LEGGE REGIONE CALABRIA TUTELA MINORANZE LINGUISTICHE: Intervista ad Alfredo Frega
di Nicola Bavasso
La
legge che riconosce e tutela le minoranze calabresi � una realt�. Dopo quasi
quattro anni dall�approvazione della legge quadro 482/99, la Calabria si �
dotata di un strumento legislativo di recepimento.
Aspre polemiche accompagnate da giudizi positivi, si sono registrate in
sede di approvazione del testo e tuttora continuano a tenere banco tra
amministratori, istituzioni, associazioni ed operatori culturali.
Abbiamo raccolto il parere del collega Alfredo Frega, componente della
Commissione Stampa della Con.Fe.Mi.Li (Comitato Nazionale Federativo Minoranze
Linguistiche d�Italia), giornalista che da tanti anni, attraverso autorevoli
rubriche radio televisive curate in un passato recente per la Rai e servizi
giornalistici pubblicati in numerose riviste del settore, ha posto e continua a
porre all�attenzione dei mass media le problematiche e le peculiarit�
culturali delle minoranze calabresi.
Secondo
lei � una buona legge? E� una legge che potr� veramente tutelare le
minoranze?
Come
avemmo modo di scrivere quando la Commissione licenzi� la proposta unificata
della legge in questione, questo nuovo strumento legislativo viene a completare,
per quel che riguarda la sua applicazione nel territorio della regionale, quella
legge quadro nazionale promulgata nel 1999 che, in sostanza, vuole attuare una
precisa norma costituzionale (art. 6), rimasta disattesa per mezzo secolo.
Certo, questi strumenti legislativi sono arrivati con notevole ritardo e non
sappiamo quali effetti produrranno in alcune piccole minoranze, ridotte ormai al
lumicino. Rispondere se � una buona legge quella approvata dal Consiglio
Regionale della Calabria � alquanto difficile. Intanto � una legge, pur
presentandosi molto articolata e alquanto parcellizzata. Tanto potrebbe creare
non pochi problemi sulla sua applicazione. Una legge deve contenere principi
generali ben chiari, motivati e, perch� no, circoscritti. La si confronti con
la legge quadro nazionale sopra richiamata. Cito un rilievo per tutto: un
articolo della legge regionale stabilisce cos�� un bene culturale, indicando
un nutrito elenco di ambiti d�intervento: intanto non spetta ad una legge
stabilire una simile definizione. Un bene culturale � di per s� un bene
culturale, che lo si voglia o no. Poi si chiede se questo strumento sapr�
tutelare le minoranze. E� difficile stabilirlo in quanto tutto dipender�
dalla volont� di queste ad esercitare il diritto all�autotutela. Parimenti
occorre una forte presa di posizione degli enti chiamati ad applicare le
normative perch� non disperdano le energie finanziarie, che del resto sono
abbastanza esigue, in mille rivoli, come purtroppo si abusa dalle nostre parti.
Dalla
polemica per la creazione dell�archivio etnografico prima dell�approvazione
della legge regionale, � scaturito l�emendamento, trasformato in articolo,
secondo il quale �La giunta regionale in sede di programmazione, �
autorizzata ad istituire nuovi centri o istituti di ricerca o sezioni
decentrate�. Cosa significa?
Non
entriamo in merito alle polemiche, anche se queste sono comuni da noi e non
solo. Intanto vi sono tre centri studi da istituire ex novo, uno per ogni
minoranza linguistica. Che tutti si adoperino a realizzarli nel minor tempo
possibile. Che si realizzino degli istituti che non siano fini a s� stessi, che
non abbiano come obiettivo principale la creazione di posti di lavoro fittizi o
clientelari. Che si miri alla loro funzionalit� di operare nei territori. Che
siano degli incubatori che producano cultura, che formino operatori culturali di
cui le nostre minoranze linguistiche hanno fortemente bisogno. Dopo si vedr� se
accanto a queste sedi centralizzate occorra creare dei supporti in periferia che
possano durare anche per il tempo occorrente al raggiungimento di determinati
obiettivi. Per la ricerca specifica ci sono le universit� disseminate nel
territorio regionale dove operano dipartimenti linguistici
specializzati proprio nel settore delle lingue delle tre minoranze.
Lei
ricorda che si voleva che la legge in questione facesse un esplicito richiamo
per la creazione di un archivio etnografico. Oggi non si hanno bisogno di
archivi, anche perch� la documentazione etnografica, per esempio degli arb�resh�,
� ben custodita presso la Discoteca di Stato, l�Accademia di Santa Cecilia di
Roma, le teche della Rai sia quella centrale che le altre regionali e presso
ricercatori privati. Pi� che archivio si ha bisogno di un istituto di
etnomusica per le ricerche da parte dei giovani universitari che vogliano
intraprendere gli studi di queste discipline, per dei corsi di apprendimento e
diffusione dei canti e degli strumenti popolari, per la riproduzione di questi
ultimi, molto richiesti specialmente dai giovani attratti dalle melodie etniche.
Perch�, in silenzio e non in forma eclatante, ci siamo permessi di suggerire
Lungro come sede di questo istituto. Primo perch� in questa localit� sin dagli
anni �50 iniziarono le ricerche dei padri delle etnomusicologia italiana, come
Carpitella e De Martino, ultimamente continuate dalla Tucci e da Ricci, e sia
perch� sono in uso ancora le famose zampogne �sorduline�, con le tipiche
canne corte, e gli organetti molto diffusi tra i ragazzi. Infine l�istituto
non potrebbe non interessarsi della musica sacra bizantina, caratterizzata da un
inestimabile patrimonio, sia a livello di canti sacri popolari che prettamente
bizantini. La Cattedrale di Lungro con il suo Coro polifonico � un esempio
qualificante sotto tutti i punti di vista. Sono queste le motivazioni per cui
Lungro dovrebbe richiedere di diritto, alla competente giunta regionale, di
essere sede di questo istituto particolare.
La
comunit� arb�reshe, quella grecanica ed
occitana cosa si aspettano da questa legge?
Aspettano tutto e niente. Una lingua non si salva con una legge. Le tradizioni non si perpetuano con una legge: I parlanti calabresi di altra lingua, come hanno dimostrato sempre con i loro appelli rimasti sempre inascoltati, vogliono prima di tutto una chiarezza in sede politica e amministrativa sulle future progettazioni e sui piani d�intervento. Non vogliono che si continui con le elargizioni a �pioggia�, sintomo di bassa clientela. Vogliono, invece, un serio aiuto ai propri giovani perch� possano riscoprire una cultura, quella dei propri padri, di cui sono portatori sani. Vogliono riscoprire la memoria storica e le risorse culturali da dove partire per la creazione di iniziative imprenditoriali. Vogliono che gli enti locali investano in cultura. Nel concludere ricordiamo a noi stessi che se queste isole linguistiche dovessero essere lasciate vieppi� nel completo abbandono, sarebbe davvero la fine della loro esistenza ed una grave perdita per la Calabria, l�Italia e l�Europa.