Dall'introduzione
"Queste memorie di guerra del soldato Mattanò sono affascinanti per la ricchezza umana e la vivacità della narrazione, in un italiano alquanto personale e molto espressivo. Sono anche un documento importante per la conoscenza della nostra guerra in Albania, cosi dimenticata dagli studiosi e dagli stessi reduci.
Vittorio Mattanò nel 1940 e un contadino diciannovenne di Lungro, Cosenza, che vive con fierezza e naturalezza la sua doppia identità di italiano e di albanese. "Gli italo-albanesi, scrive, sono cittadini di due patrie. L' amor patrio in essi vibra come duplice lingua di un' unica fiamma". In realtà Mattanò e fortemente legato alla sua terra calabra e ad essa torna alla fin e della guerra fuggendo pieno di rimorsi dalla famiglia albanese che lo aveva accolto come un figlio; e non perde occasione per esaltarne storia, vita e costumi, pur subendo il fascino della "internazionale albanese" che scopre oltremare. Autodidatta, ha un bagaglio vivo e disordinato di letture in italiano e poi anche in albanese; e significativo che l'unico giudizio negativo che esprime sull'Albania riguardi la tragica diffusione dell' analfabetismo (colpa dei governanti, dice). Scrive vent'anni dopo gli avvenimenti, che però gli sono ancora incisi nella memoria con straordinaria vivacità e precisione."
DAL TESTO
La moglie di Mustafà chiede ancora della famiglia mia in Italia, se ci scriviamo, se stanno bene di salute, della casa, se abbiamo terreni e che più ...Dico grazie a Dio che sino at oggi, con terreni e casa ma la verità signora mia che lo siamo un pò numerosi in famiglia -5 i maschi e 2 le femmine oltre i genitori - desidera i nomi e dico il babbo si chiama Angelo Mattanò e la mamma Martino Domenica, io Vittorio, pò Nicola -Ambrogio - Rosa sorella - Gennaro, Francesco e la piccola Carolina che chiude la nostra fratellanza.
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E fra i scoppii, la voce d'un soldato del linguaggio mio che fa: -(Madonna del Carmine aiutami tu). Dalla sola pronunzia conosco già il paesano e fò: - Giuseppì? -Vitò verso me questi ...et avvicinandosi l'un l'altro ci abbracciamo e baciamo come paesani della stessa classe 1920 in una oscura giornata di guerra. Ambedue della 5° classe elementare et dello stesso insegnante Martino Orazio si, Mazzei Giuseppe quale soldato del genio zapp. e che di me sa ora un radio-telegrafisti. -Parliamo il linguaggio nostro albanese -raccontando di quel- la Lungro -comune natio, la nostra infanzia. Chi c'interrompe, il sottotenente Bruno che rivolto a me fa: -Mattiinò mi vuoi dire che lingua parlate? E glel dico che di què comuni italo-albanesi della Calabria così si capacita.
Cò l'evoluto paesano G. Mazzei, trascorriamo due ore di pericolo assieme; sino quanto smette di cannoneggiare su noi il greco, una volta divisi, non ci vediamo più; -(soltanto dopo anni al comune natio ove muore da giovane per malattia).
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Delle suore come in tutti gli ospedali hanno la mania di chiedere la provenienza at ogni ricoverato e dico di Lungro-Cosenza. Udito così, corre una di queste ...chiamando Suor Cecilia Frega che presto si fa viva. E' Cecilia la monaca - una delle figlie del molinaio di Lungro detto (Scipititi). Me la ricordo appena, ero bambino quando la Cecilia si fè monaca e la vedo qui ora, prestare servizio in questo ospedale di Argirokastro -oggi, al mondo intorbidito: indò gli albanesi per via di idee si uccidono I'uno- l'altro. Or Cecilia molto vuoi sapere da me del nostro comune natìo che da tempo lo divise la veste manacale....
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Io partigiano
In Delvina -centro zona, non abbiamo radio nostre e nè di quelle straniere eppur il comando mi sa radio-telegrafista. Ma non importa; anzi ancor leggiero col solo tapum (mauzer) greco. Ci guardiamo anche dai ballisti che, formati a gruppi attraversano le vie della cittadella. Or uno "stukas" tedesco su noi che ci mitraglia -probabile che un giorno e l'altro; piomberanno i tedeschi in Delvina e noi partigiani non stiamo tanto comodi giacchè gli ordini nostri sono di attaccarli allargo e non in città ot comune che sia se non vuoi avere del disastroso danno dai tedeschi. E la volta del compagno comandante Xharrefat che dice: -compagni noi non stiamo bene qui, oggi lo stukas e domani loro ...e noi siamo in città! E preso ognuno di noi l'arma con le munizioni, ci allontaniamo da Delvina et una montagna e l'altra ...ancora ad Argirokastro ove combattiamo i ballisti ...che si erano impadroniti della città. -(il mio fato questa Argirokastro).