DOMENICO DE MARCHIS
Parte 1^
INTRODUZIONE
Il lavoro che presento al pubblico ha per scopo di evocare dal silenzio di remoti secoli la Storica Origine del mio Comune, il quale se voglia riguardarsi pel lato di sua sociale posizione, e peculiare civiltà, nulla offre d'importante da interessare lo spirito del culto lettore: ma trattandosi di un popolo straniero ben accolto nel nostro regno, in cui da tempo antico vive sotto le medesime leggi, ed unificato nei dritti civili e politici coi sudditi della nazione napolitana: ove serba il proprio linguaggio, ed esercita gli atti religiosi nel greco rito-ortodosso, non uniforme alla latina ritualogia; che mantiene con gelosa superstizione le abitudini, ed i propri costumi; mi è sembrato non dover riuscire discaro ai dotti la conoscenza delle nozioni che riflettono i primordii del suo stabilimento in queste Calabre contrade - La Storia degli Albanesi è d'uopo considerarla sotto due speciali vedute, cioè nell' orbita compiuta dalla loro origine in Europa, fino alla Ottomana invasione; e nel ciclo impreso a trascorrere dalla morte di Scanderbek, sino ad oggi. In questo secondo periodo, tralasciando quegli sventurati dell'Epiro che rifuggiti nelle Isole, o su monti inaccessibili, traggono la vita in orde lontana da ogni civiltà, e spesse fiate astretti a vendere la gagliardia del loro braccio alla mezza luna; mi sono isolato ad una delle tante colonie, le quali sperperate dalla violenza conquistatrice, dopo le stragi, e le devastazioni apportate al luogo natio dal brando Maomettano, rinvennero ospitale asilo, e benefica protezione nel nostro reame. Di essa ne ho investigato l'origine, ho tracciato il progresso, e sviluppate le feudali vicissitudini fino ai nostri tempi, e se altri elementi non mi fu dato diseppellire dalla oscurità dei secoli, dee attribuirsi alla totale mancanza di documenti da consultare, nè le storiche lacune debbono appianarsi coi soli mezzi tradizionali.
Nella impotenza quindi di poter esaurire in modo completo il mio piano proposto, mi affido alla cortesia dei lettori, da cui spero generoso compatimento.
CAPITOLO, I.
Lungro, Comune Albanese di 5500 abitanti, in Provincia di Calabria Citra, nel Distretto di Castrovillari, siede sul lembo di una Cinta di Monti, che s'innalzano quasi a picco da settentrione a ponente, rimanendo aperto dal lato d'oriente a mezzo giorno un vast’orizonte, così che da un canto lo sguardo si spazia, e si disperde nelle spiagge del.“Ionio, e dal' altro percorre estesa parte della catena delle maestose Montagne della Regia Sila, fino al loro congiungimento con le alture dell'Ovest.
Quelle Algide giogaje, che un tempo prestarono asilo ad una colluvie di feroci Lucani intolleranti al rigore delle patrie leggi, separano la Valle di Crati dalla Calabria Ultra, e sono ammirabili per i svariati prodotti, che si ritraggono dalle loro sinuosità sottoposte a coltura. Dalla base delle medesime si disvela un'immenso bacino, che all’est ha per limite il mare, ed al Nord, le svelte alture di Cerchiara, ove posa lo Stabilimento eretto dalla Religiosa pietà, per accogliere e nudrire gl'infelici figli ingenerati dalla colpa, e dall'umana lascivia. Quelle distese contrade ora avvallate, ed ora erigentisi in deliziose colline, allegrano la vista dello spettatore coi tanti paesi, che vi si scorgono ad occhio nudo, e con le rigogliose vegetazioni, che spiccano in omaggio all'Agricola economia.
Scorre sotto il Comune, il fiume Tiro, o Leo-Tiro, il quale scende rapido e precipitoso il mezzo a profondi burroni dal Nord, e dopo aver servito alla irrigazione dei contermini territori, ed animate varie macchine Idrauliche, và ad unirsi al fiume Esaro verso sud-est, percorrendo un cammino di circa dodici miglia italiane.
Quando l'astro maggiore destinato dall'infinito ad infondere la vita a lutto il Creato, sfolgorante di splendida luce spunta dal balzo dell'Oriente, Lungro ne riceve i suoi primi saluti, e quei raggi cocenti servono non poco a dissipare l'umidità, a cui và soggetto il paese tanto pel sito chiuso dal Nord, e dall'Ovest, circostanza che arresta la libera ventilazione, quanto per la colpevole non curanza nel mantenimento della polizia nell'interno dell'abitato.
Conviene però sospendere ogni ulteriore dettaglio, che possa riguardare lo Stato Odierno del paese, onde ripiegare lo sguardo all'origine e progresso del medesimo; in quali ricerche emmi d'uopo stabilire per punto di partenza l'epoca del 1156 in poi, mentre al di là di questo dato nessun documento mi fu concesso consultare come base cronologica, sicuro a determinarc in qual tempo preciso i primi abitatori di Lungro, emigrati da Altomonte come dal volgo si ritiene, fissarono nel Casale la loro Sede. Ma se i primordj della sua fondazione per rimota antichità rimasero spenti nel bujo di lontani secoli, è da lamentarsi l'ignavia dei nostri culti Antenati, poco previggenti ad impedire la dispersione del precipuo elemento storico del proprio paese; ed il lettore converrà meco che i fatti abbandonati alla sola tradizione o svaniscono nella memoria dei posteri, o arrivano adulterati a segno da diventare una congerie di favole.
Allorchè una colonia di Albanesi, profughi dall'Epiro, onde scansare l'ira e l'efferatezza Ottomana, cercava un Asilo fra le Calabre popolazioni, Lungro era di già un Casale abitato da Italiani, e fornito di proprio territorio. Ogerio conte di Bragalla, ora Altomonte, discendente dalla nobile famiglia Vasta dei duchi di Spoleto, e sua moglie Basilia erigevano a proprie spese accanto agli Edifizi dei cittadini nella esistente Chiesa dedicata a S. Maria ad Fontes, e largamente dotavano, un Monastero di Basiliani sotto la stessa denominazione, il quale assumeva sù quei pochi abitanti il carattere baronale. Ed a meglio far risplendere allo sguardo dei posteri un atto suggellato coll'impronta della vera religiosa pietà, se ne redigeva solenne concessione al cospetto di Monsignor Sifrido Vescovo di Cassano nel 2 maggio 1156, riportata dall'Ughello nella sua Italia Sacra Tom. 9 che principia nel seguente modo. Nos Ugerius Dominus Bragalle, et uxr Basilia, in perpetuum concedimus locum. et tenimentum pro facienda Abbatia in Ecclesia quae dicitur Sancta Maria de Fondibus, de Monachis Sancti Basilii prope Casale Lungrium.
Ivi gli Albanesi al declinare del quattordicesimo secolo fermarono la loro dimora, ben accolti dai monaci Baroni, dell'interesse dei qua1i era sommamente vantaggioso ricevere una colonia agricola, che stretta da grave sventura, mancante di un tetto e di una patria, col cuore angosciato da generoso dispetto, avesse potuto agevolmente piegarsi sotto il gioco del loro assoluto dominio. Soppresso di poi il monastero varcando l'anno 1525 fuvvi surrogata una Badia ritenendo lo stesso nome di S. Maria ad Fontes, che i Pontefici assegnavano in commenda a vari Prelati, Abati e Cardinali, di cui l'ultimo fu l'Eminentissimo Colonna dei Principi di Stigliano.
Gli antichi abitanti del Casale di Lungro, coi quali in tempi posteriori aggregavansi gli Albanesi, avevan fruito della concessione del Conte di Bragalla, e tra le altre, di poter usare il beneficio del pascolo, e liberamente legnare nell'intero ambito Feudale, senza corrispondervi pagamento alcuno, come rilevasi dal citato autore.
Da quanto brevemente esponemmo, si addimostra ad evvidenza, che il Casale di Lungro doveva esistere in tempo più remoto all' epoca del 1156; ma quando avvenne poi l'arrivo degli Albanesi in esso, non può precisarsi con storica certezza. Il Rodotà portò avviso essersi verificato nel 1502, affermando desumersi da documenti serbati nell'archivio di Lungro, sebbene dietro tante accurate diligenze allo scopo istituite, nulla ho potuto scovrire, e fia d'uopo conchiudere, che quell'egregio scrittore sia stato illuso da chi ebbe incarico fomirgli tali notizie. Io però ritengo per fermo, che gli Albanesi molto prima del 1502 vennero accolti nel Casale, ed ecco d'onde ritraggo la dimostrazione del mio argomento.
Geronimo Sanseverino principe di Bisignano, che nel tratto successivo ai tempi designati divenne possessore di Altomonte, dichiarava in un suo privilegio portante la data del 9 marzo 1486, i dritti che gli Albanesi stanziati in quel Casale esercitavano sul tenimento di Bragalla , dettato, ch'io trascrivo in testimonianza del mio asserto. “Quum Albanenses sive Graeci multi convenissent ad habitamlum in Casalibus Ungari, et Sancti Angeli de tenimento Altimontis, Venerabilis Monasterii de Sancta Maria de Ungro, et fuissent nomerum tuguriorum, sivi habitationum eorum sexaginta, diu usi fuerunt tenimentis ipsarum nostrarum terrarum absque solutione alicuius debiti Curiae nostrae, quod cum animadverterimus; jussimus eos cogi ad solutionem fidae, et aliorm jurium tam pro praeterito tempore, quam pro praesenti, et futuro, et ob hoc pignorati fuerunt. Adiit propterea praesentiam nostrae Serenitatis Venerabilis Abbas ipsius Monasterii, et supplicavit ut eos ad gratiam nostram suscipere dignaremur. Eorum precibus inclinati, volentes cum illis agere gratiose, contenti fuimus, et sumus; quod Albanenses ipsi solvant pro praeterito docatos decem: pro praesenti anno docatos viginti, et pro singulis annis futuris docatos viginti etc. etc.
E Berardino Sanseverino con una pari scritta del 7 agosto 1495 raffermava l'espressa concessione di grazia di suo padre Geronimo. Quali documenti vennero esibiti al Regio uditore Sebastiano la Valle nel 1516, allorché per Sovrano mandato di Carlo V°, del Casale c Badia di Lungro, come di tutti gli altri feudi del principe di Bisignano, si compilava la celebre Platea, che conservasi nella Regia Camera della Sommarca, la quale ha offerto poderosi elementi alla commissione feudale nel armonizzare i dritti del comune, con quelli del Barone. Di essa, tratta Copia, si avvalse nel 1810 l'egregio cavaliere de Ruggiero, come impenetrabile Egida nella difesa di Lungro al cospetto di quell'alto consesso, giusto appare dalla dotta memoria data alla luce per le stampe di Vincenzo Orsini di Napoli, e ciò in risultato del Decreto de' 2 agosto 1806 che proclamava la abolizione della feudalità nel nostro Reame. Questo sistema, che per tanti secoli aveva smembrata, e lacerata l'azione governativa con moltiplicare le immagini del potere Supremo, perdeva alla fine ogni possanza, e l'unità Sovrana venne riconcentrata nel monarca come suo esclusivo attributo, perchè uno dev'essere il fonte del potere, uno il centro dell' autorità.
Se dunque nel 1486 gli Albanesi avevan di già preso stanza nel Casale di Lungro, e costituivano un assembramento di sessanta tuguri o fuochi, che corrispondono a famiglie, il tempo del loro arrivo ha dovuto avverarsi dalla morte di Scanderbek, cioè dal 1467 in poi, vale a dire in uno degli anni compresi nella serie intermedia tra il 67 al 86. Incerto che sia l'anno preciso, non può ritenersi mai quello stabilito dal Rodotà, forse vero per le altre colonie; ma erroneo per quella emigrata in Lungro.
D'onde poi trasse l'origine il nome del Comune, di cui discorriamo, s' ignora affatto, ed i curiosi delle cose patrie ad onta di tante investigazioni, si smarrirono sempre tra le svariate tradizionali congetture, senza potersi determinare ad un dato sicuro. Si rileva da carte antiche denominato Ungarum, ed Ungro, e posteriormente vi si aggiunse la lettera L , per cui oggidì si scrive Lungro.
Alcuni dei trapassati ritenevano per fermo, che nello scavo delle fondamenta del villaggio fosse apparso un teschio ischeletrico coverto di cimiero a lastra di ferro, che si attribuiva ad un guerriero Ungarese spento nel territorio; quale accidente aveva prestato motivo ai primi indigeni fondatori chiamar Ungro il nascente Casale. Ma fia mestieri confessare, che da nessun documento si è potuto trarre un indizio affermativo sul proposito, onde afforzare tale idea, e la stessa tradizione è rimasta ognora vacillante, perchè costantemente riputata figlia di gratuita diceria. E poi fosse anche vera l'invenzione del teschio tra le profonde cave, perché credersi di un prode Ungarese, e non già di un soldato di altra nazione?
Altri più impazienti a rimuovere il velo, che la possanza dei secoli si avvale a nascondere il vero allo sguardo filologico, assegnava probabile la permanenza di qualche feudatario Ungarese, il quale spiegando sul Comune le baronali prerogative, le avesse imposto il nome della sua nazione, ed allegavano a sostegno di tale asserto l'esistenza sul Casale di un antico Castello sedente a lembo di un'erta prominenza oggidì tutta coverta di olivi, e di cui il tempo edace ha serbato pochi ruderi, e dei scrollati rottami di fabbrica, certo segno di un feudale edifizio. Però questo vago supposto non incontra l'appoggio documentale, nè forte sostrato nella tradizione, ed io avrò opportunità di osservare tra non guari, che lo scomparso Castello fuvvi eretto dal Pescara duca della Saracena, allorchè nel 1531, addivenne signore del Casale di Lungro.
Alle due congetture, di cui ho fatto cenno, vi aggiungo la terza, che a mio avviso sembra la più plausibile e la meno strana perchè sostenuta dalle particolari condizioni, che vi concorrono nella località.
Il vocabulo greco υγρwς , igros si pronunzia per cufonema υγγρwς, ingros, che significa humidus. L' ipsilon , υ, greco in latino si cambia in u , quindi quell'ingros si pronunzia Ungros, come appare dal greco scrittore Dionisio d'Alicarnasso nelle sue antichità romane, il quale soventi fiate scrive T Tuλλioσ, cioè Tillios, e si legge iu traduzione Tullius. Si sarà forse col tempo soppressa l'ultima lettera, e si ebbe Ungro. Ora diffusi dall'ottavo secolo in poi, i monasteri dei Basiliani in questa Provincia, ebbero gagliardo impulso le lettere greche nelle nostre Contrade; e lo stesso Altomonte per molti anni visse nel greco rito. È quindi probabile , che al Casale nascente sotto gli auspicj di quella madre patria, i Cultori del classico idioma avessero dato un nome tratto dal breco vocabolo, che indicava la condizione della località, in cui era situato; poichè vicino al fiume Tiro, circondato da moltiplici sorgive, sottostante al Clivo dai Monti, quasi tra inpaludati terreni, l'aere esser doveva umida a segno da offrire una caratteristica di locale distinzione. Per tali permanenti e visibili circostanze, affine di meglio determinare il Siro, si disse Ugros cioè humidus il villaggio col doppio scopo, di disignare lo stato igrometrico, e di esprimere le acque, che zampillavano da per ogni dove, stante che le denominazioni sono sempre la solenne espressione de' fatti. E per esprimere maggior forza a questa opinione, è d'uopo riflettere, che il monastero dei Basiliani nei primordi della sua erezione assumeva per tilolo Sancta Maria de fontibus, ritenendo quello, che dagl'indigeni era stayo assegnato alla Capella ivi esistente; ma soleva questa denominazione spesse fiate confondersi con quella di S. Maria de Ungro, come appare dalla riferita carta del principe Geronimo, ove leggesi Venerabilis Monasterii de Sancta Maria de Ungaro. Sembra quindi che il radicale humidus plasmava sempre lo stesso concetto.
E per fermo, non adottò il Comune di Acquaformosa il suo nome dalle belle acque, che sorgono nel recinto dell'abitato tanto pure, limpide, e fredde, che quei cittadini anche nei più cocenti calori estivi rifiutano l'uso della neve? Ed Altomonte non l'ebbe forse. assegnato dalla sua topografica situazione, sedendo al culmine di una eminenza, la quale gli schiude a cerchio un pittoresco orizzonte? S.Costantino, e S. Demetrio non adottarono il nome dei loro protettori?
Io dissi, che quest'ultima congettura mi appariva la più degna di plauso, poichè collocata nell'unità sintetica il complesso delle circostanze svolte cui rigore dell'analisi, non s'imbatte in una impossibile illazione: Quindi se non è un Astro che scintilla, è almeno una infiammata bolide, che tra le tenebre della notte traduce qualche bagliore; ma però non vagheggio tale idea in modo esclusivo, onde offrirla come certa, non essendo sempre dato alla risorsa filologica di colpire il segnuo con la sola scorta della etimologia di un Vocabolo.