Giuseppe VERDUCCI: I miei dieci anni a Lungro
Sabato 12 novembre 2005, presso i locali del Dopolavoro di Lungro, è stato presentato il libro "I miei dieci anni a Lungro" di Giuseppe Verducci. La manifestazione, patrocinata dall'Amministrazione Comunale di Lungro e dall'Amministrazione Provinciale di Cosenza, ha visto la partecipazione, oltre che di un nutrito pubblico, del Presidente della Provincia Mario Oliverio e dell'Assessore alle Minoranze Linguistiche Donatella Laudadio.
QUANDO A LUNGRO C’ERANO GLI OPERAI –
NEL RACCONTO DEL SINDACO VERDUCI LA LUNGRO DEGLI ANNI CINQUANTA
di Eugenio Marigliano
Una Lungro che non c’è più, una comunità che non pochi stenteranno a riconoscere quella raccontata nel libro “I miei dieci anni a Lungro” da uno dei protagonisti della storia politica lungrese a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, il sindaco Giuseppe Verduci.
Un paese, in quel periodo, fortemente ideologizzato, con un partito comunista e una democrazia cristiana attori principali di una contesa che durerà a lungo. L’asprezza del conflitto politico potrebbe risultare non spiegabile o forzata quando non si presti attenzione alla specificità della realtà lungrese di quasi mezzo secolo fa.
La forza dei comunisti lungresi dell’epoca si associa però a grandi lacerazioni interne, così gravi da impedire alla locale sezione l’indicazione di un candidato sindaco e delegare l’incombenza alla federazione provinciale.
“I compagni del direttivo sezionale - racconta nel libro Verduci – si recarono in Federazione per lamentare il mancato accordo nella designazione del capolista da eleggere a sindaco, chiedendo alla Federazione stessa un nominativo da includere e indicando il mio nome pur sapendo che si trattava di un operaio”.
Da qui Verduci inizia il racconto, ricco anche di episodi curiosi che richiamano alla mente scene di film dell’epoca: dal continuo suonare delle campane della Cattedrale che disturbavano il corso del comizio comunista, alla rappresentazione della pulitura dello scranno comiziale pubblico perché, prima di un intervento comunista, usato da un politico democristiano.
La miniera di salgemma, anche allora, segna il discrimine sociale rispetto a tutti gli altri centri del circondario, determinando una stratificazione sociale, nella quale la classe operaia non era affatto eccezione come in quasi tutto il meridione, ma soggetto capace di incidere sulle vicende politiche del paese.
Una logica di scontro frontale, quella tra la Sinistra e la Democrazia cristiana, che riusciva comunque a trovare soluzioni comuni nel momento in cui faceva capolino il terzo incomodo, il Ministero romano (deciso a chiudere la Salina), contro il quale giustamente entrambi gli schieramenti si accanivano per la difesa di un bacino minerario ai cui proventi Lungro doveva tantissimo. Così, quando il gioco diventava duro, i reciproci strali tra le opposte parti politiche venivano superati in nome di un interesse supremo: la cospicua forza lavoro impegnata in miniera. Il paese, allora, in quel di Roma veniva rappresentato non solo dal braccio politico, ma vedeva le sue ragioni difese anche da quello spirituale, nelle vesti dell’allora arciprete Giovanni Stamati, assurto anni dopo a vescovo della Diocesi lungrese, che Verduci non ha difficoltà a indicare come avversario principale.
Il libro di Verduci si sofferma su altri particolari della recente storia lungrese: dalle lotte per la costruzione dell’Ospedale civile alla costruzione dell’acquedotto fino al consolidamento strutturale di gran parte dell’abitato, non dimenticando però di citare la serietà e l’umanità di uomini e donne del partito comunista lungrese, che forse più di tutti contribuirono alla buona riuscita di un decennio importante della storia politica locale.
Dal testo
RITORNO ALLA SALINA
Ma a parte la soluzione dei problemi di esclusiva pertinenza del Comune, quello
che di più assillava l' Amministrazione Comunale era la crisi della Salina,
crisi che incombeva su tutta la popolazione per la prospettiva nera a cui si
andava incontro con la continua, paventata chiusura della stessa, che mandava
sul lastrico centinaia di famiglie. Il Monopolio aveva da tempo messo in atto lo
stillicidio delle non assunzioni. Infatti, man mano che i salinari andavano in
pensione non ne venivano più operate, così com'era di prassi nel recente
passato, in modo che il corpo dei minatori si assottigliasse man mano, fino a
scendere al di sotto del centinaio, per una chiusura meno indolore; stando
alloro modo di vedere.
Tutta Lungro era in continuo fermento, e quando si trattava di difendere quel grande patrimonio, unico in tutta la Calabria, si scendeva col piede di guerra contro lo Stato, senza badare ad altro, dimenticando, anche se per breve durata, di appartenere a formazioni politiche opposte, che a quell'epoca si scontravano in maniera furibonda. Perfino la chiesa, tramite l'attivissimo Arciprete Stamati riusciva a mobilitarsi, andando alla ricerca di un 'intesa col Comune, senza volersi, però, incontrare fisicamente con nessuno di noi.
Peppe Verduci è nato a Lazzaro (Rc) nel 1921.
Si trasferisce ad Aiello Calabro nel 1932 con la numerosa famiglia. Nel 1940
va a Bologna per svolgere il servizio militare, ed è proprio nel capoluogo
emiliano, frequentando la famiglia Dozza, che trova occasione per
avvicinarsi agli ideali del Comunismo, che lo hanno accompagnato per tutta
la vita. |