guardar parole

e nomi su pietra incisi echeggiar non vuole.

Ai vecchi che l'et� ha reso inattivi

Hora ha assegnato una sorte che pi� propizia

non  avrebbe potuto essere: sembrano persi di nome,

di casa, di fossa  comune e della  stessa identit�.

 

A coronamento del tutto,

anche a me non resta che perdere

il gioiello da metallaro

che adorna il mio tizzone

spento

nella custodia di un tremulo baluginare.

 

Ridi pure, amico mio,

Tanto, per il tuo riso non c'� luogo

nell'universo che te ne restituisca l'eco.

Sono il solo ad essere impietosito

dal ritorno di suono

della tua risata caprina.

 

L'articolo � stato pubblicato anche su EDSCUOLA