Lo scritto, anche se di qualche anno fa, � sempre attuale considerato che la situazione � cambiata di poco negli ultimi anni.
LA PREVENZIONE DEGLI INCIDENTI
di Antonio Sassone
L' Organizzazione Mondiale della Sanit� (OMS) definisce l'incidente come un "evento indipendente dalla volont� umana, provocato da una forza esterna. agente rapidamente e che si manifesta sotto forma di danno fisico e psichico�.
Quale peso ha la fatalit� nella determinazione degli infortuni? In quale misura il fattore umano pu� intervenire nella prevedibilit� e nella controllabilit� delle cause e degli effetti degli incidenti?
Nella definizione dell'OMS, l'accento viene posto sul. carattere casuale e involontario dell'evento dannoso, in linea con il significato etimologico della parola infortunio (evento non fortunato, avversa fortuna). Anche il termine incidente implica un significato di fatalit�, indipendente da ogni potere di decisione, di previsione e di controllo, sia in riferimento alla causa materiale o umana dell'evento dannoso, sia in riferimento agli effetti dannosi sulla vittima dell'incidente.
Non vi � dubbio, tuttavia. che se l'elemento aleatorio che provoca l'infortunio ricade in una sfera di azioni prevalentemente o esclusivamente umane, l'infortunio stesso pu� essere previsto e controllato, al limite, ridotto nei suoi effetti dannosi. Lo stesso concetto di rischio come rappresentazione soggettiva di ipotetici danni futuri, impliciti nello svolgimento di un'azione umana, costituisce un para- metro intuitivo di prevedibilit� e di controllabilit� delle cause e degli. effetti di urta decisione pratica tipicamente umana. Questa connessione tra consapevolezza del rischio e controllabilit� dell'evento dannoso � comprovabile, rilevando empiricamente l'importanza del fattore umano nella prevenzione degli incidenti domestici provocati dalla mancanza di dispositivi di sicurezza nell'impianto elettrico (prese, salvavite, difesa dalle scariche atmosferiche ecc.); oppure, ancor pi� banalmente, si pu� sottolineare l'importanza del rispetto delle norme di circolazione stradale, ai fini della prevenzione degli incidenti di traffico automobilistico, pedonale, ciclistico o di ciclomotori. E' evidente che in questi casi, il fattore umano della conoscenza dei rischi e della responsabilit� del comportamento prevale su qualsiasi altro fattore materiale o meccanico.
Chi ne avesse i mezzi e la voglia potrebbe trarre un sano divertimento intellettuale dalla costruzione di un modello euristico di rischio consapevole, inteso come strategia teorica di prevenzione degli incidenti. Si tratterebbe di .fare ricorso a dispositivi analitici e contenuti disciplinari di diverse scienze e pratiche professionali: la teoria dei giochi in Econometria, la probabilit� statistica come problema autonomo e in relazione alla pratica professionale degli enti di assicurazione, il concetto di intenzionalit� e di preterintenzionalit� nel diritto, il modello di prevenzione degli infortuni sul lavoro adottato dalla legislazione. vigente in materia, il modello della Statistica sanitaria di approccio epidemiologico agli infortuni; le strategie e le tattiche dell'attivit� imprenditoriale, la teoria dell'azione in Sociologia e in Psicologia sociale, la eventuale distinzione tra il concetto di incidente e il concetto di infortunio, l'epistemologia della Fisica e della Biologia sul rapporto tra caso e necessit�.
Questa fugace osservazione intende sottolineare la complessit� del problema in esame e, in definitiva, la sua dominante oscurit�, nonostante la clamorosa evidenza dei dati reali riguardanti gli infortuni. L'incertezza esistente in campo teorico si ripercuote sulla metodologia di rilevazione statistica del fenomeno, disturbando sia la sua conoscenza quantitativa che quella qualitativa e impedendo, di conseguenza, una efficace predisposizione di strategie di prevenzione. Le carenze teoriche esposte sono, infatti, da annoverare tra le cause della inattendibilit� dei dati che la letteratura corrente presenta sui fenomeni infortunistici. Una certezza conoscitiva, seppure parziale, garantisce esclusivamente i dati relativi agli incidenti con esito mortale. la parzialit� dipende dalla mancata imputazione all'incidente originario dei decessi che si verificano a distanza di anni, a causa di un aggravarsi delle condizioni di invalidit� (es.: paraplegie) della vittima.
Un quadro di ricerca articolato secondo le prospettive analitiche sopra evidenziate meriterebbe di essere preso in seria considerazione, non solo per fondare scientificamente la conoscenza empirica dei fenomeni infortunistici, conferendo attendibilit� ed esaustivit� ai dati raccolti, ma anche - come si � gi� detto - per impostare ragionevoli strategie di prevenzione.
Questa premessa problematica consente, peraltro, di giustificare, in qualche modo, il carattere forzatamente frammentario del discorso descrittivo che in qualche sede si sta per svolgere su alcuni aspetti del fenomeno infortunistico in relazione a classi di et� minorili e nella prospettiva della prevenzione.
La casistica degli infortuni a danno dei minori � tristemente varia e voluminosa. le dimensioni quantitative del fenomeno rilevate con metodi non omogenei e in diversi contesti nazionali, sono rappresentabili nel modo seguente.
In Italia, nel 1993 sono stati registrati 1993 casi di decessi, per cause incidentali, a carico di minori appartenenti alla classe di et� 1-17 anni. Il numero pi� alto di incidenti con esito mortale si riferisce alla classe di et� 15-17 anni e conta 909 morti. Seguono le classi di et� 10-14 anni con 453 morti, 1-4 anni con 356 morti, 5-9 anni con 296 morti. La causa specifica pi� corrente in questi infortuni mortali � imputabile alla circolazione stradale, per tutte le classi di et� considerate. Tale causa predomina, in assoluto, nella classe di et� 15-17.1 Con il procedere dell'et�, aumenta il numero dei decessi per cause di traffico stradale, passando da 117 nel gruppo 1-4-anni a 655 nel gruppo 15-17 anni. nel 1982, su 27.039 minori feriti a seguito di incidenti di traffico veicolare (20.998 maschi e 6.041 femmine), le vittime tra i 15 e i 17 anni sono state 8.976 (33,2%). Negli anni successivi all'introduzione dell'obbligo del casco per ciclomotoristi e motociclisti, � stata stimata una riduzione della mortalit� per trauma cranico del 20-30%.
Nel 1989, su 216.329 infortunati di tutte le et�, per cause connesse alla circolazione stradale, i feriti appartenenti alla classe di et� 0-17 anni sono stati 29.532, pari al 13,6%.2 Nello stesso anno, su un totale di 4.074 incidenti stradali con esito mortale, concernente i soggetti di tutte le et� e di ambo i sessi, i morti della classe di et� 0-17 anni sono stati 652 pari al 16%.3
Confrontando i dati del 1983 con quelli del 1989, si registra una riduzione di circa il 46% delle vittime di incidenti mortali, in et� minorile. Si passa, infatti, da 1218 minori (0-17 anni) deceduti nel 1983 per cause di circolazione stradale, a 652 nel 1989. Certamente un contributo decisivo alla riduzione di questo tipo di mortalit� proviene dall'introduzione del casco per i motociclisti e delle cinture di sicurezza per gli automobilisti.
Altre cause di infortunio mortale sono imputabili ad avvelenamento e soffocamento. L et� pi� esposte a questo tipo di infortuni sono quelle iniziali e finali della classe 1-17 anni.
Per quanto riguarda gli incidenti non mortali e comunque causa di ferite, invalidit� transitoria o permanente o di morte differita per aggravamento delle condizioni di invalidit�, le informazioni non sempre sono attendibili.
E' questo il caso degli incidenti domestici per i quali le stime dell'ISTAT4 indicano circa 2.700.000 infortunati, pari al 3,7% dell'universo demografico italiano, i minori colpiti da incidenti domestici, secondo l'ISTAT sono il 3,6% (117.000) della popolazione infantile appartenente alla classe di et� 0-4 anni, oltre il 2% (81.000) della classe di et� 5-14 anni e circa il 3% (118.000) della classe 10-14 anni. Nel complesso hanno subito almeno un incidente domestico 316.000 preadolescenti della classe di et� 0-14 anni sottoposti ad indagine ISTAT nel 1988.
Tra i fattori materiali che hanno causato gli incidenti alla generalit� dei soggetti vi sono gli utensili da cucina (19,3%), le scale (13,9%), mobili, sedie, porte, finestre (10,8%).
Per bambini e ragazze fino a 14 anni, la dinamica che prevale nell'incidente consiste nelle cadute, per scivolamento, su pavimento, dal seggiolone, dalle sedie e dai mobili. Concorrono a determinare gli infortuni dei ragazzi, anche se con un indice di frequenza relativamente basso, i pattini, il pallone, la bicicletta. L'11% degli incidenti dovuti ad utensili da cucina colpisce i minori nella fascia di et� 5-14 anni.
Le conseguenze sulle condizioni di salute delle vittime degli incidenti riguardano ferite, fratture, contusioni, lussazioni, soffocamenti, avvelenamenti. Tra i minori collocati in et� comprese tra 0 e 14 anni prevalgono nettamente le ferite alla testa e agli arti inferiori e superiori (50,6%)5
Ulteriori stime sono state effettuate sul numero delle vittime minorili di infortuni sul lavoro. Il CESPES6 ritiene che tale numero si aggiri intorno a 1.500 infortuni all'anno e che si riferisca esclusivamente a minori di et� inferiore a 14 anni.
Per altri paesi come la Svizzera, la Repubblica federale tedesca, la Repubblica democratica tedesca (prima dell'unificazione delle due Germanie), la Grecia, sono disponibili alcuni dati statistici indicativi delle dimensioni del fenomeno infortunistico, riguardante anche i minori7.
In Svizzera, per il solo settore fai da te, sono stati registrati, nel 1989, 14.000 casi di infortuni senza distinzione di classi, di et� delle vittime, e 20 morti per incidenti vari.
Nella Repubblica federale tedesca sono stati rilevati, nel 1989, 500.000 casi di infortuni domestici occorsi ai minori in et� inferiore ai 14 anni, 50.000 casi di incidenti stradali a soggetti della stessa classe di et�. Da un'indagine condotta a Francoforte, nel 1989, risultano 120 infortuni ogni 1.000 bambini della scuola materna. Il 70% di questi incidenti � dovuto a cadute e il 30% a urti, spinte ed altre cause.
Nella ex Repubblica democratica tedesca, nel 1988, sono stati registrati 191 casi di incidenti mortali occorsi a bambini appartenenti alla fascia di et� 4-15 anni. Su 28.858 soggetti di ogni et� ospedalizzati per infortunio, i soggetti in et� di obbligo scolastico sono stati 13.310, corrispondenti a 6,4 infortuni ogni 1.000 alunni.
Questa distribuzione numerica degli incidenti va collegata al fatto che i criteri di rilevazione adottati nella ex repubblica democratica tedesca vi era anche l'identificazione dell'infortunio con un'assenza scolastica superiore a 3 giorni.
In Grecia, le statistiche registrano circa 100 casi all'anno di incidenti stradali con esito mortale a carico di minori della classe di et� 1-14 anni. Il 30% di questi decessi � dovuto a infortuni di ogni tipo. Risultano vittime di incidenti circa 2.000 bambini all'anno.
Gli interventi pedagogici
Il carattere macroscopico delle dimensioni del fenomeno in esame appare evidente, pur nella difficolt� ad accertare l'attendibilit� dei dati. Si tratta di una guerra silenziosa, mal dichiarata, senza nemici e senza tregua, le cui vittime, spesso, oltre a non avere l'onore della cronaca, sono estraniate perfino dalla memoria anonima delle statistiche.
Il gravoso onere per l'economia pubblica e le pesanti ripercussioni che l'enorme volume di incidenti provoca nel settore salariale, senza considerare i costi in termini di sofferenze psichiche e fisiche degli infortunati e dei loro congiunti, giustificano ogni sforzo per prevenire i rischi e aumentare la sicurezza.
E' fuor di dubbio che spetti alla scuola una posizione di primaria importanza nell'ambito dei soggetti istituzionali deputati alla prevenzione.
Secondo alcuni studiosi di Psicologia della sicurezza, i riflessi di base per l'assunzione per l'assunzione di un comportamento antinfortunistico dovrebbero essere acquisiti prima dei 12-13 anni.
La Direzione Sanit� e Sicurezza della Commissione europea assegna ad una formazione alla sicurezza il perseguimento dei seguenti obiettivi:
sviluppo dello spirito di sicurezza;
apprendimento della padronanza dei rischi;
assimilazione mentale delle regole di sicurezza.
Non sarebbe ragionevole nascondere le difficolt� che si erigono di fronte al conseguimento di questi obiettivi. Educare a prendere coscienza del rischio significa formare la consapevolezza del rapporto tra mezzi e fini, della processualit� degli eventi, delle opportunit� di differimento delle gratificazioni, della capacit� di collocazione dell'educando e dei suoi progetti di vita nel futuro; avere coscienza del rischio significa conoscere il valore della vita e della salute psico-fisica, conoscere il valore della prudenza, del coraggio, della temerariet�, saper adottare una logica di sistema della progettazione e nella realizzazione delle proprie azioni. In ultima analisi, educare a prendere coscienza del rischio significa educare ad adottare decisioni razionali.
Questi compiti, certamente non facili da realizzare in presenza di partner adulti della comunicazione educativa, diventano ancor pi� difficili se i destinatari della prestazione sono preadolescenti di et� inferiore a 14 anni.
Sono probabilmente difficolt� di questo tipo a indurre gli psicologi e i pedagogisti della prevenzione a concentrare gli sforzi sui metodi di potenziamento delle strutture di supporto all'istinto di auto-conservazione, sul potenziamento, cio�, degli automatismi psico-motori.
Alcune ricerche condotte a livello di bambini di scuola materna dimostrano che in questa et� evolutiva la percezione del pericolo e disturbata dal grado di sviluppo delle strutture logico-cognitive e verbali. L'educazione alla sicurezza con mezzi pedagogici dovrebbe consentire loro di individuare, valutare e affrontare i pericoli, per evitarli. La dominanza della memoria a breve termine e la tendenza alla distrazione mentale agente in situazioni operative di gioco impediscono loro di applicare adeguatamente le nozioni apprese ed eventualmente memorizzate in materia di pericolo. Queste caratteristiche psico-cognitive e comportamentali fanno supporre che nella fascia d'et� prescolare sia estremamente problematico rimuovere le cause di infortuni con una educazione alla sicurezza su basi cognitive.
Vi sono poi da considerare i fattori di implicazione motoria nell'incidenza degli infortuni. Il basso grado di sviluppo corporeo, di sviluppo dei sistemi muscolare e nervoso, la scarsa prontezza di riflessi non consentono una efficace coordinazione motoria per una rapida reazione a situazioni di pericolo. Tali carenze, riconducibili alla fase di et� evolutiva, sono ulteriormente aggravate dalle condizioni di vita ambientale. La segregazione claustrale di molti bambini nell'ambiente domestico, scolastico e urbano limita fortemente la possibilit� di movimento e costringe alla passivit� o ad attivit� sedentaria.
I risultati ottenuti da Holzapel8 nel 1989, con una ricerca sugli alunni della prima elementare di una scuola tedesca, hanno dimostrato che il 60% dei bambini presentava lacune nel protamento, oltre il 40% problemi muscolari e circa il 40% deficit motori a livello di coordinazione motoria. Da un'altra ricerca condotta nelle scuole materne di Francoforte sul Meno da T.Kunz risulta che il 90% degli incidenti dovuti a cadute, urti e spinte seguiva una dinamica che eccedeva le possibilit� motorie dei bambini9. Da queste osservazioni i ricercatori tedeschi hanno tratto motivo per affermare che "i provvedimenti di ordine tecnico non sono, nella maggior parte dei casi di infortunio, risolutivi"10. Miglioramenti tecnici come l'eliminazione delle barriere architettoniche, l'imbottitura delle attrezzature ludiche, la riduzione degli ostacoli o l'introduzione di sistemi di protezione contro le cadute o scivolamenti, non bastano a prevenire gli infortuni, possono al massimo limitarne le conseguenze.
Una funzione decisiva in senso antinfortunistico potrebbe invece essere svolta dall'impiego di mezzi pedagogici e psicologici diretti a potenziare le abilit� motorie e ad adeguare la dinamica dei movimenti dei bambini alle situazioni contingenti di gioco. Questa ipotesi � stata sperimentata su un campione di 1.400 bambini sottoposti a test motorio, per misurare la capacit� muscolare, la velocit� di reazione, di mantenimento dell'equilibrio statico e dinamico, le abilit� e la coordinazione motoria. I risultati ottenuti nel campo della prevenzione degli infortuni sono stati sorprendenti. Nel gruppo sperimentale, gli incidenti tipici (cadute, spinte, urti, scivolamenti) si sono ridotti del 50% rispetto a quelli del gruppo di controllo non sottoposto alla sperimentazione, dove gli infortuno sono stati 120 ogni 1.000 bambini. Gli esercizi consistevano in giochi di movimento, in spazio aperto, praticati per 8 settimane, secondo moduli di movimento mirato della durata di 75 minuti, ripartiti per 5 giorni a settimana. I ricercatori hanno proposto alle maestre 140 moduli di movimento, indicando per ciascun modulo i campi motori interessati. I giochi proposti sono stati concepiti nella prospettiva di una stimolazione precoce del movimento, nel quadro di un insegnamento alla sicurezza. Erano stati intenzionalmente esclusi i giochi eliminatori per evitare di danneggiare i bambini pi� deboli dal punto di vista motorio. I progressi pi� consistenti, infatti, sono stati ottenuti da questi ultimi che hanno visto aumentare le proprie prestazioni nel campo della coordinazione motoria, di ben 16 volte.
Dai risultati della sperimentazione � emerso che la realizzazione di un programma di stimolazione motoria, oltre a potenziare le capacit� antinfortunistiche dei bambini, esercita positive influenze sul piano cognitivo, emozionale e sensoriale. I ricercatori tedeschi si sono dichiarati, altres�, convinti che non vi siano valide ragioni per limitare la stimolazione motoria ai soli bambini delle scuole materne e che essa debba essere continuata anche nelle successive fasi scolastiche, poich� la causa degli incidenti che si verificano tra i preadolescenti, a casa, a scuola, nello sport, sulla strada, in occasione di gite scolastiche, va ricercata principalmente nelle carenze di tipo motorio.
Situazione legislativa
Nella mentalit� antinfortunistica del personale scolastico investito dall'obbligo della vigilanza sugli alunni dominano tendenzialmente due tipi di atteggiamenti: una eccessiva preoccupazione, al limite dell'angoscia, per le temute conseguenze di comportamenti negligenti da culpa in vigilando o una sottovalutazione fatalistica dei pericoli di infortuni, sintomaticamente espressa dall'interrogativo "Perch� dovrebbe capitare proprio a me?". In ambedue i casi prevale la passivit� coatta o volontaria, risultante dall'assenza pressoch� totale, in ogni scuola, di iniziative programmate e sistematiche, attuate secondo metodi pedagogici.
Contribuiscono a mantenere lo stato di inerzia: la mancanza di direttive ministeriali o di norme legislative mirate, la scarsa diffusione di una cultura tecnica della prevenzione, nell'intero mondo della scuola, la difficolt� a concertare tra gli insegnanti le iniziative proposte localmente, la mancanza di aggiornamento specifico dei maestri e dei professori, l'esigua sensibilit� dei genitori per i problemi antinfortunistici, le carenze strutturali della scuola.
Un'occasione per avviare il superamento delle lacune legislative potrebbe essere costituita dall'entrata in vigore della Direttiva comunitaria del 30.11.1989 (Legge 30 dicembre 1989, n.393), riguardante le norme minime di sicurezza e di sanit� per i luoghi di lavoro, applicabili anche al settore scolastico. La legislazione vigente in Italia in materia di responsabilit� dei dirigenti scolastici, degli insegnanti e degli operatori scolastici fa capo all'art.2048 del Codice Civile, all'art. 61 della legge 11 luglio 1980, n. 312 e all'art.7 del DPR 31 maggio 1974, n. 420. Queste norme prevedono obblighi formali che presuppongono una responsabilit� solo in caso di dolo o colpa grave, nella omissione di vigilanza sui minori.
La produzione normativa secondaria (sentenze della Corte Costituzionale, della magistratura ordinaria e amministrativa) ha graduato la responsabilit� della vigilanza e delle conseguenze della sua omissione in rapporto alle fasce di et� dei minori soggetti alla vigilanza stessa. Nella fascia di et� superiore ai 14 anni e fino ai 18, � stata riconosciuta ai minori una relativa capacit� di autodeterminazione e, quindi, una loro corresponsabilit� morale e cognitiva nella prevenzione degli incidenti non dovuti a fatalit�. Nella fascia di et� inferiore ai 14 anni, la responsabilit� della prevenzione � caricata totalmente sul personale scolastico che non abbia saputo o voluto adottare le misure oggettivamente possibili per evitare o impedire il verificarsi dell'evento dannoso.
La Legge 13 aprile 1987, n. 149 e la Legge 10 febbraio 1989, n. 48 pur assimilando il capo d�istituto al titolare di un�attivit� aziendale, lo liberano dalla responsabilit� di conformare l�edificio scolastico alle norme di prevenzione contro gli incendi, imponendo agli Enti locali l�obbligo di garantire e di documentare tale conformit�.
Questi provvedimenti non sono serviti, tuttavia, ad eliminare gli inconvenienti di carattere igienico-sanitario e infortunistico che, tuttora, inducono erroneamente le USL e, talvolta, anche la magistratura ordinaria a promuovere iniziative di imputazione delle connesse responsabilit� ai capi d�istituto, per ipotesi di reato contro la pubblica incolumit�.
Altri interventi di tipo legislativo gi� attivati riguardano la prevenzione degli infortuni nel campo dell�igiene alimentare (Legge 30 aprile 1962, n. 283), dell�igiene delle abitazioni (D.M. 5 luglio 1975, Le Istruzioni del Ministero della Sanit� del 20 giugno 1986), degli impianti elettrici e dei dispositivi di sicurezza contro gli incendi (D.P.R. 547/1955), degli impianti domestici (Legge 1 marzo 1968, n.180), di alcuni giocattoli (Legge 18 febbraio 1983, n. 46).
I settori legislativi totalmente trascurati riguardano le strutture interne delle abitazioni e delle scuole, le suppellettili domestiche, gli strumenti e i luoghi di gioco per l�infanzia.
Tuttavia, un�azione preventiva efficace non pu� essere basata esclusivamente sulle norme giuridiche, tanto pi� che la maggior parte degli infortuni sul lavoro � dovuta al mancato rispetto della normativa vigente.
Occorre precisare, parafrasando quanto diceva nel 1972 Lord Robens nella sua relazione al governo britannico sulla strategia di prevenzione degli infortuni, che �la passivit� � il fattore principale che contribuisce al verificarsi degli incidenti. Questo atteggiamento non sar� corretto, fino a quando i lavoratori, gli alunni, gli studenti, gli educatori, i genitori continueranno ad essere incoraggiati a pensare che la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, di studio, di gioco o altrove possano essere garantite da un arsenale sempre pi� ampio di regolamentazioni sotto la sferza di un esercito sempre pi� numeroso di ispettori�11.
Esempi di cultura progettuale
Un contributo essenziale al miglioramento della sicurezza pu� derivare da una presa di coscienza delle responsabilit� collettive esistenti alla base dei fenomeni infortunistici, da uno sviluppo dello spirito di sicurezza nel corso dell'intera formazione scolastica, dall'assimilazione delle regole di prevenzione per la padronanza dei rischi, insomma, da una cultura delle prevenzioni.
Parallelamente occorre praticare metodi concreti di prevenzione, anche attraverso l'adozione di modelli pedagogici sperimentati in altri Paesi. A questo proposito, sembra di particolare interesse l'esempio di alcuni paesi europei dove si stabiliscono rapporti istituzionali tra Ministero della pubblica istruzione, polizia stradale ed Enti di assicurazione per l'attuazione nelle scuole di programmi di prevenzione contro gli infortuni. Un elemento che facilit� i rapporti di collaborazione con gli Enti assicurativi � rappresentato dal loro vivo interesse a considerare l'opera di prevenzione come un vero e proprio investimento teso a ridurre o ad annullare le spese di risarcimento danni provocati dagli incidenti sugli assicurati.
In Danimarca, la Polizia stradale visita regolarmente le scuole, collaborando con gli insegnanti nell'opera di prevenzione. Un esame di guida ciclistica, tra le altre esperienze, svolto in presenza di un rappresentante della Polizia stradale, conclude il processo di addestramento pratico e di insegnamento teorico.
Un metodo di questo tipo viene adottato anche nelle scuole del Belgio, dove l'esame accerta l'abilit� nelle sterzate e nella conservazione dell'equilibrio, il tempo di reazione nelle scelte di movimento, la conoscenza delle norme e della segnaletica stradale, la percezione visiva ecc. Questi comportamenti vengono collaudati anche attraverso simulatori di guida appositamente predisposti.
Nelle esperienze citate, gli obiettivi dei programmi di prevenzione degli incidenti vengono perseguiti non in ambienti artificiali e non solo con metodi di simulazione, ma in situazioni reali di vita quotidiana (strade, cortili, piazze e luoghi di traffico veicolare e pedonale) e con il ricorso a mezzi di trasporto o ludici abitualmente usati dagli alunni.
L'opportunit� per le nostre scuole di seguire esempi di questo tipo � suggerita dall'elevato volume di incidenti stradali a carico dei minori che usano la bicicletta come mezzo di locomozione. Nel solo 1989, i ciclisti minorenni ( sotto i 14 anni) infortunati in incidenti stradali sono stati 1.831 di cui 48 hanno perso la vita e 1783 hanno riportato ferite di vario tipo (trauma cranico, fratture agli arti, contusioni, lussazioni ecc.)12
1. Fonte: Elaborazione su dati ISTAT, Consiglio Nazionale dei Minori (CNM, a cura di), I Minori in Italia, Franco Angeli, Milano 1989.
2. Fonte: Elaborazione su dati ISTAT, Statistica degli incidenti stradali, annuario 37, 1990
3. Fonte: idem.
4. ISTAT, Notiziario, Foglio 41, anno X, n. 17, 1989.
5. Fonte: idem.
6 (CNM, a cura di), I Minori in Italia, cit.
7.I dati sono tratti dagli atti della V conferenza internazionale sulla sicurezza nelle scuole neo Paesi della Comunit� Europea, tenutasi a Berlino il 9 ottobre 1990. Gli atti, in redazione provvisoria, sono stati gentilmente messi a mia disposizione dal Dott. Armando Pietrella del Ministero della pubblica istruzione.
8. L'indagine � sinteticamente illustrata in Atti, cit.
9. Idem.
10. Idem.
11. La frase di Lord Roberez � riportata sugli Atti, cit.
12. Fonte ISTAT, Statistica degli incidenti stradale, cit