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"IL CONTRIBUTO DEGLI ALBANESI AL RISORGIMENTO ITALIANO"

Relazione tenuta dal Papas Prof. Giuseppe Ferrari

nel corso del I Convegno di Studi Albanesi – Bari 1960

 

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Non nutrendo più alcuna fiducia nella guardia nazionale, si moltiplicavano, in ogni città e villaggio, le sette segrete della Giovane Italia, dette anche « chiese », Celeberrima la loggia di Lungro, diretta da uomini dalla tempra di acciaio come Damis e Vincenzo Stratigò. A questa loggia, o a quella di S. Demetrio Corone, prendevano parte moltissimi del clero italo- albanese e quasi tutte le famIglie di rilievo dei vari villaggi. Anche Castrovillari ebbe la sua. Pur meno importante di quelle di Lungro e di S. Demetrio Corone, essa contò fino a quattrocento iscritti e aveva come precettori i due sacerdoti greci Michele Bellizzi di S. Basile e Michele Bellusci di Frascineto, nipote, quest'ultimo, del celebre vescovo.

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(1848) Il 17 maggio a Cosenza si istituisce il comitato di salute pubblica. Lo "' stesso avviene a Castrovillari, sempre sotto la presidenza di Muzio Pace. Per tutelare l'ordine pubblico, scendono qui, dai villaggi circonvicini, 500 albanesi che si schierano nel Corso. Il 2 giugno giunse a Cosenza il conte Giuseppe Ricciardi. Fuggito da Napoli, si era rifugiato a Malta; da qui passò in Sicilia, dove prese contatto con quel comitato e dalla Sicilia venne a Cosenza. Con lui si inaugura un governo provvisorio. A capo del potere esecutivo, veniva posto il Valentini. Il 3 giugno si pubblicò il primo numero d'un bollettino d'informazione, redatto dal Valentini, dal Mauro, dal Mocciari. Quest'ultimo fu incaricato di organizzare una colonna mobile di mille uomini, per occupare le colline di Paola. In pari tempo si curarono i contatti con i comitati di Napoli, Salerno, Potenza e Messina. Catanzaro seguì l'esempio di Cosenza, con a capo Vincenzo Marsico, barone di Lattarico, Regina e S. Benedetto Ullano che, col suo patrimonio, aiutò assai la causa nazionale, La Calabria era così tutta in rivolta. A Castrovillari, il 5 giugno, si volle celebrare le vittime del 15 maggio, nella chiesa della Madonna del Castello. Il già nominato papas Michele Bellizzi tenne un patriottico discorso, con cui eccitava il popolo alla riscossa nazionale. Il Ricciardi intanto, minacciato a Cosenza dalla reazione borbonica, chiese soccorsi a Castrovillari. Il contingente di questa città era guidato da Giuseppe Pace figlio di Muzio, valoroso soldato che appare adesso sulla scena e supererà con innumerevoli atti di valore, la stessa gloria del padre. Unendosi ai contingenti di S. Basile, guidati da Costantino Bellizzi e a quelli di Frascineto ed Eianina, corsero verso Spezzano Albanese. Qui trovarono non soltanto il nucleo della cittadina, guidato da Vincenzo Luci, ma le forze riunite di Acquaformosa, Firmo, Lungro comandate da Domenico Damis; quattrocento uomini, che uniti agli altri, ben presto giunsero e sfilarono, col cappello piumato, per le vie di Cosenza. Giuseppe Pace fu nominato Maggiore del battaglione albanese e Domenico Damis, con tre altri, capitano. Giungeva intanto notizia che il generale Busacca, con 2500 uomini, era sbarcato a Sapri. Muzio Pace avvisò il Ricciardi, il quale provvide a rimandare a Castrovillari il battaglione, nominando commissari con pieni poteri, i due albanesi Muzio Pace e Domenico Mauro. Ci fu però un grave errore psicologico. Già dallo giugno Cosenza aveva nominato commissario straordinario per l'organizzazione Luigi Praino, di Cassano Ionio, paese limitrofo; ora questi commissari, durante munere, avevano poteri assoluti. Ciò generò gran confusione e ferì l'amor proprio di Castrovillari e degli albanesi. Proprio di questo approfittarono i reazionari borbonici, per rialzare la testa. Il Pace partì per Cosenza, onde esporre la situazione. E fu grave errore in quel momento di generale sbandamento. Il comitato rimase indeciso sull'azione da svolgere. Così il Busacca, il giorno 16, arrivava a Castrovillari. Il comitato di Palermo aveva deciso, a sua volta, di organizzare una spedizione in Calabria, mandando subito ad effetto la decisione, agli ordini del Ribotti che il 14, accolto da Mosciari, sbarcò a Paola. La sera poi del 15 entrava a Cosenza. A Spezzano Albanese giungevano intanto, il 14 giugno, varie forze comandate da Domenico Mauro. Di lì, passando per Firmo e Lungro -tutti paesi albanesi -rinforzati via via, raggiunsero le alture di Campotenese, ove il 17 avevano già occupato tutta la zona. Si trattava di oltre 3000 uomini, quasi tutti albanesi. Il circondario di Castrovillari era comandato dal Pace; Spezzano Albanese da Vincenzo Luci; Lungro, Firmo, Acquaformosa dal Damis; San Rasile dal Bellizzi; S. Sofia d'Epiro da Luigi Raffa; S. Demetrio Corone e Macchia dal sacerdote albanese Antonio Marchianò, vice-presidente del collegio Corsini, che, per la circostanza, aveva chiuso, portandosi volontari appresso tutti gli alunni. Non mancavano all'appello gli albanesi della Lucania, al comando di Vincenzo Smilari. Anche a Spezzano Albanese, in breve tempo, si raccoglievano le forze della libertà, attorno al generale Ribotti e gli 800 siciliani, che colà arrivarono il il 20. Qui pure molti uomini erano convenuti da paesi albanesi; in particolare da S. Caterina con a capo il Lacosta, da S. Benedetto Ullano con Achille Conforti, da S. Giorgio, Vaccarizzo, S. Cosmo con Alessandro Mauro, fratello di Domenico, mentre un terzo fratello, Vincenzo, lui pure sacerdote greco, era al fianco di Domenico, sui monti di Campotenese. Il Busacca, a Castrovillari, accerchiato in questa maniera, non si trovava certo in posizione comoda. Accorgendosi inoltre che i due campi di Spezzano e di Campotenese ogni giorno più si rinforzavano, ruppe ogni indugio e segretamente si mosse verso Spezzano Albanese. Giunse ai piedi della collina quando i volontari, presi dalla stanchezza, dormivano. Provvidero le donne del paese albanese a svegliarli in fretta, correndo a bussare di uscio in uscio, ove erano ospitati. Giunti nella cittadina, il 22 giugno, furono accolti in modo del tutto inaspettato. Si attaccò una feroce battaglia nella quale, per dar tempo ai soldati del Ribotti di organizzarsi meglio, il primo urto fu sostenuto dalle donne albanesi, che si gettarono sul nemico con gli spiedi e i coltelli da cucina, mentre gli stessi bambini colpivano duramente con una fitta sassaiuola. Vi furono morti sia tra le donne e i bambini che tra le file del Busacca. Intanto si misero in moto le artiglierie del Ribotti che in breve otteneva una magnifica vittoria, costringendo il Busacca a ritirarsi verso il Coscile e quindi rientrare in Castrovillari. Il Mauro attendeva che oramai il Ribotti avanzasse anche perché, dopo inutile attesa, l'esercito accampato sulle alture di Campotenese, privo del necessario vettovagliamento, si assottigliava di giorno in giorno. Le forze della Lucania si erano già allontanate, mentre dal nord avanzava, con forti con tingenti, il generale Lanza, già arrivato a Lagonegro, con la precisa intenzione di congiungersi al Busacca a Castrovillari. Il Ribotti invece pensava ad sua sua ritirata dal fronte e non voleva esser disturbato dal Busacca. Ordinò perciò a Mauro di mandare 500 uomini sul monte Sant' Angelo, nei pressi di Morano, assicurando che intendeva intimare la resa al Busacca, appostan dovi due cannoni sul medesimo monte. Mauro ubbidì, mandando il 27, sulle alture che dominano la vallata del fiume Coscile, Damis, Stratigò, Bellizzi, Baratta e Giuseppe Pace con i loro rispettivi volontari, con la consegna di non attaccare senza prima aver inteso i cannoni del Ribotti, secondo le di rettive impartite dal medesimo. Ma i siciliani del Ribotti non si fecero vedere, nè i cannoni si fecero sentire. Il Busacca, al contrario, spediva contro il Pace tre compagnie che attaccavano violentemente. La compagnia Damis-Stratigò corse subito in aiuto degli altri albanesi. Vi fu una breve ma violenta battaglia, dove gli albanesi diedero, ancora una volta, prove di indubbio valore. In questa battaglia fu ferito e fatto prigioniero Gennaro Placco, poi condannato al bagno penale di Procida, compagno del Settembrini. I borbonici si riti rarono a Castrovillari, senza poter raggiungere il monte tenuto dagli eroici difensori, ma anche questi successivamente dovettero abbandonare la posi zione, per rientrare a Campotenese. Fu questa la battaglia di Sant' Angelo. Vere suppliche si rivolsero al Ribotti che intanto aveva ripiegato su Cassano Ionio. Lo stesso Giuseppe Pace partiva da Campotenese per recarsi dal Ribotti, passando per Frascineto-Eianina, ma a Cassano seppe che questi era nuo vamente rientrato a Spezzano, dove continuava ostinatamente a vivere nei suoi ozi. E tutto questo mentre il generale Lanza aveva ormai raggiunto le posizioni di Mauro a Campotenese. Il 30 i due fronti si scontrarono in una lotta assolutamente impari, che diede luogo ad una feroce battaglia. Gli alba nesi di Mauro, senza vettovaglie, senza munizioni, si slanciarono come leoni, credendosi abbandonati e traditi, in un memorando corpo a corpo, scrivendo col sangue una vera pagina di gloria. Passarono il fiume è non si ritirarono che a notte inoltrata. Ma erano gli ultimi sprazzi di una luce che si spe gneva. I morti furono molti. Cadeva da prode Agesilao Mosciari e altri dei migliori. Una piccola pattuglia di Albanesi, guidati da due sacerdoti, Vincenzo 

Mauro (il fratello di Domenico), Domenico Chiodi, entrambi da San Demetrio e Francesco Maria Tocci da S. Cosmo, si erano inoltrati nel campo del Lanza, decisi a ucciderlo. Ma nella mischia essi rimasero feriti e furon fatti prigionieri. Invitati a gridare « viva ìl re » rifiutavano, gridando invece « viva l'Italia ». Dopo molte sevizie, che durarono alcune ore, furono barba ramente trucidati. Il Mauro rimase costernato. Invano scriveva ancora al Ribotti. Disperando ormai della causa, la mattina del 10 luglio scese a Lungro, dove sciolse le compagnie. Il Lanza, occupate così Mormanno e Campotenese, si ricongiunse col Busacca a Castrovillari. Una commissione veniva quindi da Cosenza a Castrovillari, per dichiarare la sottomissione della città a re Ferdinando II. Il Ribotti, spettatore passivo, il 2 luglio riprendeva la via di Cosenza. L 'albanese maggiore Sarri gli corse addietro con una ventina dei suoi, deciso a scaricargli addosso i fucili, ma non riuscì a raggiungerlo.

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(1859/60) Tutte le persecuzioni non riuscirono però a fiaccare l'indole tenace e fiera dei nostri. Le sommosse si susseguivano senza interruzione e la polizia ebbe filo da torcere. I borbonico «Giornale delle Due Sicilie » nel numero 156 di martedì 19 luglio 1859, in prima pagina seconda colonna, parla di una delle tante nei paesi albanesi e questa volta è di turno Lungro: «Il 16 del corrente mese nelle ore pomeridiane, pochi forsennati del comune di Lungro cominciarono a percorrere l'abitato con grida sediziose incitando quella gente a fare altrettanto Fra essi un Vicenzo Stratigò (sic) si die' ad arringare la popolazione, ed alcuni suoi complici si condussero nel vicino comune di Firmo con lo stesso reo intendimento, ma fu vano il loro tentativo venendo assai male accolti da quegli abitanti. L 'ordine fu ristabilito immediatamente all'arrivo del Sottintendente del Distretto e dalla forza di pochi gendarmi. Otto dei principali colpevoli sono già in prigione. » Fin qui il giornale, non del tutto esatto. Gli arrestati di Lungro, come di Firmo, furono moltissimi e tra essi molte donne, come la stessa madre dello Stratigò. Una lettera conservata tra gli scritti di questo valoroso poeta garibaldino ci dà notizie precise su tutto quel periodo. Lo Stratigò già apparso col Damis nelle battaglie di Sant'Angelo e di Campotenese, fu, tra le personalità albanesi risorgimentali, figura di massimo rilievo e i suoi scritti occupano non soltanto un posto particolare nella letteratura albanese, ma costituiscono una preziosa fonte di notizie per la nostra storia (20). Nei paesi albanesi di Sicilia fu, tra gli altri vittima dei borboni, in quei giorni, Michelangelo Barone di Mezzoiuso. Nel 1859 si fecero collette in tutti i villaggi albanesi e le somme raccolte furono consegnate all'ambasciatore del Piemonte a Napoli. I giornali dell'alta Italia si diffondevano sempre più; i comitati si moltiplicavano e si riorganizzavano meglio. Lo spirito pubblico si rianimò; si sentiva aria di primavera. Damis, Luci, Pace, Stratigò e altri premevano che si svolgesse qualche azione. L'insurrezione era ormai nell'animo di tutti i villaggi. Si attendeva il segnale e questo venne l'11 maggio, con lo sbarco di Garibaldi a Marsala. Tra i Mille figurano vari albanesi. Oltre il Crispi, piace nominare Damis, Raffaele e Domenico Mauro. Quando l'eroe nazionale pose piede in Calabria, l'entusiasmo fu indescrivibile. A Cosenza corsero due legioni di albanesi, guidate dal Sarri e dal Pace e con essi una folla variopinta da tutti i paesi, per accogliere il dittatore, che giungeva il 1° settembre. Da Cosenza, il 2 settembre, si recò a Castrovillari, passando tra fitte ali di albanesi, che lo acclamavano. Qui nominò governatore Muzio Pace e a tutti raccomandò moderazione e concordia. L'esercito garibaldino s'ingrossò molto attraversando questa larga fascia di villaggi alloglotti. Il borbone disarma gli albanesi che, considerano ciò estremo disonore, mentre Garibaldi ai più meritevoli regalava spade, come medaglie al valore e ciò entusiasmava la folla, che vedeva in lui un novello Skanderbeg, vindice dei diritti del popolo. Il colonnello Pace, il Sarri, lo Stratigò con i loro soldati (lo Stratigò ne aveva 500 dalla sola Lungro) seguirono Garibaldi e il 13 settembre fecero il loro ingresso in Napoli, sotto una pioggia di fiori. Lo stesso eroe si affacciò dal palazzo d'Angri per salutarli. L'1 e il 2 ottobre presero parte alla battaglia del Volturno comandati da Damis, compiendo prodigi di valore. Fu allora che Garibaldi, pieno di ammirazione, voltosi al condottiere albanese esclamò: « Damis, questi tuoi albanesi sono leoni! ».

 Al Parlamento italiano, tra gli albanesi vi sedettero Crispi, Mauro, l'eminente finanziere Federico Seismet Doda, Giovanni Mosciaro, Giuseppe Pace, Vincenzo Pace, Domenico Damis, Raffaele Majerà, Guglielmo Tocci. Il primo Ministero italiano ebbe tre ministri albanesi: il Crispi, il Giura e lo Scura; quest'ultimo con il portafoglio di grazia e giustizia e dei culti.