BREVI CENNI STORICI
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LUNGRO PRIMA DELLA VENUTA DEGLI ALBANESI
All'inizio del secondo secolo del nostro millennio, quando la Calabria, che già apparteneva agli Imperatori di Bisanzio, veniva conquistata e dominata dai Normanni, il territorio compreso fra l'Esaro, il Crati, il Tiro e i monti a ovest, apparteneva alla contea di Bragalla ( oggi Altomonte) che era un 'antica città bruzia di origine preromana, il cui antico nome era Balbia.
Un discendente della famiglia del Vasto, a nome Ugerio, ne era il feudatario e, pertanto, padrone del territorio che, fra le altre risorse, comprendeva la miniera di sale. Nell'epoca normanna, poco discosto dall'affioramento salifero, precisamente sulla collina di S. Angelo, esisteva già un Casa1e o agglomerato di popolazione, addetta alla estrazione del salgemma. Nel 1145 infatti il feudatario assegnava un quantitativo settimanale di sale, al monastero di Acquaformosa, scrivendo: " et in Salina nostra. Brahallae damus ut recipere debeat omni tempore una quaque hebdomada salmam salis, videlicet tumulus octo per salmam...."
Ma l'atto di nascita, per dir così, di Lungro è contenuto in un altro documento di pochi anni dopo, e precisamente del 2 maggio 1156 (vedi Sul Monastero Basiliano di Lungro - ndr). Quel giorno, col solenne intervento di Sigfrido, Vescovo di Cassano, Ugerio del Vasto concedeva ai monaci basiliani, la località ed il territorio per la erezione di una Abbazia presso la preesistente chiesa di S. Maria delle Fonti stipulando quanto segue:
« Nos Ogerjus, Dominus Bragallae et uxor Basilia, in perpetuum concedimus locum et tenimentum pro facienda Abbatia in Ecclesia quae dicitur Sancta Maria de Fontibus de monachis Sancti Basilii prope casale Lungrium ».
Al monastero nascente, veniva fatta assegnazione di sale pari a quella goduta dai monaci di Acquaformosa. Con ulteriori progressive concessioni e privilegi, agli abati del monastero di S. Maria delle Fonti, venivano trasferiti, anche in perpetuum, i diritti di giurisdizione civile e mista, tal che si assiste ad una quasi completa autonomia di Lungro dalla vita politica ed economica dei centri vicini.
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Ci vorranno decenni prima che gli abitanti del casale ottengano anche concessioni di territorio agricolo; e pertanto la loro attività e la loro economia si va incentrando sulla coltivazione del giacimento minerario stabilendo una tradizione che nei secoli posteriori, porta ad una identificazione della vita e della economia di Lungro, con la esistenza e lo sviluppo della miniera.
Pur dovendosi riconoscere che parlare di Lungro significa anche parlare della sua maggiore risorsa di lavoro e di vita, lo argomento però, è talmente importante che assorbirebbe, da solo, la modesta portata di queste pagine che vogliono avere il solo scopo di informare di Lungro, coloro che ne sanno poco o niente. Tuttavia non possiamo dispensarci dal dovere di richiamare l'attenzione di quanti hanno a cuore l'onesto riconoscimento del diritto di tutti gli uomini al benessere ed al lavoro, sulla recentemente ventilata determinazione del patrio Goaverno, di chiudere lo Stabilimento minerario, minacciando di rovina economica e di fame il popolo di Lungro che da tanti secoli trae dalla miniera i mezzi di vita. Il pretesto che si adduce è quello che il giacimento stia per esaurirsi.
Il primo a parlare della salina di Lungro è Plinio il Naturalista. Egli infatti essendo prefetto della flotta romana di stanza a Miseno, aveva visitata la Calabria ed aveva osservato il fenomeno geologico, descrivendo nella Storia Naturale i « cristalli balbini ». Ora non è accettabile che la volontà degli uomini debba decretare di morte apparente una risorsa naturale che vive da millenni e che, fatto conto del modestissimo sviluppo delle ricerche sotterranee, fin qui eseguite, e tutte con tecnica ancora primordiale, è appena all'inizio delle sue possibilità. Molte cose si sono dette, in tutti i tempi a proposito del giacimento salifero di Lungro, e molte cose si potrebbero dire, ancora oggi, sotto l'aspetto geologico, economico, sociale. Comunque, non ci pare verosimile che le competenti autorità dello stato, vogliano cedere a pressioni interessate, rifiutandosi di risolvere il problema della miniera con l'ausilio della tecnica moderna. Non fosse altro, per non avere lo scrupolo di avere determinata la finale decadenza di un paese dalla prodigiosa vitalità,. mantenuta in tanti secoli, più duri e più fortunosi del tempo attuale.
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Dopo l'argomento dell'esaurimento che non appare fondato, checche se ne dica e se ne faccia dire!, la polemica si sposta sul maggiore costo di produzione che il sale di Lungro avrebbe in paragone di quello prodotto nelle saline marine dove si ricava dall'evaporazione di contingenti di acqua salsa appositamente immessi in vasche adatte. E la speciosità della argomentazione parrebbe dare ragione agli abolizionisti. Ma è necessario tenere conto che prima di tutto il raffronto vi ne fatto sulla base del regime monopolistico vigente nell'Italia continentale (a differenza della Sicilia); e poi, che lo stesso raffronto si opera sofisticamente sulla base dei prezzi del prodotto semplice. Si provi ognuno a immaginare che cosa accadrà se un giorno anche l'Italia abolirà la regìa sul sale, vale a dire se la produzione e il commercio di tale genere fosse lasciato alla industria privata. Certamente nessuno pretenderebbe, di rifornire la Calabria di sale proveniente da altre produzioni, E infine non è un mistero che di sale da cucina, oltre quello comune e grezzo, il consumo ricerca i raffinati, i non igroscopici e altre varietà il cui costo è doppio o triplo di quello grezzo. Orbene, una volta, lo Stabilimento di Lungro era dotato di un impianto che produceva il raffinato che se ancora si producesse da noi, col maggior prezzo di smercio compenserebbe il maggior costo di produzione, sul quale, per ultimo, potrebbe influire sensibilmente l'ammodernamento dei mezzi di coltivazione, lasciati qui, allo stato primordiale. Ci rendiamo conto che queste nostre argomentazioni sfiorano appena il problema, così come lo impostano quelli che attribuiscono, ( pare impossibile in questa epoca), allo Stato, e solo in relazione a Lungro, una funzione più gretta di un qualsiasi imprenditore privato, che per giustificare una malintesa convenienza, capovolgesse i principi che reggono la tecnica aziendale e contabile.
Il popolo di Lungro fida sul trionfo del buon senso e, sereno, attende il suo domani.
Per la descrizione dei luoghi dove vive e si agita il popolo di Lungro, ci piace riportare interamente quello che ne scriveva il De Marchis nel suo « Cenno Monografico » fin dal 1858.
« Lungro, Comune albanese di 5500 abitanti, in provincia di Calabria Citra. nel Distretto di Castrovillari. siede sul lembo di una Cinta di Monti, che s'innalzano quasi a picco da setten-
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trione a ponente, rimanendo aperto dal lato d'oriente a mezzo giorno un vast'orizzonte, così che da un canto lo sguardo si spazia e si disperde nelle spiaggie dell'Ionio e dal altro percorre estesa parte della catena delle maestose montagne della Regia Sila, fino al loro congiungimento con le altre dell'Ovest.
Quelle Algide giogaje, che un tempo prestarono asilo ad una colluvie di feroci Lucani intolleranti al rigore delle patrie leggi, separano la valle del Crati dalla Calabrja Ultra, e sono ammirabili per i svariati prodotti che si ritraggono dalle loro sinuosità sottoposte a coltura. Dalla base della medesima si disvela un'immenso bacino, che all'Est ha per limite il mare, ed al Nord, le svelte alture di Cerchiara, ove posa lo Stabilimento eretto dalla Religiosa pietà, per accogliere e nudrire gl'infelici figli ingenerati dalla colpa, e dall'umana lascivia. Quelle distese contrade ora avvallate, ed ora erigentesi in deliziose colline, allegrano la vista dello spettatore coi tanti paesi, che si scorgono ad occhio nudo, e con le rigogliose vegetazioni che spiccano in omaggio all'Agricola economia.
Scorre sotto il Comune il fiume Tiro, o Leo-Tiro, il quale scende rapido e precipitoso in mezzo a profondi burroni dal Nord, c dopo avere servito alla irrigazione dei contermini territori, ed animate varie macchine Idrauliche, và ad unirsi al fiume Esaro verso sud-est, percorrendo un cammino di circa dodici miglia italiane.
Quando l'astro maggiore destinato dall'infinito ad infondere. la vita a tutto il Creato, sfolgorante di splendida luce spunta dal balzo delI'Oriente, Lungro ne riceve i suoi primi saluti, e quei raggi cocenti servono non poco a dissipare l'umidità, a cui fa soggetto il paese tanto pel sito chiuso dal Nord, e dall'Ovest, circostanza che arresta la libera ventilazione ».
Varie sono le ipotesi sulla origine del nome di LUNGRO o UNGARUM o UNGRO. C'è chi sostiene che derivi dalla condizione igrometrica della zona, chi invece lo vorrebbe attribuito al ritrovamento di un teschio con elmo ungherese, e sono i parcri più noti; ma non mancano altri. Chi ne avesse curiosità, deve rifarsi alla lettura del De Marchis e del Rotodà, alla consultazione e allo studio di antichi documenti più o meno reperibili, aggiungendo la personale fantasia o la eventuale scoperta di più fondati elementi storici o filologici.
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Sempre secondo il De Marchis, Lungro alta metà del secolo XV era un casale abitato da italiani, che si era sviluppato intorno al monastero Basiliano, di cui alla donazione di Uggerio del Vasto, ma non rappresentava una comunità importante dal punto di vista numerico, sia perché le molteplici angustie dell'amministrazione baronale di Altomonte costituivano un serio ostacolo alla vita economica e pertanto al progressivo aumento, e sia perché vi era praticata, alla maniera napolitana (sic) una specie di primogenitura in seno al regime domestico, costringendo al celibato tutti gli altri membri della famiglia, chiamati a concorrere al progresso o almeno alla conservazione del retaggio (sic) della famiglia originaria trasfusa nella nuova.
Comunque sia, i monaci basiliani che mano mano andarono acquistando i diritti baronali del territorio lungrese, non dovettero comportarsi male coi loro vassalli, se in tutti i documenti si rinvengono espressioni che affermano che essi (i monaci) dominavano con religiosa carità.